Il dialogo tra le religioni
Un rischio da correre
"Il dialogo interreligioso: una grazia o un rischio?": se lo chiede il presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso, nella prolusione per l'inaugurazione dell'anno accademico 2008-2009 della Pontificia Facoltà Teologica dell'Italia meridionale, tenutasi a Napoli. Qui di seguito pubblichiamo ampi stralci del discorso del porporato.
di Jean-Louis Tauran Viviamo in società pluri-culturali e pluri-religiose: è un'evidenza. La tesi di Huntington, lo scontro delle civiltà, si è rivelata falsa: proclamare che il mondo è diviso fra sei o sette civiltà differenti, destinate ad affrontarsi, non regge. Non esiste una civiltà religiosamente pura. Esistono soltanto civiltà composite, che evolvono e che si trasformano con un processo permanente di interazione. In Italia, per esempio, un bambino sin dall'asilo pratica il dialogo interreligioso: si trova in mezzo a compagni musulmani, a volte buddisti, eccetera. Come ha dimostrato Paul Tillich, la storia non conosce una cultura che non sia religiosa.
L'altro giorno in un'edicola dell'aeroporto ho visto tanti libri e le riviste che trattavano argomenti religiosi, esoterici o comunque riferiti a nuove religioni. Non si è mai parlato tanto di religioni come oggi (Gilles Kepel, La Revanche de Dieu). Il presidente francese Sarkozy, ricevendo il Corpo diplomatico all'inizio di quest'anno, ha affermato che, secondo lui, due argomenti determineranno la fisionomia delle società del xxi secolo: le questioni ambientali e quelle religiose. Come ha fatto Dio a ritornare nelle nostre società? Questo, secondo me, è il grande paradosso. Grazie ai musulmani! Sono i musulmani che, in Europa, diventati una minoranza significativa, hanno chiesto spazio per Dio nella società. Inoltre, una seconda causa, è che le religioni sono percepite come un pericolo: il fanatismo, il fondamentalismo e il terrorismo sono stati o sono ancora associati a una forma pervertita dell'islam. Non si tratta ovviamente del vero islam, praticato dalla maggioranza dei seguaci di questa religione, ma è un fatto che, ancora oggi, si viene uccisi per motivi religiosi. Basti menzionare l'assassinio dell'arcivescovo cattolico di Mossul. Leggevo che, nel 2007, centoventitré cristiani hanno trovato la morte perché cristiani: in Iraq, in India e in Nigeria. Le religioni sono capaci del meglio come del peggio. Possono mettersi al servizio di un progetto di santità o di alienazione. Possono predicare la pace o la guerra. Ma qui si deve precisare che non sono le religioni che fanno la guerra, ma i loro seguaci. Di qui la necessità di coniugare fede e ragione, dato che agire contro la ragione, in realtà, è agire contro Dio, come Benedetto XVI ha ricordato nella sua Lectio all'Università di Ratisbona il 12 settembre 2006.Forse ci eravamo scordati che la persona umana è l'unica creatura che interroga e che si interroga. È interessante ricordare che la Dichiarazione Nostra aetate del concilio Vaticano ii sul dialogo interreligioso, già sottolineava questa dimensione dell'uomo nel suo preambolo: "Gli uomini attendono dalle varie religioni la risposta ai reconditi enigmi della condizione umana, che ieri come oggi turbano profondamente il cuore dell'uomo: la natura dell'uomo, il senso e il fine della nostra vita, il bene e il peccato, l'origine e lo scopo del dolore... la vera felicità, la morte".
Da questo quadro risulta che siamo "condannati" tutti al dialogo. Ma cosa è il dialogo? È la ricerca di comprensione fra due soggetti, con l'aiuto della ragione, in vista di un'interpretazione comune del loro accordo o del loro disaccordo. Suppone un linguaggio comune, onestà nella presentazione del proprio punto di vista, e volontà di fare tutto il possibile per capire gli argomenti dell'altro. Applicati al dialogo interreligioso, questi presupposti aiutano a capire che, quando si parla di dialogo interreligioso, non si tratta di essere gentili con l'altro, per risultargli gradevoli. Non si tratta nemmeno di un negoziato, praticato dai diplomatici: trovo la soluzione al problema e la questione è chiusa. Nel dialogo interreligioso prendo un rischio. Accetto, ovviamente, non di rinunciare alla mia fede, ma di lasciarmi interpellare dalle convinzioni altrui. Accetto di prendere in considerazione argomenti diversi dai miei o da quelli della mia comunità. Lo scopo è di conoscersi, di considerare la religione dell'altro con benevolenza e di lasciarsi arricchire dagli aspetti positivi celati nella sua religione. Ogni religione ha la sua identità, ma accetto di considerare che Dio è anche all'opera in tutti, nell'anima di chi lo cerca con sincerità. Direi che tre sono gli elementi che vanno insieme: identità, alterità e dialogo. Non si tratta, ovviamente, di ricercare una specie di religione universale, o di ricercare il più piccolo denominatore comune. La prima condizione perché il dialogo interreligioso sia proficuo è la chiarezza: ogni credente deve essere consapevole della propria identità spirituale. I capi religiosi devono stare attenti a che il genio proprio di ogni religione sia sempre ben compreso.
Si pone allora il problema di saper come conciliare la nostra fede in Cristo come l'unico mediatore e l'apprezzamento dei valori positivi che troviamo nelle altre religioni. In ogni essere umano c'è la luce di Cristo. Di conseguenza tutto il positivo che esiste nelle religioni non è tenebre. Tutto il positivo partecipa della grande luce che risplende su tutte le luci. E qui dobbiamo rileggere la Nostra aetate: "La Chiesa Cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni. Essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini" (n.2).
Si può dire che, dalla fine del concilio Vaticano ii fino ad oggi, i cattolici sono passati dalla tolleranza all'incontro per arrivare al dialogo, che non è tanto dialogo fra le religioni quanto fra credenti. E questo dialogo si svolge secondo quattro modalità: 1) dialogo della vita: relazioni di buon vicinato con i non cristiani che favoriscono la condivisione delle gioie e delle prove, incontri in occasione delle feste religiose degli uni e degli altri; 2) dialogo delle opere: collaborazione in vista del benessere degli uni e degli altri, specialmente delle persone che vivono in solitudine, malattia o povertà, collaborazione nelle diverse strutture della vita associativa e in occasione delle grandi catastrofi naturali; 3) dialogo teologico: quando è possibile, che permette agli esperti di ambedue le parti di capire in profondità le rispettive eredità religiose; 4) dialogo delle spiritualità: che mette a disposizione degli uni e degli altri la ricchezza della loro vita di preghiera.
Il dialogo interreligioso mobilita quindi tutti quanti sono in cammino verso Dio o verso l'Assoluto. Tutti i credenti e i ricercatori di Dio hanno la stessa dignità. Per un cattolico, dialogare con gli altri credenti è, prima di tutto, un'esperienza spirituale e, in questo, una grazia. È un'attività prettamente religiosa, animata non solamente dalla conoscenza intellettuale o dall'amicizia, ma anche dalla preghiera. Mi porta ad approfondire la mia fede e a testimoniarla: non devo mai nascondere la mia specificità. Quando parlo con un musulmano, per esempio, non posso mettere fra parentesi i capisaldi del mio credo, quali la Santissima Trinità e l'Incarnazione. Anche semplici gesti, come portare una croce al collo, o avere un rosario in mano, sono gesti che mostrano l'attaccamento alla propria fede. Il dialogo interreligioso suppone da parte mia la sincerità e anche l'umiltà, che porta a riconoscere gli errori del passato e del presente. Non si tratta di sopprimere le differenze, ma di guardarle come mezzi per creare una comprensione e un arricchimento vicendevoli.
Quale servizio il dialogo interreligioso può rendere alla società? È un fatto che i cittadini membri di una religione sono la maggioranza nelle società occidentali. Per il loro numero, la durata delle loro tradizioni, la visibilità delle loro istituzioni e dei loro riti, i credenti sono credenti e visibili. Li si può apprezzare o combattere, ma non lasciano mai indifferenti. Del resto, i responsabili delle società, pur mantenendo il principio della separazione delle Chiese dallo Stato (io preferisco parlare di distinzione) sono costretti a intendersi con le comunità dei credenti, senza confondersi, e a frequentarsi senza opporsi. Le autorità civili devono solo prendere atto del fatto religioso, garantire il rispetto effettivo della libertà di coscienza e di religione, e intervenire solo nel caso in cui l'esercizio di tale libertà nuoccia alla libertà dei non credenti o perturbi l'ordine o la sanità pubblica. Ma, più positivamente, direi che è nell'interesse dei responsabili delle società di favorire il dialogo interreligioso e di attingere, nel patrimonio spirituale e morale delle religioni, tanti valori suscettibili di contribuire all'armonia degli spiriti, all'incontro delle culture e al consolidamento del bene comune. Di fatto, tutte le religioni, attraverso mezzi variegati, spronano i propri fedeli a collaborare dove vivono, con tutti quelli che si sforzano di assicurare il rispetto della dignità della persona umana e dei suoi diritti fondamentali, di sviluppare il senso della fraternità e della solidarietà, di farsi ispirare dal savoir faire delle comunità dei credenti che, almeno una volta alla settimana, radunano milioni di persone, le più diverse, in un'autentica comunione spirituale, e di aiutare gli uomini e le donne di questo tempo a non essere schiavi delle mode, del consumismo e del profitto. I credenti sono quindi chiamati a contribuire concretamente al bene comune, a un'autentica solidarietà, al superamento delle crisi, al dialogo interculturale: devono partecipare al dialogo pubblico nelle società di cui sono membri.
Dovevo rispondere a una domanda. Il dialogo interreligioso è una grazia o un rischio? La mia risposta non è molto originale. Rispondo: le due cose. Un rischio c'è. Quello del sincretismo. Ma direi che potrebbe essere relativo se, come dicevo prima, ogni credente che dialoga esercitasse la sua ragione e, alla luce di essa, fosse spinto ad approfondire la propria fede per renderne conto. Detto questo, c'è un altro rischio, di un'altra natura: quando chiedo a un buddista o a un musulmano: dimmi qual è la tua fede e come la vivi, mi espongo al rischio che, un domani, egli rivolga a me la stessa domanda. Allora il dialogo interreligioso, come dicevo prima, in un certo senso è una grazia, perché mi mette in un continuo stato di vigilanza spirituale; mi spinge a essere coerente e testimone. Nella parola "dialogo" il prefisso dia, che significa attraverso, indica bene che dialogare è consentire a che un'altra parola attraversi la mia parola, e così gli uni gli altri possiamo scoprire non solamente le nostre ricchezze spirituali, ma anche eventuali radici comuni.
(©L'Osservatore Romano - 28 novembre 20008)
Forse ci eravamo scordati che la persona umana è l'unica creatura che interroga e che si interroga. È interessante ricordare che la Dichiarazione Nostra aetate del concilio Vaticano ii sul dialogo interreligioso, già sottolineava questa dimensione dell'uomo nel suo preambolo: "Gli uomini attendono dalle varie religioni la risposta ai reconditi enigmi della condizione umana, che ieri come oggi turbano profondamente il cuore dell'uomo: la natura dell'uomo, il senso e il fine della nostra vita, il bene e il peccato, l'origine e lo scopo del dolore... la vera felicità, la morte".
Oltre trentamila persone sfidando la pioggia e un vento gelido hanno preso parte domenica scorsa alla solenne beatificazione, presieduta dal cardinale José Saraiva Martins, prefetto emerito della Congregazione della causa dei santi, dei 188 cattolici giapponesi, tra sacerdoti, religiose e laici, uccisi tra il 1603 e il 1639 a causa della loro fede. "Il 24 novembre - racconta a "L'Osservatore Romano" monsignor Joseph Mitsuaki Takami, arcivescovo di Nagasaki - è stato un giorno di festa e di grande coinvolgimento emotivo per la Chiesa in Giappone. Un evento di straordinaria importanza e di autentica e infinita grazia. La beatificazione dei 188 martiri giapponesi potrà essere un'occasione per portare una testimonianza dell'amore di Dio e riscoprire l'importanza della fede".
Finmeccanica sente Galileo come una figura capitale nella sua storia e per questo, in occasione dell'Anno internazionale dell'Astronomia nel 2009 e del sessantesimo anniversario della fondazione del gruppo, essa ha ritenuto opportuno partire da questa figura per far comprendere alla società che la ricerca scientifica non esaurisce le conoscenze su uomo e cosmo, ma deve aprirsi a un dialogo per cogliere la complessità del reale e delle domande ultime dell'esistenza.
Perché senza sentire quel belato, l'indescrivibile voce dell'innocente, il suo viso di capretta sperduta, non potremmo mai guardare veramente questo portentoso quadro. Non capiremmo niente. Senza avere nelle fibre, senza sentire addosso il belato infinito, replicato, individuale e orchestrale, non possiamo capire niente del coro di figure che nella pala si dispone. Senza tremare per la voce che più di ogni altra fa tremare, che fa silenzio terribile, senza avere negli occhi un viso ingiustamente condannato, di bambino, o embrione o cucciolo di bestia che sia; sì, senza avere addosso l'assordante belato che sale dal mondo, il belato buio, il belato notte di ogni altra voce, il suo sfaglio, il dolce e tremendo viso di un essere innocente, la sua scandalosa presenza, senza quasi belare noi stessi, o con un nodo, un tronco ritorto di voce anche noi che ci resta in gola sentendo quel belato, no, non vedremmo niente in questo miracoloso e delicato quadro. Non vedremmo nulla della sua pena e della sua gloria. Che attraversano i secoli, immagine sepolta da tante immagini, e pur nitidissima.
Si voltano a guardarlo le sibille, i primi umani, i profeti e le Fiandre che sono come la luce ferma e infinita di ogni paese! Cosa hai fatto, pittore... Potevi scegliere altri soggetti o lo hai dovuto fare? Quale congregazione o volere di borgomastro ti ha obbligato a guardare al momento dell'agnello? Al momento che non si riesce a immaginare. Dio non è più colui che attende il sacrificio, e ne resta a godere. Crescendo nella sua divinità. No, è lui a patirlo, sprofondando nella nostra umanità. Belando come un demente. Agnello bellissimo e inguardabile come un figlio che va a morire. Il più grande innocente trattato come il più grande colpevole. Crisi, perno, scandalo e tavola centrale della storia.
La città affacciata sul Mar Arabico è stata praticamente messa a ferro e fuoco da un'ondata di deflagrazioni e sparatorie: uno degli attacchi più sanguinosi e meglio organizzati della storia del terrorismo internazionale. Alcuni commando con armi ed esplosivi hanno attaccato obiettivi turistici e alberghi di lusso, in particolare il Taj Mahal e l'Oberoi-Trident - frequentati per lo più da cittadini occidentali - alcuni uffici e la stazione ferroviaria Chhatrapati Shivaji Terminus, già nota come Victoria Terminus. Qui, secondo drammatiche testimonianze raccolte dalla Bbc, gli attentatori hanno ucciso senza pietà decine di persone in attesa dei treni a lunga percorrenza. Difficile quantificare le vittime. Le autorità parlano di oltre cento morti. Ma è plausibile che le persone rimaste uccise siano molte di più. Centinaia i feriti, mentre un numero imprecisato di ostaggi sono ancora nelle mani dei terroristi parecchie ore dopo l'inizio dell'attaco.
Soprattutto la predicazione è carica di patristica. L'omeliario di Paolo Diacono, alla fine del secolo viii, ma resta in vigore per secoli, si compone di passi dei Padri a commento dei testi biblici della liturgia. È ben evidente che non c'è solo la liturgia nella formazione della consapevolezza e dell'identità medievale, c'è molto altro; ma la componente cristiana è certamente capitale e Bibbia e Padri ne sono il tramite fondamentale. Il cristianesimo impiegherà secoli a introiettare, pur mediandola, la componente germanica (e Alcuino ne dà testimonianza) e tanti più secoli a introiettare l'eredità classica, finché nel secolo xii questo processo è compiuto e l'uso dei classici avviene ormai senza più barriere di protezione. Il Comitato nazionale per celebrare Gregorio Magno nel centenario della morte, ha costruito, con la Sismel, un catalogo di codici gregoriani che ha dato lo stupefacente risultato di circa novemila schede. Mi chiedo quale autore classico abbia un numero così alto di testimonianze. I cataloghi di Munk-Olsen danno cifre molto ma molto più basse. Ma la ricerca sulla fortuna dei classici è storiograficamente accolta nell'accademia, quella dei Padri è quasi completamente, se non respinta, intravista o giudicata come non significativa. Per questo bisogna dire no all'interrogativo posto all'inizio. Si dice che l'alto medioevo è culturalmente nel segno di Platone e il basso nel segno di Aristotele. Ma le traduzioni da Platone sono poche e il loro uso non centrale, come le ricerche di Klibanski hanno fatto vedere. C'è sì molto Platone, ma mediato da Agostino, come forse più ancora molto medio e neoplatonismo, ma sempre con la mediazione di Platone. Dopo il secolo xii Aristotele invece non ha mediatori, o almeno opera anche direttamente, con le traduzioni dall'arabo e dal greco. Ma tutta la tradizione francescana da Alessandro di Hales a Bonaventura a Duns Scoto accetta di Aristotele solo il linguaggio razionale e una serie di concetti metafisici, ma lo combatte o lo limita e critica fortemente; e la fonte del limite è sempre e soprattutto Agostino, la Bibbia spiritualmente, ma culturalmente i Padri. Persino Tommaso è agostiniano, anche se - come molti affermano - opera una rivalutazione nella tradizione cristiana: l'influenza, pur ripensata, di Aristotele lo porta a una filosofia tutta costruita secondo ragione e una politica che opera, non secondo la fede, ma secondo razionalità - e consuetudines.
Una giornata di studio, un oratorio nuovo e una celebrazione con cinquemila cantori nella basilica di San Paolo fuori le Mura a Roma. Con questi strumenti l'Associazione Italiana Santa Cecilia ha contribuito alle celebrazioni per l'Anno paolino. Ai partecipanti al Convegno nazionale Scholae Cantorum - che hanno animato la celebrazione eucaristica presieduta dal cardinale Andrea Cordero Lanza di Montezemolo, arciprete della basilica - è stato offerto Vita mea per soli, coro e orchestra di Valentino Donella, eseguito dalla Cappella Musicale di Santa Maria Maggiore di Bergamo, dal coro Lorenzo Perosi e dall'orchestra Abendmusiken, entrambi di Verona. A dirigere, nel giorno di santa Cecilia, Paolo De Zen.