lunedì 10 novembre 2008

Settecento anni fa moriva Giovanni Duns Scoto

Settecento anni fa moriva il filosofo e teologo francescano

Duns Scoto
sulle tracce dell'infinito


"Pro statu isto. L'appello dell'uomo all'infinito" è il titolo del convegno organizzato a Milano dal Dipartimento di Filosofia dell'Università Cattolica del Sacro Cuore in collaborazione con la Provincia dei Frati minori della Lombardia nel settimo centenario della morte di Giovanni Duns Scoto. Pubblichiamo alcune parti dell'intervento introduttivo.

di Alessandro Ghisalberti
Università Cattolica del Sacro Cuore

"La nostra volontà può desiderare o amare qualcosa di più grande di qualsiasi fine limitato, come l'intelletto può, dal canto suo, conoscerlo. Sembra anzi che la volontà possieda un'inclinazione ad amare sommamente il Bene infinito. Infatti l'esistenza di un'inclinazione naturale nella volontà verso una cosa si arguisce dal fatto che la vuole prontamente e gioiosamente, pur non avendone l'abitudine. Ora, la volontà libera - come ci sembra di percepirla attraverso l'amore del Bene infinito - non riposa perfettamente che nel Bene sommo". Così scrive Giovanni Duns Scoto nel trattato De primo principio mentre parla dell'infinità di Dio.
La stessa considerazione è sviluppata nell'Ordinatio, dove è costruita come terza via per dimostrare l'infinità di Dio. L'esperienza interna dell'uomo, a parere di Duns Scoto, suffraga queste due constatazioni: la volontà umana, il cui oggetto è il bene, non si appaga mai nel possesso di un bene finito; il desiderio dell'uomo è sempre pronto ad appetere et amare qualcosa di maggiore, un bene più grande di qualsiasi bene finito dato. Inoltre, la volontà mostra la propria naturale inclinazione ad amare al massimo un bene infinito: l'inclinazione naturale della volontà verso qualche cosa è infatti evidenziata dal fatto che di sua iniziativa, senza un previo abito, vuole quella cosa prompte et delectabiliter, ossia immediatamente e con appagamento del desiderio, e tale è l'inclinazione della volontà umana verso il bene infinito.
Questi dati consentono di concludere non solo che l'uomo esperisce attualmente in sé il desiderio di amare un bene infinito, ma altresì che la volontà umana non sembra acquietarsi in modo perfetto in nessun altro bene. La conferma è data dal fatto che l'uomo odia il non-essere, ossia la natura razionale rifugge da tutto ciò che si configura come distruttivo dell'ordine ontologico: se il bene infinito risultasse qualcosa di impossibile e di assurdo, qualcosa di contrario all'oggetto del volere umano, la volontà lo odierebbe, ossia lo rifuggirebbe istintivamente.
L'argomentazione di Duns Scoto mira a stabilire l'infinità come caratteristica di Dio (...). La qualifica dell'infinità esprime per il Dottor Sottile il vertice della perfezione formale di Dio; per l'uomo, l'infinità è il concetto più elevato che possa avere di Dio in questa vita, e perciò il nostro maestro si era premurato di mostrare preliminarmente la non ripugnanza dell'infinità all'ente: enti non repugnat infinitas.
Non c'è contraddizione tra il concetto di ente e il concetto di infinito, perché l'intelletto non prova alcuna ripugnanza nel pensare qualcosa di infinito, lo vede anzi come l'intelligibile più perfetto. L'aspirazione della volontà dell'uomo a un bene infinito non si presenta come una passione inutile o irrazionale di un soggetto inappagato dai risultati delle proprie azioni; essa è calata in un fondo di razionalità, quella per cui si è potuto stabilire che non solo il concetto di infinito non è intrinsecamente contraddittorio, ma anzi è, secondo le parole stesse di Duns Scoto nell'Ordinatio "il concetto insieme più perfetto e più semplice a noi possibile".
L'intuizione come la fruizione diretta di un ente-bene caratterizzato dall'infinità non è tuttavia garantita all'intelletto finito e alla volontà finita dell'uomo viatore: l'infinito è ovviamente obiectum naturale di un intelletto e di una volontà naturalmente infiniti. Da ciò traiamo una prima considerazione (...): affermando l'esistenza di un essere infinito nell'ordine delle conoscenze, si afferma contemporaneamente l'esistenza di un ambito di conoscenze eccedente l'orizzonte delle conoscenze intellettive dell'uomo; l'intelletto infinito di Dio istituisce un sapere transmetafisico, ossia si deve ammettere che all'affermazione dell'esistenza dell'infinito consegue l'affermazione dell'ordine delle conoscenze proprio dell'essere infinito, ulteriore a ogni sapere metafisico dell'intelletto umano, e che nel linguaggio di Duns Scoto è definito la theologia in se, naturalmente intenzionata dall'intelletto divino e alla quale l'uomo ha accesso solo se una rivelazione positiva gliene offre dei contenuti articolati e resi comprensibili dalle forme del linguaggio umano.
La rivelazione appare così in una prospettiva che dice la compatibilità e l'intrinseca coerenza tra l'ordine delle conoscenze dell'intelletto umano e l'ordine delle verità rivelate, proprio perché la dimostrazione dell'esistenza dell'infinito comporta l'ammissione dell'esistenza di un sapere infinito, per sua natura sottratto all'intelletto del metafisico. La rivelazione di alcuni contenuti di questo sapere infinito assume perciò i connotati di coerente supporto alla natura dell'intelletto umano, che non dispone in proprio di possibilità alcuna di accedere per altra via alla conoscenza di quel sapere infinito, di cui ha peraltro dimostrato l'esistenza.
Una seconda considerazione consegue alla connessione esplicita operata da Duns Scoto parlando dell'infinitas Dei, tra la natura dell'intelletto divino che deve avere simultaneamente presente un'infinità di oggetti, dall'eternità, distintamente e indipendentemente dalla loro esistenza, e la volontà onnipotente o potenza causale atta a creare una infinità di cose, ossia la perfezione dell'efficienza propria della causa di tutto l'essere attuale e possibile.
L'aspirazione umana a un bene infinito risulta non velleitaria e non contraddittoria proprio perché l'infinità non ripugna all'intelletto e al volere; non siamo dunque in una prospettiva di "volontarismo", non siamo di fronte a una prevaricazione che attribuisce alla volontà totale autonomia rispetto all'intelletto, come spesso la storiografia della prima metà del Novecento ha scritto in riferimento a Duns Scoto.
Il rigoroso percorso, che consente di pervenire all'affermazione dell'ens infinitum e al riconoscimento della intrinseca validità dell'aspirazione dell'uomo all'infinito, ha messo in risalto lo stretto rapporto tra essere e bene, tra intelligenza e volontà, che la libertà della volontà non potrà mai alterare o sopprimere, perché non potrà mai decidere di annullare la propria natura più intima e costituiva, ossia la strutturale capacità della volontà di amare l'oggetto più amabile, di volere il bene più sommo, di desiderare cioè la fruizione di un bene infinito.
Il "cantore dell'infinito", come qualche studioso ama definire Duns Scoto, offre alla nostra speculazione un itinerario del tutto nuovo e peculiare, che dall'analisi dei tratti caratteristici del volto filosofico di Dio come ente infinito, riesce a dedurre i lineamenti e i connotati del volto dell'uomo; l'infinito svela il finito, rivela i tratti più reconditi e significativi di un soggetto che non solo è capace di conoscere e di amare gli enti finiti o i beni limitati, ma che è strutturalmente aperto alla totalità dell'essere e del bene, al punto che solo un abbraccio con l'infinito può saziare ogni suo desiderio.




(©L'Osservatore Romano - 9 novembre 2008)

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