giovedì 31 dicembre 2009

La forza della musica sacra secondo Chateaubriand


E i Guaraní si commuovevano
all'ascolto dei cantici


di Michael John Zielinski

Guardami e ti dirò chi seiBenedetto XVI, in occasione della benedizione del nuovo organo della Alte Kapelle di Ratisbona, avvenuta il 13 settembre 2006, ha autorevolmente promosso il ruolo dell'organo e più in generale della musica sacra. Egli ha tra l'altro affermato: "Inoltre [la musica organistica], trascendendo, come ogni musica di qualità, la sfera semplicemente umana, rimanda al divino". Ancora una volta il Papa addita la musica sacra come elevazione spirituale dell'animo umano, e quindi facente parte integrante della visione programmatica della missione evangelizzatrice della Chiesa.
In ogni tempo, e fin dalle origini, i pastori più consapevoli si sono fatti carico di educare il popolo cristiano con l'apporto delle arti sonore. "Ambrogio, Damaso, Leone, Gregorio lavoravano essi stessi per il ristabilimento dell'arte musicale". E con questa considerazione, introduciamo l'opera di François-René de Chateaubriand.
Lo scrittore nel suo Génie du Christianisme, ci presenta la propria personalissima ed appassionata visione dei meriti del cristianesimo. Egli di proposito rinuncia ai mezzi dialettici tipici del razionalismo di matrice illuministica, per fare appello a quella poetica dei sentimenti che noi abbiamo classificato come romanticismo, ma che qui ammiriamo in tutta la sua freschezza primigenia. La recente riedizione del libro con testo originale e a fronte la traduzione italiana (Bompiani, 2008), ci offre un'occasione per usufruire con facilità dell'opera dell'autore che, per certi versi, oggi ci sembra ancora così attuale.
Attraverso le parole di Chateaubriand i concetti sulla musica sacra quale mezzo di apostolato scaturiscono così spontaneamente e semplicemente da parere ovvi, poiché essa fa appello ai recessi più profondi dell'animo umano.
Come dunque non seguire quasi con trepidazione ciò che ci evoca il suono delle campane? "Lasciamo dunque che le campane riuniscano i fedeli, perché la voce dell'uomo non è abbastanza pura per convocare ai piedi dell'altare il pentimento, l'innocenza, la sventura; se mai le campane ci fossero vietate, bisognerebbe scegliere un fanciullo per chiamare alla Casa del Signore".
In cosa consiste l'atmosfera natalizia? Anche in questo caso la musica è tra i protagonisti: "Nella notte della nascita del Messia, la schiera dei fanciulli che adoravano il presepio, le chiese illuminate ed addobbate con i fiori, (...) gli alleluja gioiosi, il suono dell'organo e delle campane, offrivano una festa piena di innocenza e di maestà". Con quale delicatezza egli ha introdotto questi concetti di innocenza e maestà, originari presìdi spirituali delle celebrazioni natalizie.
Rimarchevole è poi l'evocazione del clima fascinoso delle cattedrali gotiche, in cui l'architetto e il musicista trasfondono le atmosfere della natura sublimandole nella sfera sacrale. "L'architetto cristiano, non contento di costruire foreste, ha voluto per così dire imitarne i mormorii; e per mezzo dell'organo e del bronzo sospeso, ha trasportato nel tempio gotico perfino il rumore dei venti e dei tuoni, che rotolano nelle profondità dei boschi. I secoli, evocati da questi suoni religiosi, fanno uscire le loro antiche voci dal seno delle pietre e sospirano nella vasta basilica".
Nelle cattedrali gotiche gli organi suonavano a volte con tanti registri uniti; comprendiamo dunque il significato della pagina di Chateaubriand, in cui lo strumento è descritto come se imitasse da vicino una forza prodigiosa della natura.
Il lettore è quasi trascinato dal vigore espressivo della descrizione dell'esecuzione solenne di un inno sacro: "È l'entusiasmo che ispira il Te Deum: quando tra lampade, masse d'oro, fiaccole, profumi, ai sospiri dell'organo, all'ondeggiare delle campane, ai fremiti dei serpentoni e dei bassi, quest'inno faceva risuonare le vetrate, i sotterranei e le cupole di una basilica". Qui è ricordato il serpentone: questo strumento era il basso della famiglia dei cornetti, caratteristico del servizio sacro. Serviva per l'accompagnamento del canto gregoriano, al fine di conferirgli maggiore gravità. Poteva essere suonato anche assieme ad altri strumenti ad arco e a fiato, e naturalmente all'organo.
Ma dove Chateaubriand dà una particolare risonanza alla musica sacra è nella capacità da essa dimostrata nell'attività missionaria della Chiesa. Egli ci esibisce una toccante descrizione di come furono evangelizzati gli indigeni del Paraguay.
Il termine che egli adopera di "selvaggi" non ha significato dispregiativo, ma è usato in senso etimologico di "abitante delle selve", similmente a come ancora oggi noi usiamo il termine "pagani" da pagus, che significa piccolo centro extraurbano.
"I gesuiti avevano notato che i selvaggi di quei luoghi erano molto sensibili alla musica. I missionari si imbarcarono dunque su delle piroghe con i nuovi catecumeni; risalirono i fiumi cantando dei cantici (...) Gli indiani discendevano dalle montagne e accorrevano al bordo dei fiumi, per ascoltare meglio queste melodie; molti fra loro si gettavano nelle onde, e seguivano a nuoto la navicella incantata. L'arco e la freccia sfuggivano di mano al selvaggio; vedeva sua moglie e suo figlio piangere di una gioia sconosciuta, soggiogato da una irresistibile attrazione, cadeva ai piedi della Croce, e mescolava torrenti di lacrime alle acque rigeneratrici che colavano sul loro capo.
In ogni riduzione c'erano due scuole: una per i primi insegnamenti delle lettere, l'altra per la danza e la musica. Quest'ultima arte era particolarmente coltivata dai Guaraní; sapevano costruire essi stessi organi, arpe, flauti, chitarre (...) al calar del sole, la campana chiamava i nuovi cittadini all'altare e si cantava la preghiera della sera in due parti e con grande accompagnamento musicale".
In tempi più recenti, attori famosi hanno reinterpretato queste atmosfere attraverso la finzione filmica dell'universalmente noto lungometraggio di Roland Joffé, Mission (1986).
A coronamento di questo argomento l'autore ha poeticamente sintetizzato che il cristianesimo: "quando ha civilizzato i selvaggi, è stato solo con dei cantici; e l'Irochese che non aveva ceduto ai suoi dogmi, ha ceduto ai suoi concerti. Religione di pace! Voi non avete, come negli altri culti, dettato agli umani dei precetti di odio e di discordia, avete solamente insegnato l'amore e l'armonia".
Anche oggi la forza della musica sacra è mirabile agente di evangelizzazione presso tanti popoli.
In Africa i fedeli affollano le messe in canto gregoriano; quelli che sono giunti nel nostro paese sono grandemente colpiti dal suono dell'organo e bramano sentire la musica sacra patrimonio di questo straordinario strumento. Non è infrequente osservare dopo la messa, quando la chiesa è già semideserta e le luci basse, mentre l'organista si attarda ancora nell'esercizio musicale, delle persone semplici che pregano insieme all'organo, trasportate "in più spirabil aere" dall'eloquenza della musica.
Ci piace concludere con le parole, sempre verissime, di Chateaubriand, che sono un'epitome sul valore del cristianesimo. Esso esorbita dal piano meramente religioso e più in generale spirituale; Chateaubriand ha il merito di far convergere anche gli altri valori scaturenti dalla civilizzazione cristiana, ritenuti ovvi a cui non si dà generalmente la giusta importanza a livello pratico, estetico, morale e civile. "Quella cristiana è la più poetica, la più umana, la più favorevole alla libertà, alle arti e alle lettere; il mondo moderno le deve tutto, dall'agricoltura fino alle scienze astratte, dai ricoveri per i bisognosi, fino ai templi progettati da Michelangelo e decorati da Raffaello (...) Essa favorisce il genio, affina il gusto, le passioni virtuose, dona vigore al pensiero, offre forme nobili allo scrittore e stampi perfetti all'artista".


(©L'Osservatore Romano - 31 dicembre 2009)

sabato 19 dicembre 2009

Babbo Natale

Se mi porta un regalo equo e solidale non gli dò il latte. Quelle cose affamano gli africani, fabbriche di coca-cola! Vorrebbe lavorare ed avere un salario anche loro!!

mercoledì 16 dicembre 2009

Newman sull'onda dei ricordi - Un silenzioso e gentile compagno di viaggio

È appena uscito il volume Newman, ossia: "i Padri mi fecero cattolico". Un profilo (Milano, Jaca Book, 2009, pagine 111, euro 12). Ne pubblichiamo l'inizio.

di Inos Biffi

Ora che si è fatto sera ed è giunto il tempo di sciogliere le vele, mi ritrovo, tra i più cari e assidui compagni di viaggio, prima di passare all'altra riva, il cardinale John Henry Newman, soprattutto con i suoi Parochial and Plain Sermons, i suoi Sketches, con i mirabili profili dei Padri, e le Prayers, Verses and Devotions.
Risalendo l'onda dei ricordi, rintraccio il mio primo incontro con lui negli anni del liceo nel seminario di Venegono, credo nella primavera del 1952. A presentare a noi studenti, poco più che quindicenni, la figura del prestigioso iniziatore del movimento di Oxford fu il rettore Giovanni Colombo, durante le impareggiabili conferenze, che egli ci teneva il tardo pomeriggio delle domeniche, prima di cena, e che noi studenti aspettavamo con impazienza.
Erano incontri informativi e soprattutto formativi: una meraviglia di intuito e di finezza educativa, teorica e pratica. Ci insegnava come redigere una lettera, come stare a tavola, come usare le posate e i tovaglioli, come mangiare le ciliegie e i kaki, che egli però chiamava "globi d'oro", e noi pensavamo che la suggestiva immagine fosse sua; in realtà più tardi venni a scoprire che essa si trovava in una poesia di Ada Negri.
Per quegli incontri il rettore leggeva e commentava degli appunti scritti su quaderni di scuola, dalla copertina nera. Quanto avrei desiderato allora di poterli avere tra mano e leggerli direttamente! Ne immaginavo il valore inestimabile. Mi sembravano scrigni preziosi, in cui erano custodite le cose meravigliose che ci veniva dicendo.
Quel desiderio si compì molti anni dopo, quando potei disporre di quei quaderni, riguardo ai quali credo di aver concorso alla loro conservazione. Ne parlai rispettosamente con il cardinale, riuscendo in qualche misura a convincerlo di non distruggerli, ma di lasciarne erede il suo segretario monsignor Francantonio Bernasconi. Dopo averli esaminati, sono persuaso che quei quaderni, diligentemente trascritti e studiati con attenzione, sarebbero una fonte incomparabile per la conoscenza e l'interpretazione della singolare figura di Giovanni Colombo, dell'altezza del suo ingegno e della profondità della sua esperienza spirituale e della laboriosità della sua vita intellettuale.
Con l'incanto della sua parola egli ci leggeva e commentava in particolare la poesia Lead, kindly Light (Guidami, Luce benigna), composta da Newman alle Bocche di Bonifacio, di ritorno dal viaggio nel Mediterraneo, dove ricorre il verso, sul quale Colombo amava soffermarsi: "Non chiedo di vedere l'orizzonte lontano, un solo passo basta per me".
Ci richiamava allora l'enigmatica affermazione che Newman ripeteva durante la malattia in Sicilia: "Io non ho peccato contro la Luce", intrattenendosi a spiegarci il significato del peccato "contro la Luce". Mi dilettavo particolarmente in quegli anni del delizioso saggio di Newman, edito nel 1950 nella collana "I Fuochi" della Morcelliana, dal titolo Malato in Sicilia, a cura di Giuseppe De Luca, del quale avrei in seguito gustato i bellissimi articoli e le brillanti versioni di testi di Newman pubblicati in un denso volume del 1975.
E sempre durante i corsi liceali il rettore Colombo non si lasciava, poi, sfuggire occasione per comunicarci alcuni pensieri di Newman, che gli erano specialmente cari, come quello sul gentiluomo - colui che non crea mai disagio al prossimo - o sulle mille difficoltà che non fanno un dubbio, o sulle certezze concrete ferme e inconfutabili, simili a funi resistentissime, che, formate dall'intreccio di singoli fili in sé estremamente fragili, non si lasciano spezzare.


(©L'Osservatore Romano - 17 dicembre 2009)

Buona Novena di Natale a Tutti!!