Rino Cammilleri, per Il Timone
Per non farmi venire un fegato così non guardo mai i talkshow televisivi. Per forza di cose devono dare voce alle opposte opinioni, così che finisce per prevalere solo chi ha la lingua più lunga e/o tagliente. Tuttavia, a volte qualche elettore mi gira via e-mail qualcosa che vi accade o è stato detto.
E’ il caso di quel che vado a trascrivere e che è di penna di Marco Travaglio, il quale nella trasmissione «Annozero» tiene una rubrica che si chiama «Posta prioritaria». Ebbene, nella puntata del 10 maggio 2007, poco prima del famoso Family Day, una di tali «poste» è stata indirizzata al cardinale Camillo Ruini in questi termini: «Mi rivolgo a lei anche se la so da poco in pensione, anziché al suo successore cardinale Bagnasco, perché lei è un po' l'Andreotti del Vaticano: ha accompagnato la vita politica e religiosa del nostro Paese per molti decenni. Come lei ben sa, non c'è paese d'Europa che abbia avuto tanti capi del governo cattolici come l'Italia. Su 60 governi in 60 anni, 51 avevano come premier un cattolico e solo 9 un laico».
Perché cito questa «posta»?
Perché, nella sua prima parte, a Travaglio non si può dar torto (sulla seconda sì, per questo la ometto). Eccone alcuni estratti che riguardano la Democrazia Cristiana, che, se in effetti avesse fatto per la famiglia tutto ciò che aveva promesso, «oggi le famiglie italiane dormirebbero tra due guanciali. Sa invece qual è il risultato? Che l'Italia investe nella spesa sociale il 26,4% del Pil, 5 punti in meno che nel resto d'Europa». Ancora: «L'Italia è penultima in Europa col 3,8% della spesa sociale alle famiglie, contro il 7,7% dell'Europa, il 10,2% della Germania, il 14,3% dell'Irlanda. Noi diamo alla famiglia l'1,1% del Pil: meno della metà della media europea (2,4). Sarà un caso, ma noi siamo in coda in Europa per tasso di natalità». Ancora: «Lei sa, poi, che per sposarsi e fare figli, una coppia ha bisogno di un lavoro stabile. Sa quanto spendiamo per aiutare i disoccupati? Il 2% della spesa sociale, ultimi in Europa. La media Ue è il 6%. La Spagna del terribile Zapatero spende il 12,5. I disoccupati che ricevono un sussidio in Italia sono il 17%, contro il 71 della Francia, l'80 della Germania, l'84 dell'Austria, il 92 del Belgio, il 93 dell'Irlanda, il 95 dell'Olanda, il 100% del Regno Unito. E per i giovani è ancora peggio: sotto 25 anni, da noi, riceve il sussidio solo lo 0,65%; in Francia il 43, in Belgio il 51, in Danimarca il 53, nel Regno Unito il 57. Poi c'è la casa. Anche lì siamo penultimi: solo lo 0,06% della spesa sociale va in politiche abitative (la media Ue è il 2%, il Regno Unito è al 5,5). Se in Italia i figli stanno meglio che nel resto del mondo, anche perché sono pochissimi, per i servizi alle madri siamo solo al 19° posto». Travaglio prosegue rimproverando alla Chiesa di non aver speso nel decenni di egemonia Dc per la famiglia la stessa energia che mette oggi contro i Dico, i Pacs e i gay, poi ironizza sulla quantità di divorziati, separati e conviventi che si trova nello schieramento politico che appoggiava il Family Day. Noi, che, dovendo scegliere tra i distruttori della famiglia e i fautori della stessa, scegliamo i secondi poco curandoci delle loro vite private, tralasciamo questa parte della lettera. In fondo, anche Hitler ebbe una sola moglie e le fu fedelissimo, Robespierre addirittura non si sposò mai e sappiamo per certo che osservò la castità tutta la vita. Ma torniamo a quest’Italia, sulla cui bandiera, secondo un caustico intellettuale dei tempi andati, dovrebbe stare scritto «Tengo famiglia». Neanche dopo la scomparsa della Dc le cose sembrano cambiate, dal momento che certi cattolici adulti hanno fatto salti mortali per introdurre da noi quell’euro che ha permesso a commercianti, artigiani, professionisti, proprietari di immobili (ma anche amministrazioni pubbliche) di raddoppiare i prezzi, facendo fuori il ceto medio. Così, comunque tu voti, a sinistra trovi tasse, a destra sfruttatori. Dunque, come si fa a metter su famiglia? Ci vogliono due stipendi (sempre che bastino), uno per pagare l’affitto o il mutuo e l’altro per mangiare. Anche le donne sono costrette a lavorare, e ciò è salutato come conquista civile. Fu un laico come Massimo Fini, qualche anno fa, a dire chiaro e tondo quel che nessuno osa dire: le donne al lavoro sono una delle più importanti cause dello sfascio della famiglia. Epperò si insiste su «quote rosa» che non basterebbero mai e su un disprezzo per il ruolo di casalinga che solo ricchissime snob possono ormai permettersi. «Famiglia», poi, vuol dire «figli». I quali richiedono tempo e denaro, due cose che le famiglie non hanno più. Così, i pochi nati vengono affidati alla scuola, con preghiera di prenderseli prima possibile e tenerseli tutto il giorno. La scuola, dal canto suo, è ormai una fabbrica di conformisti politicamente corretti, cosa che dà il colpo di grazia a una istituzione per sua natura conservatrice come la famiglia. A questo proposito è emblematico che siano cadute la braccia anche a un laico come Giovanni Belardelli sul «Corriere della Sera» (10 marzo 2007). Era accaduto che, dopo l’uccisione di un poliziotto da parte di tifosi a Catania, un gruppo di studenti di un liceo cittadino aveva pubblicato sul quotidiano locale una lettera indirizzata agli insegnanti e al preside, lamentando di vivere in assenza di valori e di punti di riferimento. Così chiudeva: «Abbiamo bisogno che qualcuno ci aiuti a trovare il senso del vivere e del morire, qualcuno che non censuri la nostra domanda di felicità e di verità». La replica, sullo stesso quotidiano, affermava che la scuola non deve certo dare risposte, bensì «stimolare domande». I giovani cercano il senso della vita? Ognuno trovi da sé «risposte adeguate al proprio percorso». Belardelli era esterrefatto: «Invece di rallegrarsi che un fatto drammatico abbia spinto un gruppo di studenti a interrogarsi sul senso del vivere, a porsi le domande essenziali, ebbene gli insegnanti li invitano puramente e semplicemente a piantarla: “Proporvi, o imporvi, delle verità è integralismo, cioè barbarie, e pertanto questo atteggiamento non può avere luogo nella scuola pubblica, cioè democratica e laica”». Insomma, «la laicità corrisponderebbe alla assenza di qualunque valore, principio, credenza». Così che «la scuola “pubblica”, “democratica” e “laica” debba essere, puramente e semplicemente, una scuola in cui si insegna a non credere a nulla». Famiglia, figli? Roba da eroi.
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