lunedì 3 novembre 2008

Un convegno a Taormina sulla composizione musicale (da OR)

di Marcello Filotei

Quaranta o cinquanta anni fa sarebbe finita come minimo a male parole. La militanza musicale era un dovere e un compositore che non avesse seguito certi principi veniva considerato alla stregua di un avversario politico, a volte un nemico. Tonalità e serialismo erano branditi come armi contundenti: o di qua o di là. Tutt'altro clima si è respirato al convegno "Le vie del comporre, domani", curato da Michele dall'Ongaro e da Matteo d'Amico nell'ambito del Sinopoli Festival 2008 che si è svolto a Taormina dal 22 al 25 ottobre.
I maggiori compositori italiani si sono dati appuntamento per confrontarsi sui diversi modi di affrontare la professione oggi. Certo qualcuno mancava perché gli impegni sono tanti per un artista in carriera, o forse perché ha preferito non confrontarsi con gli altri, e anche questo è un modo di dire la propria. Sta di fatto che dopo più di due decenni si è tornato a discutere sostanzialmente di due questioni: il modo di fare musica di ognuno e il rapporto del compositore con le istituzioni.
Il primo risultato è stato quello di constatare l'esistenza di un panorama stilistico molto più vario che in passato: la risorsa principale da sfruttare e assieme la questione essenziale da affrontare è quella della molteplicità degli stili. Le nuove generazioni, in particolare, non accettano più una separazione netta tra mondo accademico e tutto quello che gli gira intorno: dal jazz, al rock, dal pop alle espressioni musicali che arrivano da culture anche lontane geograficamente ma accessibili direttamente in un mondo che si fa ogni giorno più piccolo grazie alla rete.
Molti artisti di nuova generazione puntano proprio sulla fusione degli stili, quando non direttamente delle arti. Michele Tadini vuole "sporcarsi le mani" e lo fa soprattutto con l'elettronica che gli consente di mescolare linguaggi diversi senza trascurare i suoni reali: ultima acquisizione il tostapane che gli ha indicato Salvatore Sciarrino a colazione. Carlo Boccadoro è l'unico a dichiararsi musicista militante, che si propone cioè di "migliorare un po' le cose nel posto dove si trova", e anche Nicola Campogrande si inserisce in questa teoria di artisti che considerano superata ogni contrapposizione tra linguaggi.
Le potenzialità sono enormi, i pericoli pure. In primo luogo quello di non essere in grado di distinguere in base alla qualità. Il rischio principale - secondo Stefano Gervasoni, che insegna al Conservatorio superiore di Parigi, in un paese in cui la musica sembra avere maggiore considerazione che in Italia - è che il marketing sostituisca la discussione estetica. Se l'arte diventa un grande supermercato, insomma, bisogna saper leggere l'etichetta o si rischiano indigestioni.
Proprio la reale conoscenza di diverse realtà espressive e la possibilità di un utilizzo non didascalico di materiale proveniente da tradizioni culturali dal dna diverso da quello occidentale è stato uno dei cardini della discussione. In fondo si tratta sempre di punti di vista: l'uso della microtonalità che in occidente è considerato avanzato nel mondo orientale può essere letto come un ritorno al passato. La latitudine cambia la stessa prospettiva storica: vale la pena di tenerne conto.
Le contaminazioni di moda (da anni) non piacciono a tutti e possono diventare un boomerang, una dichiarazione di impotenza, la ricerca nell'altro di quello che non riusciamo a trovare in noi stessi. "Giocherete dopo all'estinzione", ha sintetizzato Sciarrino citando una frase che, nel film di animazione L'era glaciale, i genitori dicono ad alcuni cuccioli che si attardano a giocare nelle pozzanghere mentre il mondo rischia di scomparire.
Ma dove trovare una chiave espressiva efficace senza banalizzare il linguaggio? Nei diversi livelli di lettura che la musica ha sempre avuto, propone Alessandro Solbiati, che comunque resta convinto che comunque non si potrà arrivare al grande pubblico. Certo Brahms riusciva a scrivere un tema che trascinava le folle, incastrandolo sopra a un tessuto complesso e ricco di spunti capaci di catturare l'attenzione dell'orecchio esperto. Forse si può ancora fare. È una delle strade indicate. Un'altra, non in contrasto, è quella di Claudio Ambrosini, che cerca l'universale nel locale utilizzando le risorse culturali del suo territorio. Il vantaggio, nel suo caso, è essere nati nella Venezia dei Gabrieli, e poi di Maderna e di Nono. Luca Lombardi ama affidarsi agli esecutori: "perché una musica che pretende solo di essere eseguita con precisione e non interpretata rimane sterile". Luca Mosca la butta sul comico: una delle poche cose serie della vita. Ormai "scrivo solo operine buffe", traendo ispirazione tra l'altro dalle colonne sonore dei cartoni animati, ricchissime di caratterizzazione ritmica dei personaggi.
Molto meno disposto al sorriso sembra Marco Tutino, che alla carriera di compositore ha affiancato quella di sovrintendente e direttore artistico del Teatro comunale di Bologna. Perché? Perché "amo il potere", quello di poter fare le cose, precisa. I suoi interessi sono molto legati all'opera lirica e il "le regole ci sono": se la chiami opera "deve essere scritta secondo i criteri dell'opera, l'Elisir d'amore è un ottimo esempio. Se usi un linguaggio diverso è probabile che venga eseguita male o per niente: decidete voi".
Ma che cerca un compositore quando scrive, un riscontro immediato di pubblico o qualcosa che lo soddisfi. L'eterno dilemma rimane: successo o immortalità? Nicola Piovani, per quanto lo riguarda, l'ha risolto: "ci sono molti modi di fare musica, tutti legittimi. La mia si brucia nell'atto dell'esecuzione, non cerco la scintilla d'eternità".
A Taormina sono state dunque indicate strade differenti, obiettivi diversi, ma vissuti con una vocazione alla complementarietà piuttosto che all'esclusione. Si sono intraviste traiettorie trasversali, che mettono in contatto anche artisti esteticamente lontanissimi tra loro. Risposte definitive non erano richieste, né ipotizzabili e nessuno ha tentato di darle. Tenere conto di tutto quello che accade nella musica è un dovere, sintetizzare diversi linguaggi una possibilità, trovare una strada originale un lusso di pochi: qualche screzio magari c'è ancora, ma alla fine si salutavano tutti.

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