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mercoledì 15 maggio 2013

Bene

“È con infinita agape, molto più che schopenhaueriana, che ho compreso, senza per questo immedesimarmi, di essere di fronte a una platea di morti”. C. Bene al Maurizio Costanzo show del 27 giugno 1994.

Premessa » Il “volo” di cui parla Bene (1937 -2002), oltre al significato metaforico di distanziamento da sé e dal mondano, va attribuito al Santo di Copertino Giuseppe Desa, nato nelle Puglie nel 1603, “illetterato et idiota”. Si dice che questo frate avesse il dono della levitazione, e che tale fenomeno si verificasse soprattutto durante le preghiere che venivano rivolte alla Madonna. Più volte i suoi confratelli (così narra la leggenda) furono costretti a trattenerlo al suolo per evitare che “frate asino” si dileguasse in cielo.



“Giuseppe da Copertino - racconta Bene - è personaggio controverso, la chiesa aspetterà duecento anni prima di farlo santo. […] Sempre circondato da poveri. Chi orbo, chi storpio, chi deforme. Si aggrappano alla sua tonaca e lui se li porta in alto, salvo poi lasciarli sfracellare al suolo quando la presa dei malcapitati manca. […] Si risvegliava, frate Asino, quasi sempre in cima al cornicione della chiesa o sopra un ramo d’ulivo, in posizioni molto precarie. […] Analfabeta totale, parlava da ignorante ma, nella sua ignoranza, è degno di San Giovanni della Croce. Morì a Osimo. Disteso su un catafalco, appena coperto da un velo fu esposto ai fedeli. La ressa nella cattedrale era tanta e tale che scoppiò improvviso un grande incendio. Fu una carneficina, morti, ustionati. Il cadavere di frate Asino rimase intatto. Gli fu asportato il cuore e tagliato un dito. Fanatismo devozionale d’un conterraneo. Si possono ammirare queste reliquie nella bacheca sacra della “grottella” a Copertino” .

estratto da " da Carmelo Bene, Nostra Signora dei Turchi"

martedì 25 novembre 2008

La relazione del maestro della Cappella musicale theatina, Flavio Colusso

La tredicesima seduta pubblica delle Pontificie Accademie

L'oratorio
tra musica e preghiera


Il 25 novembre, presso l'aula magna del Pontificio Consiglio della Cultura, si tiene la tredicesima seduta pubblica delle Pontificie Accademie sul tema "Universalità della bellezza: estetica ed etica a confronto". Pubblichiamo stralci della relazione del maestro della Cappella musicale theatina.


di Flavio Colusso

"Non si insisterà mai abbastanza sulla importanza culturale, formativa, sociale e spirituale della musica sacra. (...) Se sarete autentici cristiani, con il vostro canto sarete degli evangelizzatori, cioè dei messaggeri di Cristo nel mondo contemporaneo!". Così nel 1980 Giovanni Paolo ii salutava un consesso di musicisti nella Basilica di San Pietro.
Con il suo continuo rimando alle tematiche dell'arte, il Pontefice ha tentato una sfida per la quale gli artisti devono essergli riconoscenti: ricuperare il rapporto fra estetica e fede cristiana. Propongo un breve passo dalla sua lettera agli artisti, purtroppo ancora non sufficientemente diffusa proprio nell'ambito che gli sarebbe più proprio: quello degli artisti.
"Chi avverte in sé questa sorta di scintilla divina che è la vocazione artistica - di poeta, di scrittore, di pittore, di scultore, di architetto, di musicista, di attore - avverte al tempo stesso l'obbligo di non sprecare questo talento, ma di svilupparlo, per metterlo a servizio del prossimo e di tutta l'umanità. (...) La differente vocazione di ogni artista, mentre determina l'ambito del suo servizio, indica i compiti che deve assumersi, il duro lavoro a cui deve sottostare, la responsabilità che deve affrontare. Un artista consapevole di tutto ciò sa anche di dover operare senza lasciarsi dominare dalla ricerca di gloria fatua o dalla smania di una facile popolarità, e ancor meno del calcolo di un possibile profitto personale. C'è dunque un'etica, anzi una "spiritualità" del servizio artistico, che a suo modo contribuisce alla vita e alla rinascita di un popolo. (...) La bellezza che trasmetterete alle generazioni di domani sia tale da destare in esse lo stupore!".
Con l'esortazione: "Al Cielo, al Cielo fedeli miei divotissimi, al Cielo!", tratta da un sermone seicentesco, davamo inizio alle "prediche" del ciclo integrale degli Oratori di Giacomo Carissimi, autore cui ci stiamo dedicando da ventisei anni. Abbiamo riproposto il clima di raccoglimento e partecipazione proprio dell'oratorio - e non il semplice ascolto musicale - presentando non il "genere musicale", ma le musiche scritte per l'oratorio come evento spirituale e sociale.
Come ha ben scritto Claudio Strinati, l'arte carissimiana è una "pittografia sonora" in cui il livello "è analogo, è quello di un finissimo e fervido poeta che tocca, con pari energia creativa, tutte le corde di un universo compatto e solenne, in un continuo ampliamento dell'orizzonte espressivo".
Le opere di Carissimi, come nuovi-antichi "modelli", sono definite gemme, perle, rose "degne di intessere o di riportare in vittoria la corona d'Apollo", mentre la loro esemplarità è riconosciuta come dono del cielo. Palestrina fu eletto restauratore della polifonia; Carissimi, nella metamorfosi del gusto, traspare come una specie di stella fissa e le sue teorie e i suoi "modelli" come insegnamenti aurei.
Lino Bianchi scrive che Carissimi "seppe comunicare la parola sacra con sentimento di profonda fede" e che "la caratteristica saliente del genio di Carissimi è la pietà che riesce a cogliere nella verità del dolore umano". In perfetta consonanza ritengo che "la carriera a cui mirava era assolutamente interiore, e voleva essere la carriera delle opere che sarebbero nate dallo spirito che gli dettava dentro; eleva a Oratorio le historie, i dialoghi, i mottetti con un profondo carattere epico sacro. Carissimi lo aveva in sé questo carattere. Era la luce tutta particolare del suo genio".
Cosciente che Arcta est via quae ducit ad coelum, egli applica su di sé e insegna ai suoi allievi il metodo del discernimento degli esercizi spirituali. Nell'ottica del "combattimento spirituale", la metafora della battaglia del soldato della Riforma Cattolica trova una mutazione esemplare e potente: questo nuovo soldato, riprendendo antichi elementi a vantaggio di nuovi significati, rivolge la spada - ri-componendone insieme i frammenti - verso il suo interno; nell'esercizio riscatta, in una rinnovata unità dell'homo universalis, la pienezza dell'humanitas e la grazia dell'humilitas. Frammenti che si sublimano in scene dove antico e nuovo Testamento sono colti come frutti e semi di una nuova parabola musicale. (...) Il compositore ispirato opera (...) un trasferimento di istanze che si traducono in un codice leggibile su differenti piani e a differenti livelli, e la sua musica "non deve essere composta per un vacuo diletto delle orecchie (...), affinché i cuori degli ascoltatori siano conquistati dal desiderio delle armonie celesti e dal gaudio della contemplazione dei beati", come recita la delibera sulla musica sacra in chiesa della xxii sessione del Concilio di Trento (1562).



(©L'Osservatore Romano - 24-25 novembre 2008)