«L'eredità del Magistero di Pio XII» è il titolo del convegno organizzato per il cinquantesimo anniversario della morte di Papa Pacelli che si svolgerà il 6 e il 7 novembre alla Pontificia Università Gregoriana e alla Pontificia Università Lateranense. Dopo i saluti dei rettori dei due atenei pontifici - il gesuita Gianfranco Ghirlanda e l'arcivescovo Rino Fisichella - i lavori saranno introdotti da una relazione del cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone. Il convegno si concluderà sabato 8 con l'udienza concessa da Papa Benedetto XVI. Pubblichiamo stralci dell'intervento dell'arcivescovo presidente del Pontificio Consiglio della Cultura.
di Gianfranco Ravasi La fluidità semantica che ormai accompagna il termine "cultura" - considerata sempre più come una dimensione "trasversale" e non più come circoscritta al perimetro delle arti liberali - rende piuttosto arduo un itinerario nel mondo culturale di Papa Pacelli. E questo non solo per la complessità della ricostruzione della sua formazione e della sua esperienza, ma anche per il piccolo oceano testuale da lui prodotto attraverso il suo lungo magistero ecclesiale. Consapevoli che la cultura di Papa Pacelli, nel senso soggettivo del genitivo, sia stata già sufficientemente esplorata secondo angolature diverse, noi opteremo più per una verifica, non certo esaustiva ma solo emblematica, della dimensione "oggettiva" di quel genitivo. (...) Nel nostro itinerario testuale all'interno del magistero più specificamente culturale di Pio XII, come è facile intuire, si aprirebbero davanti a noi tante piste possibili, anche secondo le diverse arti. Abbiamo, così, deciso - optando sempre per semplici sondaggi - di presentare una lettura pacelliana di due discipline distanti tra loro, poste quasi agli estremi dello spettro variegato delle arti (che, tra l'altro, si è arricchito di nuovi soggetti, come ad esempio il cinema, del quale pure Pio XII si è interessato con la Miranda prorsus del 1957). Noi, invece, affronteremo solo il tema della musica e dello sport.
Alla prima, grande arte, tanto cara alla tradizione ecclesiale, Papa Pacelli ha dedicato nel 1955 un'enciclica, la Musicae sacrae disciplina, celebrandola come "nobilissima e purissima arte", "riverbero dell'infinita bellezza di Dio". Ne viene anche tratteggiato "il lungo cammino" che, "dalle semplici e pure melodie gregoriane, nel loro genere però perfettissime", è giunto "alle grandiose e magnifiche opere d'arte nelle quali non solo la voce umana, ma altresì l'organo e gli strumenti aggiungono dignità, ornamento e prodigiosa ricchezza". Certo, non è compito del magistero "dettare leggi di carattere estetico o tecnico nei riguardi della nobile disciplina della musica". Ma appartiene alla missione della Chiesa "difendere la musica da tutto ciò che potrebbe menomarne la dignità, essendo essa chiamata a prestare servizio in un campo di così grande importanza qual è quello del culto divino".
L'angolo visuale è, quindi, quello liturgico e la musica viene considerata nella sua funzione - "per mezzo dei colori, delle linee e dell'armonia dei suoni" - di esprimere la fede e la pietà. Perciò, pur essendo nota la passione musicale di Pacelli (si dice che le sue ultime ore siano state accompagnate dalle musiche di Sibelius), il suo approccio è squisitamente pastorale e, proprio perché, a suo dire, "la musica sacra è più vicina al culto divino che le altre arti belle, come l'architettura, la pittura e la scultura (queste cercano di preparare una degna sede ai riti divini, quella invece occupa un posto di primaria importanza nello svolgimento stesso dei riti sacri)", diventa indispensabile "difenderla da tutto ciò che potrebbe menomarne la dignità", come sopra si affermava, correggendone le deviazioni.
Anche se il Pontefice non entra nel merito delle distinzioni tra arte sacra o liturgica o, più genericamente spirituale, né si impiglia nelle questioni delicate del rapporto tra "bello" e "buono", tra estetica ed etica - in altri casi in cui tocca il tema, il suo sembra essere il pensiero tradizionale dell'intima interconnessione tra le due dimensioni, viste come epifania della vera opera d'arte - in questa enciclica uno spazio a sé stante viene riservato alla musica popolare religiosa. Essa è capace di "ricreare l'animo" e di dare "un tono di maestà religiosa ai convegni e alle adunanze più solenni" ecclesiali, infonde gioia nelle famiglie, accompagna festosamente le processioni, i pellegrinaggi, gli eventi e i congressi religiosi. Un cenno viene riservato anche ai canti etnici dei paesi di missione che potrebbero fungere da modello per l'elaborazione di canti cristiani popolari. Non mancano neanche note concrete, come l'invito a ricorrere "a un linguaggio facile e a una melodia semplice", aborrendo dalla "profusione di parole gonfie e vuote" e costituendo "sodalizi per l'istruzione del popolo nella musica sacra".
Eccoci, infine, allo sport a cui viene dedicata una considerazione specifica in occasione del messaggio agli sportivi italiani (20 maggio 1945), perché la Chiesa deve "curarsi dei corpi e della cultura fisica", e questo sulla base del valore teologico assegnato al corpo dalla stessa Bibbia che ne fa "creatura di Dio al pari dell'anima". Anzi, lo considera tempio dello Spirito Santo (I Corinzi, 6, 19), "dimora di un'anima" e destinato alla risurrezione. Ammiccando a una metafora vegetale biblica ben nota (cfr. Salmi, 90, 5-6; 103, 15-16; Isaia, 40, 6-7; Giobbe, 14, 1-2), Pio XII osserva che il corpo umano non è mera "carne materiale, il cui vigore e la cui bellezza nascono e fioriscono per poi presto appassire e morire, come l'erba del campo che finisce nella cenere e nel fango". Il corpo è invece un "capolavoro di Dio", "destinato a fiorire quaggiù, per schiudersi immortale nella gloria del cielo".
C'è anche, per quanto concerne lo sport, il rimando a san Paolo che a più riprese fa riferimento alla corsa nello stadio o al pugilato per rappresentare il suo apostolato (cfr. i Corinzi, 9, 24-27; Filippesi, 3, 14; 2 Timoteo, 4, 7-8; cfr. i Corinzi, 10, 31: quest'ultimo testo riceve un'applicazione "sportiva" dal Papa). È, allora, importante stabilire una riflessione spirituale ed etica su questa particolare arte. Pio XII elenca alcuni punti indispensabili di questa peculiare agenda che ha nelle attività sportive la sua espressione. Innanzitutto essa esige una disciplina rigorosa, "una formazione ed educazione perfetta ed equilibrata di tutto l'uomo", così da rivelare e coltivare la "dignità e armonia del corpo umano". Ma questa non è che la modalità estrinseca di un'educazione interiore profonda, posta "in stretto rapporto con la morale".
Infatti, lo sport correttamente esercitato abitua all'esame e alla padronanza di se stessi, passando dalla "robustezza fisica" alla "forza e grandezza morale". Nella linea di questa unità psicofisica che lo sport esalta, Papa Pacelli introduce - basandosi anche sulla testimonianza del suo predecessore, Pio XI appassionato alpinista - la funzione formativa nelle virtù che si devono ottenere attraverso l'arte sportiva. C'è, ad esempio, il fair play che definisce come "emulazione cavalleresca e cortese"; ma c'è soprattutto quel corteo di virtù umane e spirituali che accompagnano lo sport, come "la lealtà, il coraggio, la sopportazione, la risolutezza, la fratellanza universale".
Risalendo ancora idealmente a un monito dell'Apostolo Paolo, si esorta lo sportivo a non ridurre tutto il suo impegno alla semplice meta di "guadagnare una coppa" o, peggio, a "darsi arie da superuomo", ma a trasformare questa attività in un vero e proprio atto "simbolico", che sappia cioè tener insieme tutte le capacità dell'essere umano, creando un'armonia e una bellezza attraverso "il raffrenamento e l'assoggettamento del corpo all'anima immortale". Ed è per questa via che può nascere e fiorire una "balda, franca, generosa, audace gioventù". Proprio questa sequenza di aggettivi di tonalità retorica e datata, almeno per il nostro gusto attuale, ci permette di concludere con una piccola testimonianza sullo stile letterario di Papa Pacelli. Naturalmente si potrebbe eseguire un'analisi rigorosa di indole critica sul suo dettato, ma questo richiederebbe una ricerca ben più sistematica di quella da noi condotta.
È indubbio che i suoi testi manifestano costantemente una loro coerenza e coesione stilistica, rivelando l'unicità dell'autore che, pur usando eventuali contributi, li imposta e li impasta nell'omogeneità del suo dettato e del suo pensiero. Un pensiero che, pur nel suo nitore, si sviluppa spesso in modo ramificato con riprese tematiche, con scantonamenti lungo corollari, con applicazioni immediate. Tuttavia, rimane sempre abbastanza delineato il tronco del discorso nel suo messaggio fondamentale, impedendo ogni equivoco ermeneutico. Sostanzialmente si è in presenza dell'ars rhetorica ecclesiastica tradizionale con tutte le sue risorse, compresa quella dell'incisività, sostenuta dalla reiterazione parallelistica e dal crescendo.
Ecco un bell'esempio nella Summi pontificatus: "L'ora della vittoria è un'ora dell'esterno trionfo per la parte che riesce a conseguirla; ma è in pari tempo l'ora della tentazione, in cui l'angelo della giustizia lotta con il demone della violenza; il cuore del vincitore troppo facilmente s'indurisce; la moderazione e una lungimirante saggezza gli appaiono debolezza; il bollore delle passioni popolari, attizzato dai sacrifici e dalle sofferenze sopportate, vela spesso l'occhio anche ai responsabili e fa sì che non badino alla voce ammonitrice dell'umanità e dell'equità, sopraffatta o spenta dall'inumano "Guai ai vinti!"".
Il ventaglio lessicale è ricco, non rifugge dal ricorso al linguaggio alto e a qualche vezzo arcaizzante; frequente è l'accumulo nell'aggettivazione, propria dell'eloquenza sacra e, più in genere, pubblica di quel periodo storico; non si disdegna l'uso del simbolo e la spezia della passione e del sentimento. Il cursus sintattico, che privilegia l'ipotassi, procede solenne, rivelando il dominio non solo della lingua, ma anche dell'arsenale delle sue potenzialità evocative, del repertorio del suo lessico, del patrimonio delle sue metafore. Quindi, pur con una semplice perlustrazione di superficie, la qualità letteraria dell'opera di Pio XII ne conferma lo spessore culturale, intimamente connesso alle coordinate storiche, alle loro urgenze e istanze. Si configura, così, un modello netto e caratteristico di cultura cattolica, contrassegnata da una sua identità che si àncora alla tradizione cristiana occidentale.
Io sono Paolo Merolla, se siete qui credete di essere dei perdenti, infatti lo siete.
mercoledì 5 novembre 2008
La cultura secondo Papa Pacelli - di Gianfranco Ravasi
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