Una semplice croce
Un tribunale spagnolo ha appena emesso una sentenza con la quale si sollecitano i responsabili di una scuola pubblica a rimuovere i crocifissi dalle aule, adducendo come motivazione che la presenza di una semplice croce viola il "diritto fondamentale alla libertà religiosa e di culto". A nessuna persona in pieno possesso delle proprie facoltà sfugge che il segno della croce non viola nessun diritto fondamentale; tuttavia, da qualche tempo, l'invocazione di diritti e libertà si sta trasformando in Spagna in un pretesto giuridico che maschera un sentimento di odio antireligioso e di "cristofobia" - come in modo molto appropriato lo ha definito il cardinale primate Cañizares - sentimento che l'autorità avrebbe l'obbligo di perseguire, invece di concedergli una copertura giuridica. Da qualche tempo, in Spagna l'alone di odio attorno alla Chiesa di Dio - così definì Chesterton in L'uomo eterno quella "fosforescenza extraterrena" che, nei crepuscoli della storia, perseguita i cristiani - si è mascherato di giuridicità, sostituendo l'accanimento cruento di altre epoche non troppo lontane con un'apparenza più sibillina e asettica.
La visione di un crocifisso chi può offendere? Non, naturalmente, quanti non sono stati educati nel cristianesimo; poiché, per questi, un crocifisso sarà come il monolite che adoravano gli uomini delle caverne, una figura priva di significato religioso in cui, forse, scopriranno un significato storico. Non può esserlo neppure per quanti, educati nel cristianesimo, non professano però la fede cattolica; e oserei dire che, per questi ultimi, il crocifisso può riassumere le più nobili vocazioni dell'uomo: vocazione di dedizione e di carità, da un lato, vocazione di mistero e infinitezza, dall'altro. Nulla di offensivo, dunque. Il crocifisso, in definitiva, può offendere solo quanti vogliono - e in questo consiste in realtà il laicismo, per quanto si nasconda dietro alibi giuridici - che lo Stato diventi un nuovo dio, con potere assoluto sulle anime.
Che si giunga a considerare un crocifisso offensivo in Occidente si può solo interpretare come un sintomo allarmante di amnesia o necrosi culturale; o - così ha detto Benedetto XVI nel suo discorso di apertura del recente Sinodo - come una "perdita d'identità". Da qualche tempo, un impulso autodistruttivo si sta impossessando dell'Europa, trovando la sua espressione più triste e pervicace nell'ansia di cancellare dalla nostra memoria il lascito morale e culturale del cristianesimo; e in Spagna questo impulso autodistruttivo assume espressioni violente. Come gli scorpioni che si pungono con il proprio pungiglione e agonizzano vittime del loro veleno, si direbbe che noi europei abbiamo deciso di annichilirci, emarginando e dimenticando l'eredità storica che ci costituisce. S'inizia a confondere la sana laicità dello Stato con una belligeranza antireligiosa che cerca di negare all'uomo il suo vincolo con la trascendenza, che cerca di cancellare la nostra genealogia spirituale e culturale. L'Europa sembra aver dimenticato che la patria dell'uomo, come ci ha insegnato Maritain, è l'Assoluto.
Quando l'uomo viene esiliato da questa patria comune, quando gli viene strappata questa parte irrinunciabile di se stesso, lo si sta condannando allo sradicamento, alle intemperie, all'abbandono, alla disperazione; lo si sta relegando, in definitiva, alla condizione di triste materia.
Il fatto che questo impulso autodistruttivo giunga alle scuole ci pone dinanzi a una realtà paurosa. Il Crocifisso ci insegna che la morte non ha dominio sull'uomo, che il motivo del nostro cammino terreno non è altro che il trionfo della vita. Quando si sa questo, tutto il resto acquista significato. Tuttavia il laicismo che oggi trionfa in Spagna ci vuole sempre più orfani d'identità; e sa che quando noi spagnoli smetteremo di guardare a colui che è appeso a quel legno, avremo smesso di sapere chi siamo e saremo pronti a essere ciò che vogliono fare di noi. Il laicismo intende privare di "senso" la trasmissione culturale della conoscenza, trasformandola in un mero accumulo di dati sconnessi; e per questo si sforza di allontanare i crocifissi dalla contemplazione dei bambini, poiché alla luce del Crocifisso i pezzi della conoscenza si assemblano, formano un amalgama che nutre di significato la vita e la storia umana.
In quella semplice croce si riassume la storia del genere umano, con tutta la sua genealogia di debolezza e grandezza, gioia e dolore. In quella semplice croce vengono riassunte e denunciate tutte le barbarie che l'uomo ha perpetrato, dall'uccisione di Abele fino a uno qualsiasi dei massacri che oggi decimano l'umanità; in essa si plasma il nostro fecondo anelito di ribellarci contro la morte. In quella semplice croce si riassumono le due vocazioni più nobili dell'uomo: una vocazione di pietà e di donazione dinanzi alla sofferenza umana; e, insieme a essa, spiegandola, una vocazione di trascendenza che ci aiuta ogni giorno a risuscitare dalle macerie della nostra fragilità. Per venti secoli, il mistero della Croce è servito anche da gioiosa ispirazione alle più durature creazioni dell'arte e dell'intelletto; né Velázquez né Unamuno, per citare solo due figure spagnole che confluiscono dinanzi all'immagine del Crocifisso, sarebbero spiegabili senza tale mistero. Venti secoli di cultura occidentale si riassumono in questi due legni nudi: venti secoli di conquiste che nobilitano la storia umana; venti secoli agitati di crudeltà che un Dio che si immola per le sue creature ci invita a detestare. In quella semplice croce, equilibrio umano dei due comandamenti, vi è tutto ciò che siamo, tutto ciò a cui aneliamo essere, tutto ciò di cui ci vergogniamo di essere stati.
Al lascito che rende nobili e che è riassunto in quella semplice croce sta oggi rinunciando l'Europa; e la sentenza che ha appena emesso un tribunale spagnolo consacra giuridicamente la rinuncia di un'Europa disorientata, irrazionalmente in preda a un impulso di autodistruzione.
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