Nessun arbitrio o incertezza
nell'accertare la morte
La donazione di organi è "una forma particolare di testimonianza della carità", ma non devono esserci arbitrii o incertezze nell'accertamento della morte del paziente donatore. Lo ha affermato il Papa incontrando venerdì mattina, 7 novembre, i partecipanti a un congresso internazionale promosso dalla Pontificia Accademia per la Vita.
Venerati Confratelli nell'Episcopato,
Illustri Signori e Signore!
La donazione di organi è una forma peculiare di testimonianza della carità. In un periodo come il nostro, spesso segnato da diverse forme di egoismo, diventa sempre più urgente comprendere quanto sia determinante per una corretta concezione della vita entrare nella logica della gratuità. Esiste, infatti, una responsabilità dell'amore e della carità che impegna a fare della propria vita un dono per gli altri, se si vuole veramente realizzare se stessi. Come il Signore Gesù ci ha insegnato, solamente colui che dona la propria vita potrà salvarla (cfr. Lc 9, 24). Nel salutare tutti i presenti, con un particolare pensiero per il Senatore Maurizio Sacconi, Ministro del Lavoro, della Salute e Politiche Sociali, ringrazio l'Arcivescovo Mons. Rino Fisichella, Presidente della Pontificia Accademia per la Vita, per le parole che mi ha rivolto, illustrando il profondo significato di questo incontro e presentando la sintesi dei lavori congressuali. Insieme con lui, ringrazio anche il Presidente dell'International Federation of Catholic Medical Associations e il Direttore del Centro Nazionale Trapianti, sottolineando con apprezzamento il valore della collaborazione di tali Organismi in un ambito come quello del trapianto degli organi che è stato oggetto, illustri Signori e Signore, delle vostre giornate di studio e di dibattito.
La storia della medicina mostra con evidenza i grandi progressi che si sono potuti realizzare per permettere una vita sempre più degna ad ogni persona che soffre. I trapianti di tessuti e di organi rappresentano una grande conquista della scienza medica e sono certamente un segno di speranza per tante persone che versano in gravi e a volte estreme situazioni cliniche. Se il nostro sguardo si allarga al mondo intero è facile individuare i tanti e complessi casi in cui, grazie alla tecnica del trapianto di organi, molte persone hanno superato fasi altamente critiche e sono state restituite alla gioia di vivere. Questo non sarebbe mai potuto avvenire se l'impegno dei medici e la competenza dei ricercatori non avessero potuto contare sulla generosità e sull'altruismo di quanti hanno donato i loro organi. Il problema della disponibilità di organi vitali da trapianto, purtroppo, non è teorico, ma drammaticamente pratico; esso è verificabile nella lunga lista d'attesa di tanti malati le cui uniche possibilità di sopravvivenza sono legate alle esigue offerte che non corrispondono ai bisogni oggettivi.
È utile, soprattutto nel contesto odierno, ritornare a riflettere su questa conquista della scienza, perché non avvenga che il moltiplicarsi delle richieste di trapianto abbia a sovvertire i principi etici che ne stanno alla base. Come ho detto nella mia prima Enciclica, il corpo non potrà mai essere considerato un mero oggetto (cfr. Deus caritas est, n. 5); la logica del mercato, altrimenti, avrebbe il sopravvento. Il corpo di ogni persona, insieme con lo spirito che è dato ad ognuno singolarmente, costituisce un'unità inscindibile in cui è impressa l'immagine di Dio stesso. Prescindere da questa dimensione conduce verso prospettive incapaci di cogliere la totalità del mistero presente in ognuno. È necessario, quindi, che in prima istanza si ponga il rispetto per la dignità della persona e la tutela della sua identità personale. Per quanto riguarda la tecnica del trapianto di organi, ciò significa che si può donare solamente se non è mai posto in essere un serio pericolo per la propria salute e la propria identità e sempre per un motivo moralmente valido e proporzionato. Eventuali logiche di compravendita degli organi, come pure l'adozione di criteri discriminatori o utilitaristici, striderebbero talmente con il significato sotteso del dono che si porrebbero da sé fuori gioco, qualificandosi come atti moralmente illeciti. Gli abusi nei trapianti e il loro traffico, che spesso toccano persone innocenti quali i bambini, devono trovare la comunità scientifica e medica prontamente unite nel rifiutarli come pratiche inaccettabili. Esse pertanto vanno decisamente condannate come abominevoli. Lo stesso principio etico va ribadito quando si vuole giungere alla creazione e distruzione di embrioni umani destinati a scopo terapeutico. La semplice idea di considerare l'embrione come "materiale terapeutico" contraddice le basi culturali, civili ed etiche su cui poggia la dignità della persona.
Avviene spesso che la tecnica del trapianto di organi si compia per un gesto di totale gratuità da parte dei parenti di pazienti di cui è stata accertata la morte. In questi casi, il consenso informato è condizione previa di libertà, perché il trapianto abbia la caratteristica di un dono e non sia interpretato come un atto coercitivo o di sfruttamento. È utile ricordare, comunque, che i singoli organi vitali non possono essere prelevati che ex cadavere, il quale peraltro possiede pure una sua dignità che va rispettata. La scienza, in questi anni, ha compiuto ulteriori progressi nell'accertare la morte del paziente. È bene, quindi, che i risultati raggiunti ricevano il consenso dall'intera comunità scientifica così da favorire la ricerca di soluzioni che diano certezza a tutti. In un ambito come questo, infatti, non può esserci il minimo sospetto di arbitrio e dove la certezza ancora non fosse raggiunta deve prevalere il principio di precauzione. È utile per questo che si incrementi la ricerca e la riflessione interdisciplinare in modo tale che la stessa opinione pubblica sia messa dinanzi alla più trasparente verità sulle implicanze antropologiche, sociali, etiche e giuridiche della pratica del trapianto. In questi casi, comunque, deve valere sempre come criterio principale il rispetto per la vita del donatore così che il prelievo di organi sia consentito solo in presenza della sua morte reale (cfr. Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 476). L'atto d'amore che viene espresso con il dono dei propri organi vitali permane come una genuina testimonianza di carità che sa guardare al di là della morte perché vinca sempre la vita. Del valore di questo gesto dovrebbe essere ben cosciente il ricevente; egli è destinatario di un dono che va oltre il beneficio terapeutico. Ciò che riceve, infatti, prima ancora di un organo è una testimonianza di amore che deve suscitare una risposta altrettanto generosa, così da incrementare la cultura del dono e della gratuità.
La via maestra da seguire, fino a quando la scienza giunga a scoprire eventuali forme nuove e più progredite di terapia, dovrà essere la formazione e la diffusione di una cultura della solidarietà che si apra a tutti e non escluda nessuno. Una medicina dei trapianti corrispondente a un'etica della donazione esige da parte di tutti l'impegno per investire ogni possibile sforzo nella formazione e nell'informazione, così da sensibilizzare sempre più le coscienze verso una problematica che investe direttamente la vita di tante persone. Sarà necessario, pertanto, fugare pregiudizi e malintesi, dissipare diffidenze e paure per sostituirle con certezze e garanzie in modo da permettere l'accrescersi in tutti di una sempre più diffusa consapevolezza del grande dono della vita.
Con questi sentimenti, mentre auguro a ciascuno di continuare nel proprio impegno con la dovuta competenza e professionalità, invoco l'aiuto di Dio sui lavori del Congresso ed imparto a tutti di cuore la mia Benedizione.
(©L'Osservatore Romano - 8 novembre 2008)
Nessun commento:
Posta un commento