mercoledì 19 novembre 2008

Intervista con Giuseppe Liberto, direttore della Cappella Musicale Pontificia Sistina

Musica e liturgia secondo il direttore della Cappella Sistina

Quando la Parola
s'incarna in uno spartito


La Libreria Editrice Vaticana ha pubblicato il libro Parola fatta canto, una raccolta di riflessioni sulla musica e la liturgia del maestro direttore della Cappella Musicale Pontificia Sistina, monsignor Giuseppe Liberto (Città del Vaticano, 2008, pagine 135, euro 14,50). Ne pubblichiamo la prefazione.

di Pierangelo Sequeri

In questo saggio lo spirito di un genuino affectus fidei che anima i molti anni del ministero ecclesiale della musica esercitato dal maestro monsignor Giuseppe Liberto, traspare sin dal tenore della scrittura. Musicale anch'essa, la parola scritta fa vibrare corde di risonanza che accomunano lettori diversi: quello colto e professionale, quello di interesse e di affezione. Non è una qualità secondaria, questa, per un argomento così cruciale.
Il tema del nesso - dei molti nessi, in realtà - fra musica e liturgia è tema delicato e profondo. Non sopporta la rumorosa invadenza di irrispettose strumentalizzazioni, ma neppure il chiasso di pretestuose polemiche, che hanno altre ragioni, o sono semplicemente fine a se stesse. L'osservazione, del resto, vale in modo affatto caratteristico per la musica e per la liturgia, considerate separatamente. L'esercizio fine dello spirito e la profonda sensibilità di cui vivono entrambe, sia pure con modalità specifiche e diverse, è già di per sé disturbato e corrotto dal rumore e dal chiasso. A maggior ragione, la qualità armonica e spirituale del discorso che ne esplora le ragioni di intima corrispondenza deve in certo modo restituirne, con risonanze sensibili, l'andamento interiore.
La felice trasposizione presentata dal titolo (Parola fatta canto) non è soltanto un'innocua metafora. La germinazione dell'istanza di un nuovo canto cristiano matura in un contesto culturale (quello greco-romano e giudaico-ellenistico) nel quale il pensiero della spiritualità più alta raccomanda l'approdo al silenzio delle voci e dei suoni. Là dove essi non sono considerati un puro e semplice disturbo dell'interiorità, sono indicati come un semplice strumento propedeutico all'armonia psicofisica che deve favorirne l'autonomo esercizio verso la muta contemplazione che immerge nel divino.
Nel contesto del culto, poi la sostanziale fissità delle formule tramandate è destinata essenzialmente a marcare la distanza tra la parola rituale e l'espressività interiore. Nel quadro della festa, infine, l'eccitazione dei suoni prevale di gran lunga sull'elaborazione musicale della semantica della parola: delle sue articolazioni significanti, delle sue gestualità espressive, delle sue intonazioni affettive.
Tutto questo spiega sufficientemente bene le prese di distanza e i tratti di reticenza che caratterizzano alcune espressioni della letteratura antico-patristica in tema di rapporti fra musica e culto. La lettura spirituale della tradizione biblica e neotestamentaria (...) prepara tuttavia il terreno per la maturazione di una loro nuova alleanza sul piano delle pratiche vocali (e successivamente strumentali) della parola che si fa canto. La via regale di questa riconciliazione è la fede nell'incarnazione. "La Parola si è fatta carne". Nella musica la qualità spirituale si esprime attraverso la vibrazione e la modulazione appropriata alla qualità "incarnata" della parola. Nella viva voce, in primo luogo e insostituibilmente. E poi, corrispondentemente, nella coralità della creazione, che fornisce strumenti per la lode di tutto il cosmo. "La Parola si fa canto".
Il cristianesimo era dunque predisposto per generare, nel "canto" e nella "musica", il riflesso coerente della sua inaudita qualità spirituale. L'esperienza integrale del Corpo del Signore, che edifica l'ekklesìa degli adoratori in spirito e verità, trova spontaneamente la via della consonanza più adeguata alla "liturgia celeste" in cui la nuova creazione cristologicamente riconciliata e perfettamente compiuta, risuona eternamente.
L'avventura creativa del nuovo canto cristiano incoraggia l'elaborazione di un rapporto fine, intrinseco, semanticamente articolato della musica con la parola in cui la Parola di Dio risuona. Ugualmente distante dall'astrazione del silenzio filosofico e dall'eccitazione della pulsione orgiastica, la pura intensità del nuovo canto cristiano incomincia a svolgere la sua inedita tessitura fra pnèuma e phonè. Era certo necessario, per dare slancio e immaginazione al nuovo corso, l'impulso di qualche apparizione singolare del genio cristiano. L'invenzione di Ambrogio, alla quale Liberto dedica pagine di accurata contestualizzazione, attraverso gli scritti teologici e spirituali del grande vescovo, unitamente all'intuizione geniale di Agostino, che ne trae argomento per una teologia musicale della vox humana che farà letteralmente la storia, offrono l'apertura necessaria per il nuovo orizzonte.
Delle intrinseche ragioni di una spiritualità cristiana della musica, e della pratica musicale al servizio della liturgia, l'autore offre tutte le variazioni essenziali nel saggio di apertura, seguito da un doppio elegante "ricercare" sul canto dell'agape e sul canto della speranza, dentro le pieghe delle due encicliche di Benedetto XVI.
Fra i tre studi che compongono la parte centrale del volume, di grande accuratezza anche informativa, desidero richiamare l'attenzione sulla speciale originalità di quello dedicato al "Trisagion", la cui sostanza di istruzione e di ispirazione, anche per i compositori di musica della liturgia, va ben oltre lo specifico argomento di applicazione.
Nella sezione "Figure", infine, il profilo dedicato a Lorenzo Perosi, oltre che un ritratto preciso e partecipe è un vero e proprio inventario dei temi che devono essere approfonditi e studiati. Dell'esemplarità del grande sacerdote musicista deve ancora essere distillata la misura esatta di istruzione e di ispirazione che essa offre, sulla soglia della contemporaneità, per un rinnovato slancio del ministero musicale dedicato alla Chiesa, nel contesto del nostro tempo.
Del resto è proprio questo, nell'impressione che ha suscitato in me, l'intento complessivo delle riflessioni di Giuseppe Liberto composte in questo volume. L'intento cioè di sostenere e incoraggiare, proprio in questi tempi un po' incerti e convulsi, l'inclinazione delle nuove generazioni all'apprezzamento e allo studio di una grande tradizione del ministero cristiano.
Ministero musicale, ma non solo. Più profondamente, ministero della celebrazione e della comunicazione della fede: della profondità delle sue "passioni" e della felicità dei suoi jubilus. Dove la Parola si fa canto, la fede si fa incanto. (...) Il ministero della musica non è dunque cosa da poco, né può essere mortificato nell'esercizio di una semplice integrazione sentimentale della celebrazione. Alla Parola non può mancare la voce.



(©L'Osservatore Romano - 20 novembre 2008)

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