Presentato «L'inverno più lungo» di Andrea RiccardiSalvando Roma
salvò gli ebrei
di Raffaele Alessandrini Èmolto probabile che anche Karl Rahner oggi plaudirebbe con trasporto di fronte al nuovo studio di Andrea Riccardi L'inverno più lungo 1943-44: Pio xii, gli ebrei e i nazisti a Roma (Roma-Bari, Laterza, 2008, pagine 404, euro 18) presentato martedì 30 settembre presso la sede romana delle Edizioni Laterza. Il teologo di Friburgo, il 29 febbraio 1964 - e quindi un anno dopo la prima rappresentazione del dramma teatrale Der Stellvertreter di Rolf Hochhuth - in una conferenza all'Accademia Cattolica di Baviera ebbe a osservare come in ambito conciliare, in quel periodo, si stesse criticando un certo atteggiamento "trionfalistico clericale" per il quale la Chiesa è davvero tutto, e cioè "maestra di popoli nonché saggia e navigata madre degli uomini", sottacendo però come perfino il più pio dei cristiani, pur fedele alla Chiesa e ai suoi principi, possa a volte anche prendere decisioni sbagliate dalle conseguenze pesanti per la vita pubblica e privata. La stessa colpa però, all'inverso - notava Rahner - si riscontra altrettanto spesso tra i laicisti, o nel clero di mentalità laicale. Secondo questi ultimi, ad esempio, "la Chiesa avrebbe dovuto prevedere tutte le conseguenze della svolta impressa dall'editto costantiniano (...) avrebbe avuto la possibilità di evitare tutti gli errori e tutte le conclusioni teologiche precipitate che finirono per condurre poi alla persecuzione degli eretici, alle guerre di religione (...) insomma, a tutti gli eventi più neri della storia ecclesiastica. A loro parere nella difesa degli ebrei, Papa Pio xii avrebbe dovuto procedere in modo completamente diverso - e naturalmente così come la pensano essi oggi".
In effetti il lavoro di Riccardi si pone all'attenzione degli studiosi per una peculiarità di fondo più volte rilevata nel corso della presentazione. Sia il senatore Francesco Cossiga, sia il cardinale Camillo Ruini come pure gli storici Anna Foa e Lutz Klinkhammer, concordano con diversità di sfumature, nel ritenere il volume di Riccardi "opera ad ampio respiro storico intorno a vicende di una complessità drammatica", ove non risalta solo la vicenda degli ebrei e la loro tragica persecuzione, insieme a quella dei loro persecutori, dei collaborazionisti, dei testimoni silenziosi e terrorizzati, ma anche l'azione e la disponibilità dei coraggiosi e anche di una Chiesa che nelle sue diverse componenti - gerarchia, clero, religiosi, religiose e laici - si adopera in moltissimi modi e con evidenti risultati ad accogliere, proteggere, nascondere quanti si trovino in condizioni di pericolo. Gli ebrei innanzitutto; ma non solo gli ebrei. Realtà di fronte alle quali lo studioso ha inteso porsi non come apologeta, né come giudice bensì come idealmente partecipe. Sono situazioni da leggere e da capire ricordando vicende di persone singole, talune umili, altre più famose, alcune delle quali in parte già note e studiate da Riccardi - basti solo ricordare la figura di monsignor Roberto Ronca "alla testa del più grosso centro di asilo e di opera clandestina che era il Laterano extraterritoriale" - ma altre assolutamente nuove, e comunque viste con un ampiezza e una varietà di prospettive inusuali. Il lavoro di Riccardi è del resto un'opera matura, frutto di decenni di ricerche, di indagini, di confronti e di riflessioni significativamente dedicato dall'autore al maestro Pietro Scoppola.
Fu lui che negli anni Settanta, suggerì all'allora giovane borsista, di indagare sulla "resistenza" passiva di Roma. Entrare giorno dopo giorno nella realtà di quei nove mesi che vanno dal settembre 1943 al giugno 1944 peraltro non sarebbe stata impresa semplice, ammette lo stesso Riccardi. Il periodo in questione, dolorosamente segnato dalla funesta giornata del 16 ottobre con il rastrellamento del ghetto ebraico e le deportazioni nei lager, non può non riproporre del resto anche il tema dei "silenzi" di Papa Pio xii. Ma è il Papa per primo ad essere ben consapevole della difficoltà della sua scelta, come un giorno confida apertamente al delegato apostolico Angelo Giuseppe Roncalli.
La posizione del Papa - come ha sottolineato il cardinale Ruini - risulta chiarissima e si comprende alla luce di tre ordini diversi di considerazioni: in primo luogo, una denuncia pubblica si mostra inefficace e controproducente e si volgerebbe a danno dei cattolici e degli stessi ebrei. Ecco allora l'opzione silente e operosa dell'etica della testimonianza. Far parlare i fatti piuttosto che lanciare proclami. Si tratta infine di preservare Roma dalla guerra guerreggiata. Anche la Chiesa del Vaticano ii, ricorda del resto il cardinale Ruini, adotterà un contegno non dissimile nei confronti delle persecuzioni condotte dai regimi comunisti dell'Est europeo richiamando la nota espressione del cardinale Agostino Casaroli "il martirio della pazienza". La Santa Sede aveva infatti sperimentato come nell'immediato dopoguerra, e negli anni Cinquanta, il mutato atteggiamento, di condanna aperta nei confronti delle persecuzioni, avesse sortito effetti devastanti nei Paesi sottoposti al giogo comunista.
Ora nei nove mesi che corrono dall'armistizio alla liberazione dell'Italia, solo una resistenza passiva come si apprende dalla voce stessa - viva e colorita - di alcuni dei più diretti collaboratori del Papa, quali monsignor Antonio Traglia, è l'unica plausibile e attuabile dai cristiani: "Bisogna non rendere più difficile la situazione della popolazione, perché poi si può resistere quando c'è speranza di un risultato... se invece non c'è questa speranza sarebbe da sciocchi. Non se po' fa' la guerra con i manici di scopa contro i carri armati".
Eppure anche così c'è modo di mostrare coraggio, solidarietà e accoglienza. Istituti, case religiose e conventi aprono le porte; nascondono; arrivano perfino a costruire nuove identità agli ospiti. Basti pensare alla false carte d'identità fatte dalle suore benedettine di Priscilla, come ricorda Klinkhammer. Ma la stessa Città del Vaticano diviene rifugio di diversi clandestini più o meno illustri: emblematici i casi di Eva Maria Jung o dello storico del concilio di Trento Hubert Jedin.
Osserva Anna Foa come sia incontestabile l'esistenza di un chiaro piano di coordinamento in tutta questa strategia di aiuti, di accoglienza e di protezione dei perseguitati. Una rete complessa e ben organizzata che peraltro viene a connettersi all'indomani del 16 ottobre. All'inizio il primo moto di solidarietà nei confronti degli ebrei è un fenomeno spontaneo tipico del popolo romano di allora. È questa infatti una Roma indicibilmente diversa rispetto a quella odierna: più piccola, più unita e familiare. E, come ricorda il cardinale Ruini, anche il Papa e la curia sono romani, non solo di nome ma anche di fatto.
Proprio Roma e la sua sicurezza sono la preoccupazione principale di Pio xii. Egli conosce a fondo e da vicino la Germania e il nazismo fin dagli anni in cui è stato nunzio a Berlino e in seguito, da segretario di Stato, primo e più fedele collaboratore di Pio xi, checché se ne dica. Egli soppesa i rischi per l'incolumità della Città aperta e per l'extraterritorialità dello stesso Stato vaticano derivanti da una condanna esplicita. Del resto Riccardi, ad alcuni rilievi sulle fonti d'archivio, sollevati da Klinkhammer ricorda l'esistenza di una lettera indirizzata a Pio xii da alcuni ebrei che dicono testualmente "Non sappiamo neppure suggerire che cosa fare". Alla fine della guerra duemila saranno i morti ebrei di Roma, e diecimila i salvati.
Non è però questione di numeri. Nel volume si ricorda quando il filosofo francese Emanuel Lévinas riferendosi alla tragedia della Shoah parla di sconfitta della cultura cristiana europea. Con analogo atteggiamento Riccardi conclude il suo libro ricordando le parole di una sopravvissuta del 16 ottobre, scampata allo sterminio: "quanti anni sono andati in fumo nei forni crematori dei lager, nel più mostruoso furto della storia?". Non essere riusciti a impedire una simile mostruosità - dice Riccardi - è stata una sconfitta di tutti, tedeschi, italiani, cristiani europei soprattutto. "Per questo anche le storie dei coraggiosi o degli onesti si collocano nel clima cupo di una pagina oscura della storia, che non si presta all'enfasi o all'esaltazione di nessuno." Questo libro di storia su Roma occupata è un esortazione buona per l'uomo di oggi a considerare se stesso e gli altri in una prospettiva di comune e reciproca responsabilità - e compassione fraterna - al di là delle appartenenze e degli schieramenti. E nondimeno di fronte a tanto dolore ci aiuta pur sempre ricordare che il decorso delle vicende non è mai sempre uguale a se stesso. "Anche nelle ore più oscure la storia ha diversi colori".
Io sono Paolo Merolla, se siete qui credete di essere dei perdenti, infatti lo siete.
giovedì 2 ottobre 2008
L'OSSERVATORE ROMANO Edizione quotidiana 2 ottobre 2008
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