venerdì 3 ottobre 2008

L'OSSERVATORE ROMANO Edizione quotidiana 3 ottobre 2008

mparare a leggere e a interpretare la Scrittura


L'arca
che attraversa i secoli





Il 3 ottobre, nella sede della Delegazione di Terra Santa, viene presentato il volume Sinfonia della Parola. Verso una teologia della Scrittura (Milano, Edizioni Terra Santa, 2008, pagine 234, euro 18) di padre Frédéric Manns, decano emerito dello Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme. Ne pubblichiamo alcuni stralci.



di Frédéric Manns


L'interpretazione delle Sacre Scritture, oggetto del Sinodo della Chiesa, resta un problema attuale. Esso è stato recentemente oggetto di due documenti della commissione biblica pontificia, ove sono descritti tutti i metodi d'interpretazione e i diversi approcci al documento sacro. Qui si promuove, inoltre, una lettura plurale del testo che permetta di scoprirne tutte le virtualità. Il metodo storico-critico rimane tuttavia quello privilegiato. Va da sé che numerosi testi neotestamentari rivelino una certa familiarità con i metodi d'interpretazione ebraici.

Curiosamente, nel XXI secolo rinasce un po' in tutto il mondo la lettura fondamentalista della Scrittura. Essa pretende di superare tutti i vari metodi di interpretazione, ricadendo in realtà in una tentazione antica. L'autore della seconda lettera di Pietro aveva definito la parola profetica come un lume che deve brillare in un luogo oscuro finché l'astro del mattino si levi nei nostri cuori. Egli rammentava ai membri della sua comunità che la profezia non è oggetto di spiegazione personale, essendo essa un bene della Chiesa. Allo stesso tempo, metteva in guardia i suoi fedeli contro i falsi dottori che danno vita a sètte pericolose. L'interpretazione cristiana della Scrittura, pur dipendendo largamente dalla Sinagoga, aggiunge un elemento nuovo:  essa vuole essere cristologica. La chiave di lettura delle Scritture è fornita da Cristo stesso. Nella Sinagoga di Nazaret Gesù si presenta come l'interprete che sta per compiere le profezie:  "Oggi questa scrittura si è compiuta". L'attualità della Scrittura obbliga a tornare a un metodo di lettura noto sotto il nome di lettura esistenziale. Sulla via di Emmaus Gesù dischiude lo spirito dei discepoli all'intelligenza delle Scritture riprendendo un metodo ebraico di esegesi, e ciò a partire dalla sua morte e risurrezione:  "E cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui" (Luca, 24, 27). Per dirla in breve, la Bibbia è la traccia di una storia che Dio cerca di santificare lungo i secoli. Senza la scienza del cuore, essa rimane un libro ermetico, impenetrabile. "Non si vede bene che con il cuore", diceva Il piccolo principe di Saint-Exupéry. Il cristianesimo non è una religione del Libro e la Parola di Dio non sussiste al di fuori di una comunità credente. La Parola di Dio non vive se non è incarnata e condivisa, giacché essa è introduzione al sacramento.


Risulta a questo punto fondamentale un confronto tra la lettura ebraica e la lettura cristiana della Scrittura. A volte è la continuità che emerge, a volte è la novità che si esprime. Urge dunque precisare i principi di lettura soggiacenti alle differenti esegesi. "La Scrittura parla la lingua degli uomini", hanno saggiamente avvertito i discepoli della scuola di Rabbi Ismaël e, a loro volta, i Padri della Chiesa. E se non si coglie il "senso" di tutte le parole, come vorrebbe Rabbi Aqiba, occorre almeno ascoltare la sinfonia che esse compongono. La controversia tra il popolo che ha concesso Gesù al mondo e il popolo che intende attuare il suo messaggio ha suscitato un fermento interpretativo, come dimostra il Dialogo con Trifone ebreo di Giustino e il trattato I principi di Origene. Questo dibattito arricchisce la testimonianza che i due popoli rendono a Dio ed esige un incessante e rinnovato lavoro di approfondimento.


La Parola di Dio è una realtà così ricca che il linguaggio razionale non è in grado di circoscrivere. Essa stessa è ricorsa al simbolo che illumina le sue numerose sfaccettature, poiché in essa è contenuto un mistero nascosto da secoli in Dio (Colossesi, 1, 26). Essa è ora significata dal pozzo, ora da una pianta, ora dall'arca di Noè, dalla manna, dalla tromba e persino dalla spada a doppio taglio. Tutti questi simboli affondano le loro radici nella Bibbia e sono comuni agli ebrei e ai cristiani, essendo l'oggetto di una rilettura adattata al milieu. La ricchezza del simbolismo è sempre al servizio dell'attualizzazione della Bibbia e non significa affatto che la realtà storica dei fatti riportati nella Scrittura non abbia importanza. Al contrario, il simbolo presuppone una realtà storica e si costruisce a partire da essa.


Per comprendere il Nuovo Testamento e la sua ermeneutica, bisogna innanzitutto conoscere l'Antico. Per permettere all'acqua di essere tramutata in vino, bisogna prima andare ad attingere l'acqua. È vivendo la tradizione totale del Cristo in questa ricapitolazione che si entra in un processo di spiritualizzazione. Il Cristo è la strada che conduce al Padre. Ma questa strada esige che ci si levi i sandali, insieme a Mosè, per accedere alla parola rivelata. La Scrittura ha una triplice dimensione e contiene un dinamismo verticale e orizzontale. Essa possiede un senso letterale, antropologico e pneumatico, in quanto conduce all'ascesa dell'uomo verso Dio. È infine una storia in atto, bisogna dunque leggerla storicamente. In conclusione, il lettore che interroga la Scrittura è interrogato, a sua volta, dalla Parola. Curiosa dialettica.


Apparentemente lo studio della Scrittura e l'annuncio della Parola confliggono:  il primo riguarda il passato del testo, mentre il secondo è preoccupato dell'attualità dell'annuncio. Ora, è proprio la Bibbia ad avviare il processo della predicazione, giacché questa è reinterpretazione e attualizzazione dell'esperienza della salvezza. La Parola di Dio continua a interpellare l'uomo di oggi.


Sul monte Sinai Dio ha dato a Mosè una carta spirituale riassunta in dieci parole. Questa rivelazione delle richieste fondamentali permette a Israele di prendere coscienza che è il Dio nascosto a parlare dal seno della nuvola. È col titolo di Parola divina che la Torah, associata a una rivelazione, s'impose. La certezza che fonda l'autorità della Torah deriva dall'affermazione:  "Io sono Yhwh, il tuo Dio, che ti ha fatto uscire dal paese d'Egitto". Yhwh ha parlato a Mosè per farsi riconoscere come l'Unico. E parlando, Yhwh agisce, perché la sua parola è una potenza che compie quello che dice. Dio la invia come un messaggero che corre e veglia su di essa affinché si compia.


Questa parola non è un fattore tra gli altri nell'economia della salvezza:  essa dà un senso a tutta la storia al punto da essere personificata. "Stabile come il cielo" (salmo 119, 89), rivela la fedeltà di Dio. "Il suo messaggio corre veloce" (salmo 147, 15), dà testimonianza della sua azione nel mondo. I profeti non cessarono di approfondire gli avvenimenti dell'Esodo e vi scorsero un modello della futura liberazione. I salmisti vi scoprirono il dramma della vita interiore che si rinnova in ciascuno.


Dopo il ritorno dall'esilio, il popolo ebraico, sotto la guida di Esra, prese coscienza dell'importanza dell'obbedienza alla Torah, nel quadro dell'alleanza, per la stessa sopravvivenza del popolo. Esra fu incaricato di insegnare la Torah. Neemia mise allo stesso modo l'accento sulla necessità di osservare scrupolosamente il Sabato. Quest'ultimo, che consentiva di distinguere Israele dai popoli vicini, guadagna un posto di rilievo nella vita del popolo. Per vegliare sul rispetto del Sabato, gli scribi precisarono con minuzia ciò che era permesso e proibito in quel giorno.


All'interno del giudaismo esistevano diverse scuole di interpretazione della Torah che erano ricorse a metodi differenti di lettura. Contrariamente ai Farisei, i Sadducei non accettavano la Torah orale. Gli Esseni avevano i loro principi di lettura, in particolare il Pesher (interpretazione della Scrittura che insiste sull'attualizzazione e sul senso escatologico). I due grandi interpreti della Scrittura all'epoca di Gesù erano Hillel e Shammaï:  il primo celebre per la sua umiltà, il secondo per il suo rigore nell'interpretazione. La tradizione attribuisce a Hillel una lista di sette regole ermeneutiche e a Rabbi Ismaël un'altra di tredici regole.


Come gli scribi, Gesù fondava il suo insegnamento sulla Scrittura. Egli faceva appello all'autorità di Mosè, dei profeti o di Davide. Ma era libero rispetto alle tradizioni aggiunte alla Torah concernenti il Sabato e la purezza rituale. Ritornare all'intento originario del comandamento e sforzarsi di mettere in evidenza il perché del comandamento:  questo il suo disegno. Il duplice comandamento dell'amore era la sintesi della Torah e dei profeti. Poggiandosi sulla Scrittura, Gesù rivelava il senso della sua missione e si sforzava di mettere in luce il cuore della volontà di Dio.


La comunità cristiana scrutava le Scritture per mostrare che Gesù era il Messia annunciato dai profeti. Il kèrygma riportato da Luca cita abbondantemente l'Antico Testamento, in particolare i testimonia messi insieme per mostrare che Gesù era il Messia promesso. Isaia 53 e il salmo 22 giocheranno un ruolo particolare nel racconto della Passione. La nozione di compimento delle Scritture diverrà centrale nella riflessione cristiana.


Paolo, discepolo di Gamaliele, fa spesso appello a un'interpretazione teologica. Egli vede in certi avvenimenti e personaggi dell'Antico Testamento dei "tipi" di avvenimenti della Nuova Alleanza o della persona del Cristo. Il parallelo Adamo-Cristo in Romani, 5, 12-21 presenta Adamo come "tipo" di colui che doveva venire. Il parallelo tra l'Esodo seguito dal passaggio nel deserto e la salvezza dei cristiani, minacciati dalla tentazione, è sottolineato in 1 Corinzi 10, 1-11.


Nella lettera ai Galati (4, 21-31) Paolo vede in Sara e Agar un' allegoria delle due alleanze - con Israele secondo lo spirito e con Israele secondo la carne. L'allegoria si discosta più dal senso storico che dalla tipologia. Questa permette di vedere in un avvenimento o in un personaggio una lezione nascosta. Svela un senso "spirituale" accanto al senso letterale. Infine, l'epistola agli Ebrei crea spesso un parallelismo tra l'Antica e la Nuova Alleanza, tra la persona del Cristo e i personaggi della Bibbia. Melchisedek vi appare come una figura del Cristo.


Il Vangelo di Giovanni metterà l'accento sul compimento della Scrittura, in particolare nel racconto della Passione. Tre passaggi fanno esplicitamente riferimento a questo compimento:  Giovanni 19, 23-24; 28-30; 31-37. La spartizione delle vesti di Gesù è presentata come il compimento del salmo 22 in Giovanni, 19, 24. Perché la Scrittura si compia del tutto Gesù dice "Ho sete" in Giovanni 19, 28. Il colpo di lancia del soldato romano è giustificato:  "Difatti questo è avvenuto, affinché s'adempisse la Scrittura:  "[...] Non gli sarà spezzato alcun osso"" (Giovanni, 19, 36). Il compimento consiste nel portare la Scrittura al suo senso pieno. Il compimento consiste nel portare la Scrittura al suo senso pieno e alla sua realizzazione.


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