Anticipiamo la conclusione della relazione dell'arcivescovo rettore della Pontificia Università Lateranense, e presidente della Pontificia Accademia per la Vita, al convegno "Fiducia nella Ragione". Nella prima parte il relatore analizza le cause che, lungo lo sviluppo del pensiero umano, hanno portato allo smarrimento di una visione unitaria e, per contro, alla frammentarietà del sapere; soprattutto nelle scienze empiriche. Se da un lato la specializzazione ha favorito l'approfondimento di alcune conoscenze, la frammentazione che si è sostituita all'unità si traduce di fatto in una duplice sfiducia nei confronti della ragione nel cogliere la verità e nel credere che esista ancora una sola verità. La separazione creata tra filosofia e scienza, tra filosofia e religione, tra società e individuo, tra politica ed economia ha indebolito la cultura ingenerando una crisi d'identità frutto di un relativismo referenziale nei valori costitutivi della cultura stessa. Con la secolarizzazione viene meno la certezza della verità. Anzi l'idea di raggiungerla sarebbe solo illusione. Tolta ogni certezza veritativa l'uomo stesso viene disintegrato. Ridotto alla polvere primigenia ormai può solo sperare nel soffio rigenerante della Parola di Dio.
di Rino Fisichella È importante una breve ermeneutica di Fides et ratio per verificare più direttamente il pensiero sottostante. Il numero che contiene il richiamo all'unità del sapere è inserito all'interno del settimo e ultimo capitolo dell'enciclica, "Esigenze e compiti attuali". Già il titolo lascia trasparire l'idea sottostante: al termine della sua riflessione, il Papa intende diventare propositivo circa il compito che spetta alla Chiesa nel dare risposta al rapporto tra fede e ragione. Il contesto immediato del nostro numero parte dall'evidenziare le "esigenze irrinunciabili della Parola di Dio". La Sacra Scrittura - sostiene Fides et ratio - presenta in sé una visione filosofica dell'uomo e del mondo che coniuga insieme rivelazione e intelligenza personale: "La convinzione fondamentale di questa "filosofia" racchiusa nella Bibbia è che la vita umana e il mondo hanno un senso e sono diretti verso il loro compimento, che si attua in Gesù Cristo" (80). La creazione, l'uomo all'interno di essa, il problema del male e della libertà pongono la questione del senso in maniera inevitabile e richiedono una risposta. Il cristianesimo, inoltre, pone il mistero dell'incarnazione come la chiave interpretativa dell'enigma umano e della storia. Per questo Fides et ratio può concludere: "In questo mistero le sfide per la filosofia si fanno estreme, perché la ragione è chiamata a far sua una logica che abbatte le barriere in cui essa stessa rischia di rinchiudersi. Solo qui, però, il senso dell'esistenza raggiunge il suo culmine. Si rende intelligibile, infatti, l'intima essenza di Dio e dell'uomo" (80). La logica dell'enciclica prosegue nel mostrare l'attuale "crisi di senso" e la conseguente "frammentarietà del sapere" per il moltiplicarsi delle risposte che giungono dal pluralismo delle conoscenze scientifiche. La presenza di un inevitabile acuirsi del relativismo, non solo nell'ambito gnoseologico, ma purtroppo anche in quello etico, spingono Giovanni Paolo II a identificare alcune "esigenze" che la filosofia dovrebbe fare proprie se vuole rimanere nell'orizzonte di una conoscenza coerente alla sua epistemologia. L'unità del sapere, pertanto, viene identificato da Fides et ratio nel recupero della "dimensione sapienziale" (81) da parte della filosofia: "È necessario, anzitutto, che la filosofia ritrovi la sua dimensione sapienziale di ricerca del senso ultimo e globale della vita. Questa prima esigenza, a ben guardare, costituisce per la filosofia uno stimolo utilissimo ad adeguarsi alla sua stessa natura. Ciò facendo, infatti, essa non sarà soltanto l'istanza critica decisiva, che indica alle varie parti del sapere scientifico la loro fondatezza e il loro limite, ma si porrà anche come istanza ultima di unificazione del sapere e dell'agire umano, inducendoli a convergere verso uno scopo e un senso definitivi. Questa dimensione sapienziale è oggi tanto più indispensabile in quanto l'immensa crescita del potere tecnico dell'umanità richiede una rinnovata e acuta coscienza dei valori ultimi" (81). Questo orizzonte sapienziale, di fatto, ruota attorno alla domanda di senso, al riconoscimento che la ragione è capace di conoscere la verità e alla dimensione metafisica del sapere. In altri termini, l'enciclica propone la via per il raggiungimento dell'unità del sapere nel superamento della conoscenza relegata alla sfera della sperimentazione o delle scienze empiriche: "Desidero solo affermare che la realtà e la verità trascendono il fattuale e l'empirico, e voglio rivendicare la capacità che l'uomo possiede di conoscere questa dimensione trascendente e metafisica in modo vero e certo, benché imperfetto e analogico" (83).
Prima di giungere al nostro testo, Fides et ratio compie un ultimo passo che ritengo essere determinante. In una battuta, si viene a identificare il percorso che nel versante filosofico e teologico di dovrebbe compiere: "Una grande sfida che ci aspetta al termine di questo millennio è quella di saper compiere il passaggio, tanto necessario quanto urgente, dal fenomeno al fondamento. Non è possibile fermarsi alla sola esperienza; anche quando questa esprime e rende manifesta l'interiorità dell'uomo e la sua spiritualità, è necessario che la riflessione speculativa raggiunga la sostanza spirituale e il fondamento che la sorregge. Un pensiero filosofico che rifiutasse ogni apertura metafisica, pertanto, sarebbe radicalmente inadeguato a svolgere una funzione mediatrice nella comprensione della Rivelazione" (83). Se si vuole, si è dinanzi solo a un cambiamento terminologico, ma il concetto permane identico. La sfida che si deve compiere è quella di ritrovare l'unità del sapere come condizione non solo per la filosofia e la teologia di poter dialogare tra di loro su contenuti autonomi e pur sempre reciproci, ma soprattutto per essere in grado di fornire al nostro contemporaneo la risposta di cui ha insaziabile bisogno: quella del senso. Privo di questo orizzonte di senso della propria esistenza, cade nei tentacoli della sola conoscenza empirica, sperimentale e diventa incapace di comprendere a pieno il suo mistero, la sua vocazione e il progetto della sua personale esistenza in questo mondo e in questa storia.
L'accenno conclusivo dell'enciclica al fatto che è necessaria una filosofia capace di svolgere un ruolo di mediazione con il peculiare sapere che proviene dalla rivelazione, permette di addentrarsi in un'ulteriore considerazione. L'unità del sapere ha un suo profondo richiamo e fondamento nell'istanza rivelativa perché il mistero dell'incarnazione fa emergere nello stesso tempo sia la verità offerta a ognuno nella storia che è chiamato a vivere sia la risposta ultima e definitiva alla domanda di senso. Il cristianesimo vive della rivelazione di Dio nella storia. Resta, inevitabilmente il grande problema ancora irrisolto per molti versi: come riuscire a individuare all'interno della Parola di Dio quanto è oggetto di rivelazione per la nostra salvezza. Qui subentra la tematica del rapporto verità rivelata e interpretazione della Scrittura. È innegabile che siamo dinanzi a un'istanza ermeneutica a cui nessuno può sottrarsi; questa, comunque, non può rifiutarsi di confrontarsi con l'istanza veritativa immessa nella rivelazione di Gesù Cristo. Quanto Gesù ha rivelato non può essere confinato nello spazio del suo tempo; proprio perché è "rivelazione" di Dio all'umanità nella storia, porta con sé l'istanza di universalità che non le può essere tolta. È evidente che siamo dinanzi alla pretesa cristiana di presentare un evento particolare che ha in sé le caratteristiche universali.
Se si accetta l'esigenza dell'unità del sapere è necessario, pertanto, ritornare alla questione di sempre: il senso dell'esistenza. Non tanto, quindi, perché esiste qualcosa piuttosto che il nulla, ma perché io esisto in questo tempo e cosa sarà della mia vita dopo il tempo che mi è concesso di vivere. Diverse scappatoie sono già state trovate nella storia del pensiero; eppure non hanno esaurito la domanda. Al contrario, essa permane con la sua forza di provocazione che attende una risposta che soddisfi. L'identità personale, d'altronde, è intimamente legata con la risposta che ogni singola persona è in grado di addurre. Il fondamento su cui costruire non è unico; il problema è se esso sia realmente in grado di tenere insieme la persona nella pluralità delle sue manifestazioni e nella dinamica della sua esistenza in relazione agli eventi e alle esperienze che compie.
L'unità del sapere, alla fine, trova proprio nella possibilità di incontrarsi con la fede il suo termine ultimo. La fede non è un atto estraneo alla persona, ma è il suo esprimersi in pienezza di libertà. Non è un caso che la concezione cattolica della fede richieda che ogni atto sia carico di intelligibilità. L'assioma classico fides si non intelligitur nulla est, ha la sua valenza veritativa proprio in questa unità profonda che lega fede e conoscenza. Non una a scapito dell'altra né una in competizione con l'altra; entrambe vivono di un profondo equilibrio che consente di vedere attuato il desiderio di ogni persona di conoscere la verità e di poterla raggiungere. Il senso dell'esistenza, pertanto, si fonda su un'unità che abbraccia in sé ciò che è peculiare del cristianesimo: un'attenzione a tutta la persona, senza sminuirla in nulla, nella sua capacità di poter abbandonare se stesso in un atto di amore pieno e duraturo in colui che è la sorgente stessa dell'amore. Il senso di un percorso trova il suo fine nella realizzazione di ciò che aveva spinto il suo movimento iniziale: il senso alla luce dell'amore.
Con ragione, quindi, Fides et ratio può affermare: "L'uomo si trova in un cammino di ricerca, umanamente interminabile: ricerca di verità e ricerca di una persona a cui affidarsi. La fede cristiana gli viene incontro offrendogli la possibilità concreta di vedere realizzato lo scopo di questa ricerca. Superando lo stadio della semplice credenza, infatti, essa immette l'uomo in quell'ordine di grazia che gli consente di partecipare al mistero di Cristo, nel quale gli è offerta la conoscenza vera e coerente del Dio Uno e Trino. Così in Gesù Cristo, che è la Verità, la fede riconosce l'ultimo appello che viene rivolto all'umanità, perché possa dare compimento a ciò che sperimenta come desiderio e nostalgia" (33).
(©L'Osservatore Romano - 18 ottobre 2008)
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