Psichiatra, consultore della Congregazione per il Clero
Il celibato è una provocazione. In un mondo che non crede più a una vita dopo la morte questa forma di vita rappresenta la protesta permanente contro la superficialità collettiva. Il celibato è il messaggio vissuto che annuncia che il mondo terreno, con le sue gioie e i suoi dolori, non è tutto. Questo fa inquietare molti, perché mette in discussione la loro concezione di vita. E non soltanto attraverso un testo oppure attraverso un discorso buttato lì, bensì attraverso un'evidente scelta di vita. Senza ombra di dubbio, se con la morte si concludesse tutto, il celibato sarebbe un'idiozia. Perché rinunciare all'amore intimo di una donna, perché rinunciare al toccante incontro con i propri figli, perché rinunciare alla sessualità? Solo se la vita terrena è un frammento che troverà nell'eternità il suo compimento, allora il celibato, come forma di vita, può mettere in luce questa vita che è, di fatto, ancora da riscuotere. Solo così, questa forma di vita annunzia a gran voce una vita in pienezza, che fu già intuita dagli uomini di ogni epoca (quale oggetto della loro Sehnsucht), la cui realtà è divenuta però visibile a tutti gli uomini solo attraverso l'incarnazione di Dio in Gesù Cristo, e in particolare, attraverso la Sua morte e la Sua Resurrezione miracolosa.
Gli oppositori del celibato non di rado insinuano che il celibato per amore del regno dei cieli, vissuto in un monastero, lontano dal mondo, non è da biasimare; tuttavia all'interno della comunità parrocchiale, "nel mondo", si dovrebbe permettere il ministero pastorale a viri probati, ossia a uomini sposati veterani (dunque "provati"). Spesso sono le stesse persone a volersi sbarazzare delle differenze nette tra sacro e profano, tra clero e laici, e, ancora, tra temi mondani ed ecclesiastici. Certamente, la fede in un Dio che si è fatto uomo costituisce una massiccia irruzione della sacralità nella secolarità. I primi cristiani avvertivano chiaramente che i vecchi concetti pagani di sacro e profano non potevano essere semplicemente trasferiti al cristianesimo. Non esisteva più una brusca separazione. I cristiani percepirono che il cristianesimo era "una differenza che fa la differenza", come si direbbe oggi nella terapia sistemica.
Tale differenza, che faceva la differenza, tuttavia sembrò essere minacciata dopo la svolta costantiniana. Improvvisamente le posizioni direzionali nell'impero furono occupate da cristiani. L'essere cristiano, per dirla in modo laico, non era più uno svantaggio, bensì un vantaggio. Il cristianesimo sembrò correre il pericolo di arenarsi. E, proprio in quest'epoca, il celibato iniziò la sua marcia trionfale. Noi sappiamo oggi che il celibato aveva già radici apostoliche, tuttavia divenne ora l'ancora di salvataggio spirituale per una Chiesa promossa dall'imperatore e dall'impero. Come responsabili delle comunità si vollero ben presto dappertutto uomini celibi.
La grande stima verso questa forma di vita si protrae lungo tutta la storia della Chiesa. Già il Sinodo di Elvira (306-309), ma poi soprattutto la riforma gregoriana dell'xi secolo e le riforme successive al grande Concilio di Trento si sforzarono di dare luce e risalto al sacro celibato. Viceversa, nei tempi di debolezza per la Chiesa, anche il celibato entrò in crisi. All'inizio del xix secolo si sviluppò, nell'attuale arcivescovado di Friburgo, un "movimento anticelibato" sostenuto da 156 sacerdoti. Quando poi nel xix secolo si arrivò inaspettatamente alla nuova ascesa della Chiesa cattolica, la campagna anticelibato si dissolse da sé. Anche durante la crisi successiva al concilio Vaticano ii fu nuovamente il sacro celibato a finire sotto tiro. Eppure proprio nei movimenti spirituali, nuovamente rifioriti, il celibato godette di rinnovata grande considerazione.
Il padre della psicologia moderna, Sigmund Freud, in nessun modo simpatizzante per la Chiesa e il cristianesimo, ha saputo strappare in modo magistrale ai movimenti paleocristiani a favore del celibato alcuni aspetti positivi: "In epoche durante le quali la soddisfazione amorosa non incontrava difficoltà, come ad esempio durante il declino delle culture antiche, l'amore divenne privo di valore, la vita vuota e furono necessarie forti reazioni indotte al fine di ristabilire gli indispensabili valori affettivi, nonché i valori legati a passioni ed emozioni. In tale contesto si è ritenuto che la corrente ascetica del cristianesimo abbia creato valori psichici per l'amore, che l'antichità pagana mai avrebbe potuto conferirgli". D'altra parte, durante la discussione sul celibato dei secoli passati, vennero utilizzate quasi sempre forzate argomentazioni psicologiche erronee e senza cognizione di causa. Pertanto si udì da contemporanei poco illuminati che "rinunciare" alla sessualità non sarebbe naturale. Ma, considerando bene la questione, vale certamente il contrario: chi non riesce a rinunciare all'esercizio della sessualità non è in grado di unirsi in vincolo matrimoniale. Il serio dibattito relativo agli abusi sessuali all'interno del matrimonio, che in molti Paesi è stato portato alla ribalta da parte delle femministe, rende evidente che la sessualità umana non deve in alcun modo essere considerata come una pentola a pressione, per la quale il vapore sessuale possa essere semplicemente scaricato attraverso l'aiuto di una donna. Tali fraintendimenti della sessualità, che denotano una natura non matura e sprezzante dell'essere umano, e che vedono la donna solo come oggetto di soddisfazione di un impulso personale, hanno un ruolo chiave nella critica al celibato. Una sessualità matura non è solamente primitivamente naturale. La natura dell'essere umano è da sempre coltivata umanamente. In una coppia di sposi maturi entrambi i partner sono attenti ai bisogni dell'altro. Vi sono diversi motivi perché, per un periodo o in modo continuativo, anche in una coppia sposata non si possa vivere a pieno la sessualità genitale; per esempio a causa di una malattia temporanea, oppure a causa di un handicap permanente. Eppure, una relazione di coppia davvero profonda non viene certamente distrutta da questo, bensì talvolta ne viene addirittura arricchita. Allo stesso modo anche la questione del celibato non dovrebbe concentrarsi solo sulla questione della sessualità genitale, bensì si dovrebbe vedere nel celibato una forma di relazione determinata, che lega una relazione profonda con Dio a una feconda relazione con le persone affidate alle cure pastorali del sacerdote.
La psicoanalista Eva Jäggi, nel suo libro sulla vita da single, ha definito la persona consapevole che vive da single come particolarmente importante anche per tutte le persone che vivono in un rapporto di coppia, poiché il single rende consapevoli anche gli sposati del fatto che essi non sono solamente in funzione di un rapporto, bensì hanno un loro valore proprio.
Partendo dalla mia esperienza di terapeuta posso confermare che l'inaridimento della vita spirituale spesso precede la crisi del celibato. Quando un sacerdote non prega più regolarmente, quando egli stesso non si accosta più al sacramento della riconciliazione, in altre parole, quando egli non intrattiene più una relazione vitale con Dio, allora egli come sacerdote non è più fecondo. Infatti, le persone si rendono conto che da quest'uomo di Dio non emana più la forza dello spirito di Dio. Il solo realizzare questo porta il sacerdote in questione ad una condizione di frustrazione e di insoddisfazione verso il proprio ministero di sacerdote. Quando poi, in una tale situazione, si affaccia la possibilità di una relazione esterna, allora il sacerdote corre fortemente il rischio di abbattere gli argini di per sé già marci. Al contrario, un sacerdote che vive la propria fede con convinzione e ne dà testimonianza, è una guida spirituale feconda, in grado, in questo modo, di gustare la gioia che deriva dalla direzione spirituale delle anime. Per il sacerdote è importante anche confessare i fedeli, poiché questo stabilisce un contatto esistenziale con le persone. Il celibato rende il sacerdote libero per relazioni di direzione spirituale intense. Egli può dedicarsi, sia dal punto di vista del tempo che dal punto di vista esistenziale, in modo più ampio alla direzione spirituale, rispetto a quanto potrebbe fare se fosse sposato. Il fatto che i pastori evangelici in Germania presentino la più alta percentuale di separazioni è certamente legato al fatto che la direzione spirituale intensa e il matrimonio sono difficilmente conciliabili. Ma questa libertà a favore dei fedeli, ottenuta attraverso il celibato, deve essere utilizzata anche dal sacerdote. Un celibato consumato solo dietro la scrivania oppure una vita da funzionario sono difficilmente vivibili. Una guida spirituale zelante ha addirittura più esperienze di vita di non pochi sposati. Non è vero quanto si sente dire talvolta, ossia che una guida spirituale sposata sarebbe meglio in grado di accompagnare le coppie di sposi. Una guida spirituale sposata, così come un terapeuta, corre sempre il pericolo di rivivere inconsapevolmente nel caso che ha dinnanzi le esperienze del proprio matrimonio e di trasformare le proprie emozioni in azioni, senza riflettere, per un meccanismo psicologico. Perciò egli necessita solitamente di un monitoraggio, proprio per impedire che ciò avvenga. Al contrario, una buona guida spirituale ha considerevoli esperienze esistenziali con molte coppie sposate. E da ciò egli può attingere per taluni casi difficili. Questo spiega, per esempio, la sorprendente fecondità degli scritti sul matrimonio di quel grande pastore di anime che fu il servo di Dio Giovanni Paolo II.
Partendo da qui sono poi importanti anche le buone amicizie, per mantenere il contatto con la quotidianità e la normalità. Il celibato non deve cagionare una condizione di eremitaggio. Sant'Agostino riteneva consigliabile che i sacerdoti celibi vivessero insieme in una stessa casa. Una tale comunità che vive sotto lo stesso tetto e che è, nel contempo, anche comunità spirituale, favorisce, fra l'altro, la necessaria correctio fraterna, la critica costruttiva che anche in una coppia di sposi fa sì che non si devii dal cammino. In questo modo diviene evidente che il celibato non significa tanto solitudine, quanto piuttosto l'essere liberi per le persone e per un incarico particolare.
In particolare, il celibato non è per i narcisisti, che dal punto di vista psichico ruotano solo su se stessi e sono interessati solo a sé. Non sono eventuali anomalie sessuali il problema più diffuso nella selezione dei candidati agli ordini sacri, bensì il narcisismo, perché il tipo di ministero che esercita il sacerdote è per i narcisisti una tentazione quasi irresistibile. Il pronunciare una predica dinnanzi ai fedeli, che non gli verrà contestata da nessuno, vestito con abiti solenni, è per il narcisista la realizzazione di tutti i desideri più intimi. Eppure la vera soddisfazione non viene contemplata come accade per tutti i bisogni viziati. Il sacerdote deve però avere una mentalità addirittura contraria. Egli deve soprattutto interessarsi degli altri esseri umani e delle loro miserie, deve dimenticarsi di sé, e deve rendere visibile, dietro la lucentezza delle sue parole, lo splendore di Dio piuttosto che la propria misera luce.
(©L'Osservatore Romano - 18 ottobre 2008)
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