sabato 18 ottobre 2008

Una Chiesa che ascolta sa anche predicare e celebrare

Il Sinodo tira le somme del dibattito in aula

L'impegno per una Chiesa "più ascoltatrice che missionaria", fatta di fedeli preparati oltre che di specialisti; l'attualizzazione della Dei Verbum nella pastorale ordinaria dei vescovi; la testimonianza data ai fratelli protestanti, che danno molto peso alla lettura delle Scritture, e l'apertura di nuove frontiere per il dialogo ecumenico e interreligioso. Sono questi i temi emersi dalla prima parte dell'assise sinodale.
Consegnata alla discussione dei circoli minori la Relazione dopo il dibattito, i padri sinodali cominciano a tirare le somme di questa dodicesima assemblea generale giunta a metà dell'opera. La conferenza di ieri, svoltasi nella Sala Stampa della Santa Sede, ha fatto il punto della situazione evidenziando gli argomenti al centro delle riflessioni "a porte chiuse" nei vari gruppi linguistici, chiamati a formulare le proposizioni che confluiranno nel messaggio conclusivo. Ed è per questo che alle domande dei giornalisti accreditati hanno risposto il presidente della Commissione per l'informazione, il cardinale ghanese Peter Kodwo Appiah Turkson; due dei presidenti delegati, il cardinale William Joseph Levada, successore di Ratzinger alla guida della Congregazione per la Dottrina della Fede, e il porporato brasiliano Odilo Pedro Scherer; e il vescovo filippino Luis Antonio G. Tagle, in rappresentanza della Chiesa asiatica molto attiva sul piano del contributo alla riflessione generale.
Punto di partenza per l'incontro con la stampa proprio la Relatio post disceptationem, definita dal cardinale Turkson un documento differente dall'Instrumentum laboris e dalla Relazione prima della discussione, perché ha un carattere più dialogico e una struttura più semplice con esposizione tematica. Essa si conclude inoltre con un elenco di diciannove domande, che costituiscono una sorta di guida per i padri sinodali.
Nel corso della conferenza tra i temi sono emersi soprattutto il risveglio dell'interesse della Chiesa cattolica per la Parola di Dio - che interpella non solo i vertici della gerarchia ma l'intero popolo di Dio - e la volontà dialogante di quanti sono stati invitati a parlare a questa dodicesima assemblea: con gli ebrei, prima di tutto, attraverso una lettura più approfondita dell'Antico testamento, troppo spesso dimenticato dai cattolici; con i musulmani, basandosi su principi comuni come la lotta alla secolarizzazione e l'affermazione dell'importanza sociale della religione; e con le grandi religioni asiatiche, a partire dal comune senso del sacro e dai valori condivisi presenti nei testi di riferimento.
Un dialogo che deve essere dunque anche interculturale, poiché al di là della regola d'oro del rispetto reciproco, la Bibbia può rappresentare un codice di lettura per superare le divisioni, anche nelle zone più remote dell'Africa, dell'Asia e dell'America Latina, in cui sono forti le tradizioni locali.
A maggior ragione i libri sacri hanno una valenza ecumenica, perché possono essere letti alla luce dell'incarnazione di Gesù: le Chiese cristiane, a differenza delle altre, condividono la fede in una persona, il Dio fattosi uomo. In questo campo c'è molta collaborazione e i padri hanno più volte sottolineato le esperienze di traduzioni fatte congiuntamente con le società bibliche di altre Chiese e confessioni, auspicando studi sereni in materia di unità, perché spesso le divisioni hanno origine proprio dall'interpretazione non concordante della Scrittura.
All'interno della Chiesa si ravvisa la necessità di una maggiore attenzione alla Parola di Dio e di un più approfondito dibattito riguardo alla "tensione" - così l'ha definita il cardinale Levada - tra esegesi e teologia, che può essere interpretata con le categorie della fede e della ragione: "Fides et ratio". La Parola di Dio - ha puntualizzato il porporato - va interpretata nel senso della fede della Chiesa: ecco allora che esegesi e teologia si integrano vicendevolmente. Quasi un invito a non mettere in contrapposizione Bibbia e tradizione, ma al contrario a chiarire le indicazioni di Benedetto XVI sul piano interpretativo. Ai padri sinodali - ha detto il cardinale prefetto - il Papa ha ricordato che "per leggere la Bibbia la scienza è fondamentale ma non sufficiente e che il metodo storico-critico va completato con la lettura della fede".
L'intervento del porporato statunitense conteneva anche un richiamo al discepolato, alla formazione di chi ascolta la Parola, che deve avvenire per mezzo di una maggiore diffusione dei testi biblici. Qualcuno - è intervenuto il cardinale Scherer - ha auspicato che la Bibbia diventi un testo di studio diffuso. Tuttavia - ha concluso monsignor Tagle - "non va mai imposta, soprattutto nelle scuole pubbliche; ma potrebbe essere proposta per quelle cattoliche".
La rinnovata attenzione ai sacri testi pare dunque il "marchio di fabbrica" di questo Sinodo, che ha però anche implicazioni di carattere sociale: "Gesù ascolta soprattutto quanti non hanno voce - ha spiegato il vescovo filippino -, per questo spero che dai lavori sinodali la Chiesa sappia farsi interprete dell'ascolto di tutti coloro che si trovano all'ultimo posto della società. Perché - ha aggiunto - una Chiesa che non sa ascoltare i poveri non sarà in grado di celebrare ciò che predica".
Infine un'annotazione: questo è il sinodo con la maggior presenza femminile: venticinque donne tra uditrici ed esperte. A chi faceva notare la mancanza di interventi delle bibliste è stato risposto che nessun esperto, nemmeno tra gli uomini, ha potuto prendere la parola in aula, mentre lo hanno fatto quindici uditrici; e che nei circoli minori le donne bibliste stanno dando il loro contributo attivo e determinante. (gianluca biccini)


(©L'Osservatore Romano - 18 ottobre 2008)

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