Pubblichiamo la prima parte dell'intervento del porporato al convegno "Fiducia nella Ragione" in corso alla Pontificia Università Lateranense in occasione del decimo anniversario dell'enciclica Fides et ratio.
di Tarcisio Bertone Da Papa Benedetto XVI questa mattina avete avuto modo di ascoltare una parola di incoraggiamento e di stimolo a riflettere e difendere la "fiducia nella ragione", come recita il tema di questo vostro incontro. La verità della rivelazione - vi ha ricordato - non si sovrappone a quella raggiunta dalla ragione, ma la purifica e la innalza permettendo così di dilatare i propri spazi per inserirsi in un campo di ricerca insondabile come il mistero. Queste tematiche sono molto care al Papa e non tralascia occasione per affrontarle da angolature diverse e convergenti. Penso, tra l'altro, alla magistrale lezione di Ratisbona, al discorso non pronunciato per l'Università romana della Sapienza e a quello più recente pronunciato al Collège des Bernardins a Parigi, nell'incontro con il mondo della cultura. Tutto questo in continuità con ciò che ha caratterizzato il suo passato di teologo, di pastore e soprattutto di prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. E precisamente in questa veste ha dato un contributo determinante all'elaborazione della Fides et ratio. Quale segretario di questo dicastero, ho avuto l'onore e il piacere di collaborare con il cardinale Ratzinger in tutto l'iter che ha portato alla pubblicazione di detta enciclica. E, proprio facendo appello a ricordi ed esperienze personali, cercherò di ricostruire questi interessanti momenti e fasi sviluppando brevemente il tema che mi è stato affidato: "Genesi dell'elaborazione dell'enciclica: testo e contesto".
Certo, ampio potrebbe essere il discorso, ma per esigenze di tempo riassumerò i vari passaggi, lasciando ad altre occasioni ulteriori approfondimenti. Inizierò con una sintetica analisi di quella che vorrei chiamare preistoria dell'enciclica.
Il tema del rapporto tra fede e religione e tra verità e libertà è sempre stato a cuore a Papa Giovanni Paolo II. Karol Wojtyla come professore di filosofia e antropologia, si era sempre interessato delle correnti filosofiche contemporanee e, da Papa, amava organizzare a Castel Gandolfo, durante il soggiorno estivo, dei meeting con professori ed esperti di varia estrazione. Pertanto già nel 1986, colpito da ciò che diverse mode culturali andavano sempre più diffondendo, la dimissione cioè della ragione dalla sua capacità di conoscere il vero, aveva stilato un progetto di documento esattamente sul nostro tema, di una decina di pagine.
Poi però, emergendo sul panorama mondiale tutta una serie di problemi morali di fondo - per esempio: l'esistenza del vero morale, la possibilità di definire il bene e il male oggettivo (l'intrinsece malum), e così via - come pure una catena di problemi morali specifici, particolari, o categoriali, come quelli concernenti la bioetica, egli preferì dare la precedenza a un'enciclica che affrontasse tali "emergenze dottrinali e morali" e pubblicò nel 1993, quindici anni or sono, la Veritatis splendor. Non volle tuttavia accantonare il tema precedente e il promemoria del Papa fu consegnato e spiegato a un illustre esperto, il belga professor André-Mutien Léonard, per una elaborazione organica di un progetto. Ma egli fu nominato vescovo di Namur nel 1991. Così il testo passò al gesuita padre Peter Henrici, della Gregoriana, perché stendesse una prima bozza di enciclica. Così fece, ma anch'egli nel 1993 fu nominato vescovo ausiliare di Coira in Svizzera, e quindi non potè proseguire nell'impresa.
A ogni modo, un primo testo organico poté essere presentato, nel 1995, alla plenaria della Congregazione per la Dottrina della Fede, composta da cardinali e vescovi esponenti della cultura internazionale - come Ratzinger, Lehmann, Eyt, Biffi, Tettamanzi, Connell, Pell, Cañizares, e così via. Dalle osservazioni emerse in quella sede, grazie anche all'aiuto determinante di esperti consultori, fu articolata una nuova redazione consegnata al Santo Padre, il 18 giugno 1996, durante un incontro di studio. Il Papa portò con sé il testo durante le vacanze in Valle d'Aosta nel luglio 1996. Studiò la bozza con due amici polacchi, il professor Tadeusz Styczen e monsignor Józef Zycinski, e, di ritorno a Roma, inviò il testo alla Congregazione per la Dottrina della Fede con ben ottanta pagine di osservazioni. Nel frattempo l'enciclica, data in esame a una mezza dozzina di filosofi ecclesiastici e laici, che a loro volta stilarono i loro rilievi e suggerimenti, fu rielaborata e nuovamente messa nelle mani del Santo Padre e contestualmente, come è prassi, data in visione al teologo della Casa Pontificia, l'allora padre Georges Marie Martin Cottier. Giungiamo così all'estate del 1997, quando il Papa, durante le vacanze estive, si dedicò a rivedere l'editio typica del Catechismo della Chiesa Cattolica, ma non trascurò la rilettura dell'enciclica. Bisogna ancora notare che, nel frattempo, era pronto anche un altro documento, di carattere liturgico: la lettera apostolica Dies Domini. Si pose allora il dilemma: pubblicare prima la Fides et ratio oppure la Dies Domini? Vinse la Dies Domini che fu pubblicata il 31 maggio 1998. Nel frattempo il testo della Fides et ratio era tra le mani del Papa e costantemente sotto i suoi occhi; egli volle ancora arricchirla citando al n. 74, accanto agli antichi, alcuni autori più recenti: per l'ambito occidentale, personalità come John Henry Newman, Antonio Rosmini, Jacques Maritain, Étienne Gilson, Edith Stein e, per quello orientale, studiosi della statura di Vladimir S. Solov'ev, Pavel A. Florenskij, Petr J. Caadaev, Vladimir N. Lossky. Il Santo Padre apportò ulteriori ritocchi e integrazioni, in costante intesa con il cardinale Joseph Ratzinger, coadiuvato dai consultori impegnati in tale importante impresa. Fu finalmente con la data del 14 settembre 1998 che si giunse al termine di questo itinerario che, in fin dei conti, è durato ben dodici anni. Durante il pranzo con il Papa, il 6 ottobre 1998, fu concordata la presentazione dell'enciclica; furono poi indicati i titoli di ventisei articoli su "L'Osservatore Romano" e altre iniziative a carattere pubblico.
Queste successive fasi, che ho rapidamente percorso, hanno portato alla stesura definitiva di un'enciclica che va considerata - quanto al suo testo, e vengo qui al secondo punto della mia relazione - come una meravigliosa costruzione architettonica articolata in sette capitoli, che offre una visione precisa, a tratti sofferta, del rapporto tra fede e ragione. Una costruzione che dimostra la solidità dell'inscindibile rapporto tra fede e ragione e di conseguenza tra filosofia e teologia, rapporto poggiante sui tre fondamentali pilastri descritti nei primi tre capitoli intitolati: il primo, La rivelazione sapienza di Dio, il secondo, Credo ut intellegam, e il terzo, Intellego ut credam.
Con il quarto capitolo entriamo nel vivo del tema con un approccio prevalentemente storico e qui, non a caso ritroviamo nel titolo la tematica stessa dell'enciclica: Il rapporto tra la fede e la ragione. Come in un meraviglioso affresco murale ci appaiono quindi le tappe fondamentali dell'incontro tra fides e ratio, dal discorso di Paolo all'Areopago, agli interventi di alcuni padri della Chiesa, e al grande teologo Tommaso d'Aquino, per poi giungere ai tempi moderni, dove sembra prevalere in larghi strati del pensiero, una perniciosa separazione tra fede e ragione. Con i successivi tre capitoli, il Papa offre a queste problematiche antiche e moderne le risposte sempre valide che formano il patrimonio dottrinale della Chiesa: il capitolo quinto parla degli Interventi del magistero in materia filosofica, nel capitolo seguente sono descritti i problemi dell'Interazione tra teologia e filosofia, e nel capitolo settimo le Esigenze e compiti attuali, esplicitando le esigenze della parola di Dio e i compiti irrinunciabili della teologia.
E siamo giunti alla conclusione dell'enciclica, nella quale, richiamandosi all'enciclica Aeterni Patris di Leone xiii, il Papa sottolinea nuovamente il valore della filosofia nei confronti dell'intelligenza della fede, il rapporto tra fede e ragione, e rivolge un appello a tutti - filosofi, teologi, formatori, scienziati, ricercatori, pastori e fedeli - chiedendo "di guardare in profondità all'uomo, che Cristo ha salvato nel mistero del suo amore, e alla sua costante ricerca di verità e di senso". "Diversi sistemi filosofici - egli aggiunge - illudendolo, lo hanno convinto che egli è assoluto padrone di sé, che può decidere autonomamente del proprio destino e del proprio futuro confidando solo in se stesso e sulle proprie forze". Ma - egli continua - "la grandezza dell'uomo non potrà mai essere questa. Determinante per la sua realizzazione sarà soltanto la scelta di inserirsi nella verità, costruendo la propria abitazione all'ombra della sapienza e abitando in essa. Solo in questo orizzonte veritativo comprenderà il pieno esplicitarsi della sua libertà e la sua chiamata all'amore e alla conoscenza di Dio come attuazione suprema di sé".
(©L'Osservatore Romano - 18 ottobre 2008)
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