Un'anticipazione dall'Annuario dei gesuitiI segreti del buon governo
nella Compagnia di Gesù
di Peter-Hans Kolvenbach Il sogno o l'ambizione di diventare generale della Compagnia di Gesù non devono albergare in nessun gesuita. Su questo punto sant'Ignazio è stato tassativo: il solo fatto di desiderarlo mette il gesuita fuori gioco. Ma soprattutto in Spagna e in Italia la stampa pubblica sempre elenchi con i nomi di possibili candidati alla testa dei circa ventimila gesuiti.
Nel 1983 il mio nome non figurava in nessun elenco, e nemmeno quello di padre Adolfo Nicolás è mai apparso tra i favoriti. Così il gesuita che risulta eletto è una sorpresa per molti, e il primo a essere sorpreso è lui stesso.
Il giorno fissato per l'elezione i 225 elettori celebrano l'eucaristia tutti insieme e dopo essere entrati nell'aula pregano in silenzio per un'ora dopo aver ascoltato uno di loro che ricorda agli altri il profilo e le caratteristiche del superiore generale, secondo quanto indicato da sant'Ignazio nelle Costituzioni. È un ritratto così ideale che perfino sant'Ignazio ha riconosciuto come estremamente improbabile trovare qualcuno con tutte quelle qualità. Ha infatti aggiunto questa nota consolatoria: "E se facessero difetto alcune delle doti sopra enumerate, almeno non manchi una grande bontà e amore alla Compagnia". Questo amore alla Compagnia non è solamente una questione di sentimento, ma esso dovrà essere incarnato. Se il gesuita è un servitore della missione di Cristo, è più che probabile che la congregazione generale preferirà eleggere un gesuita "in missione" per annunciare la Buona Novella del Signore là dove il Cristo non è conosciuto o conosciuto poco. È abbastanza significativo il fatto che tutti e tre gli ultimi superiori generali siano stati dei missionari europei inviati in Giappone o Medio Oriente.
Naturalmente gioca un ruolo anche l'età del superiore generale eletto. Un generalato di oltre vent'anni ha il vantaggio di assicurare una continuità: un generalato più breve porta nuova linfa nella vita della Compagnia. In ogni modo, il superiore generale è eletto a vita - ciò che il padre Pedro Arrupe interpretava nel senso di "vitalità": cioè finché il generale è in grado di dare nuova vita alla Compagnia. È molto poco probabile che un gesuita che non ha mai lasciato il suo Paese natale, che non parla altro che la sua lingua madre, che non è mai stato superiore, che ha seri problemi di salute e che non ha nessun talento per la comunicazione diventi superiore generale, anche se è un sant'uomo e un eminente gesuita. Ma anche senza queste limitazioni, un gesuita si sentirà impreparato per l'incarico, e non esistono corsi di formazione o preparazione. Nel mio caso, poiché era così difficile capire quello che diceva il padre Arrupe dopo la trombosi che l'aveva paralizzato, le nostre conversazioni erano abbastanza limitate.
Quando, in un breve messaggio alla Compagnia dopo la mia elezione, ho confessato di non conoscere la Compagnia universale, dicevo la semplice verità. Ho sempre considerato una vera grazia di Dio la decisione dei miei superiori di mandarmi in Medio Oriente. La spiritualità delle Chiese orientali e la testimonianza della gente del Libano, Siria ed Egitto hanno arricchito enormemente la mia vita gesuita, nonostante i tumulti e le condizioni di guerra a vita in questa zona esplosiva. Ma una delle conseguenze della lotta per la sopravvivenza degli uomini e della fede cristiana in Medio Oriente è stata che alcune questioni di grande portata come la messa in pratica del Vaticano II, la crescente secolarizzazione, la teologia della liberazione, il rinnovamento della vita consacrata e le tensioni nelle relazioni con la Santa Sede, restarono ben lontane dalle nostre preoccupazioni apostoliche nella zona. Una volta eletto superiore generale, ho dovuto quindi scoprire la Compagnia universale. Sono ancora molto riconoscente per tutti i consigli e l'aiuto ricevuti dai membri della curia generalizia, perché hanno reso possibile ciò che sembrava una missione impossibile.
Nei 24 anni del mio generalato ho visitato quasi tutti i Paesi dove sono presenti dei gesuiti. Li ho incontrati nelle istituzioni le più sofisticate e nelle bidonville, nelle parrocchie e nei campi di rifugiati, nei noviziati e nei centri per la terza età, nei centri spirituali e nelle stazioni radio o televisive. Ho avuto il privilegio di incontrare, da vicinissimo, numerosi gesuiti impegnati a continuare la missione di Cristo nonostante tutti i limiti umani e le inevitabili debolezze. Questi gesuiti lavorano spesso in condizioni estremamente difficili, non soltanto dal punto di vista della povertà materiale, ma anche spirituale, quando la loro missione cozza contro la vita moderna o il fondamentalismo religioso, o semplicemente contro una fredda indifferenza. E poi, ho avuto il grande privilegio di conoscere alcuni gesuiti chiamati a vivere alla lettera le parole del Signore: nessuno ha amore più grande che quello di dare la sua vita per i suoi amici. Ho conosciuto gesuiti in Salvador, Africa, India, e qui in Libano, che hanno dato la loro vita come testimonianza dell'amore e fedeltà al Signore.
Tutti questi incontri mi hanno insegnato ad amare la Compagnia - tutti questi "amici nel Signore", come diceva sant'Ignazio. Dobbiamo rendere grazie al Signore perché, nonostante una sconcertante differenza di personalità, caratteri, lingue e culture, il corpo universale della Compagnia è rimasto non semplicemente "uniforme" ma una "unione di cuori e anime", fondata sull'esperienza unica degli Esercizi Spirituali che ci uniscono nel cammino verso Dio, e ci ispirano a continuare la missione di Cristo.
Come lo ha percepito la recente congregazione generale, i tre principi ignaziani: l'amore di Dio nostro Signore, l'unione di menti e cuori, e l'obbedienza che invia ognuno di noi in missione ovunque sia necessario, ci rendono capaci di compiere la missione di Cristo superando le divisioni di un mondo frammentato. Perché costruire ponti oltre le frontiere è d'importanza cruciale oggi, in un mondo che il Signore desidera salvare e guarire.
Io sono Paolo Merolla, se siete qui credete di essere dei perdenti, infatti lo siete.
sabato 11 ottobre 2008
L'OSSERVATORE ROMANO Edizione quotidiana 11 ottobre 2008
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