"Anime felici quelle che per prime ebbero cura di conoscere queste cose e salire nei luoghi più alti". Le parole di Ovidio riecheggiano nella prefazione di una traduzione medievale dell'Almagesto, la celebre opera astronomica di Claudio Tolomeo. Ma sono ben più che una sterile espressione di erudizione. Il traduttore si rivolge a quei "giudici audacissimi" che disprezzano la mundana sapientia, lo studio degli astri, e si ostinano a combattere la philosophia mundi annunciata dai nuovi testi filosofici e scientifici. I "nemici delle arti ridano e insultino, io confesso di ritenere dolce questa pazzia".
"Dolce pazzia", appunto. Non potrebbe riassumersi meglio l'esperienza che ha segnato il mondo occidentale cristiano latino tra il XII e il XIII secolo. Una rivoluzione culturale, che ha sconvolto gli antichi schemi e si è realizzata anzitutto come una continua trascrizione e calco dell'antico. Translatio studiorum: la ricezione della biblioteca aristotelica e della scienza araba attraverso le traduzioni impone realtà fisiche, concettuali e linguistiche del tutto nuove rispetto ai parametri culturali altomedievali. L'antico si fa struttura del moderno, veicolo di un rovesciamento della tradizione teologica, di quella "caduta del sacro" che avrebbe caratterizzato il secolo della "crisi della coscienza europea".
A ripercorrere le linee di questa complessa storia è il volume di Tullio Gregory Speculum naturale (Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2007, pagine 253, euro 35), una raccolta di saggi e interventi, Percorsi del pensiero medievale, come recita il sottotitolo. Percorsi diversi, ma intrecciati, e che, una volta intrapresi, conducono il lettore all'inevitabilità dell'abbandono di un mito ormai logoro, quello di una filosofia medievale come processo unilineare e omogeneo, storia di sintesi e sistemi di cui il tomismo - "ipostatizzazione metastorica della riflessione di Tommaso d'Aquino", scrive Gregory - avrebbe rappresentato il vertice e la realizzazione somma. Fuori dalle secche di una certa scolastica, o neoscolastica, si afferma un'immagine della storia del pensiero medievale - "storia degli usi della ragione nel tempo della Chiesa e della fede" (p. 224) - molto diversa dalla classica visione piramidale e gotica, scandita da eterni e massimi problemi. Filosofie, teologie, forme di spiritualità, mistica, astrologia: mondi differenti, tradizioni lontane che solo a tratti riescono a parlarsi. La stessa dicotomia filosofia-teologia, scrive Gregory, "non è una costante del pensiero medievale, ma il modo determinato secondo il quale, in certi precisi contesti e momenti storici, si pone il rapporto fra esperienze di pensiero diverse" (p. 224).
È nel secolo di Chartres, di Pietro Abelardo e della mistica speculativa di san Bernardo che comincia a compiere i suoi primi passi un nuovo dialogo tra la fede cristiana e la filosofia. Terreno della svolta, quella che Marie-Dominique Chenu ha definito la "scoperta della natura". Nel giro di alcuni decenni si afferma progressivamente, accanto a una lettura del mondo fisico come sacramentum salutaris allegoriae sulla base di strumenti ermeneutici mutuati dall'esegesi biblica, un'idea di natura quale complesso articolato di fenomeni suscettibile d'indagine razionale. Una nuova concezione della dignitas hominis si realizza nella possibilità di conoscere attraverso la ratio - judex universalis, amava dire Adelardo di Bath - una realtà unitaria, organica, retta da forze che si oppongono o si richiamano, secondo antipatie o simpatie, controllando le quali è possibile intervenire nel corso delle cose e modificarlo. La natura non è più soltanto un intreccio di simboli, un libro scriptus digito Dei - complesso di segni rivolto dal Creatore agli uomini per la loro salvezza, in perfetta armonia con l'altra Scrittura - ma anche ordinata collectio creaturarum, le cui parti si corrispondono. Scisso dal simbolismo sfrenato del De universo di Rabano Mauro e di tutti i lapidari e i bestiari dell'epoca, l'universo fisico riceve una propria consistenza ontologica e una capacità causativa autonoma. Dio l'ha intessuto di leggi, ed è compito dell'uomo scoprirle.
L'Europa cristiana conosce la natura attraverso nuovi libri, entrando a contatto con "i grandi tesori della scienza ellenistica e araba a cui seguirà dappresso il corpus aristotelico; un'intera grande biblioteca - con Aristotele, Tolomeo, Galeno, al-Kindi, Albumasar, al-Farabi e Avicenna, con testi ermetici, magici, alchemici (nel secolo seguente il grande Averroè) - viene a sostituire, nel nuovo ambiente delle scuole cittadine, i modesti trattati delle arti liberali, esemplati sul De nuptiis Mercurii et Philologiae di Marziano Capella e sulle Etymologiae di Isidoro" (p. 16). Per opera dei traduttori - autentici protagonisti della "rinascita" - gli arabi rivelano ai latini "gli arcani della filosofia", una concezione del mondo e dell'uomo estranea al cristianesimo e alla modesta enciclopedia delle scienze liberali conosciuta nell'alto medioevo. Nella biblioteca s'instaura "un canone di autori destinato a restare immutato sino alle origini dell'età moderna" (p. 165). Prima d'essere fisica, metafisica o etica, fu dunque una rivoluzione linguistica, lessicale. Amplissimo è lo spettro dei termini che, comparsi per la prima volta nelle traduzioni di Aristotele, resteranno nel linguaggio filosofico e scientifico moderno.
E tuttavia, questa rivoluzione culturale non fu né immediata né omogenea. Se nel XIII secolo a prevalere definitivamente è il sistema aristotelico-tolemaico, nel XII sono le cosmologie neoplatoniche ad avere maggior fortuna, a partire dal "centro nevralgico" della scuola di Chartres. Pietra angolare nella costruzione della nuova idea di natura è il Timeo di Platone, tradotto nella sua prima parte cosmologica e accompagnato dal commento di Calcidio (iv secolo dell'era cristiana). Grazie a esso, tra i filosofi e teologi si fa largo - filtrata attraverso schemi aristotelici, istanze tratte dal neoplatonismo arabo o dalla teologia cristiana, miste a suggestioni ermetiche e stoiche - l'idea di una formazione del mondo fisico attraverso cause intermedie (l'anima del mondo e i cieli) alle quali Dio - la cui azione diretta si ferma alla creazione della materia prima e delle creature spirituali - ha concesso il compito di completare l'ordine delle cose generabili e corruttibili. Conseguenza diretta è l'autonomia dell'opus naturae.
Il Timeo trasmette qualcosa di più che un'enciclopedia: una cosmologia organica, una grande genesi filosofica. I suoi miti nascondono i segreti del cosmo alla luce dei quali diventa possibile intraprendere una nuova esegesi "fisica", physica lectio, del Genesi: l'opera del Demiurgo è generalmente identificata con l'azione creatrice di Dio e il mondo archetipo con la divina sapienza. Così, mentre Teodorico di Chartres afferma che l'azione di Dio si arresta alla creazione dei quattro elementi e il resto del mondo viene costituito per l'azione del fuoco e del calore, Guglielmo di Conches elabora una teoria sulla formazione del corpo di Eva a partire da cause fisiche che non manca di suscitare le violente reazioni del teologo tradizionalista Gugliemo di Saint-Thierry: "Non si deve infatti credere alla lettera della Bibbia - scriveva il maestro di Chartres - che cioè Dio abbia tolto una costola al primo uomo" (p. 20). Sono i primi lampi di un confronto-conflitto che andrà inasprendosi, per poi dissolversi: la forza della nuova cultura supererà tutti i divieti.
Nel consesso delle cause naturali, sono i cieli a detenere il primato. I corpi celesti e le intelligenze motrici a essi preposti - distinte o identificate con la gerarchia angelica - non sono divinità, ma punti di diffusione dell'azione divina, veicoli intelligenti della Provvidenza. Hanno dunque un potere effettivo sulle cose; determinano la vita e la storia degli uomini. Elemento, questo, che si rafforza con l'affermarsi della fisica e della metafisica aristotelico-arabe. Il mondo è connesso in modo necessario: il moto di traslazione della sfera delle stelle fisse è causa della continuità e del divenire nel mondo sublunare, mentre i due opposti processi della corruzione e della generazione sono regolati dal moto di accesso e di recesso del sole, per cui "all'eterna circolarità del moto dei cieli - spiega Gregory - corrisponde quindi la ciclicità di ogni processo nel mondo sublunare" (p. 69). Ciclicità nella quale rientrano anche la storia degli uomini e delle loro istituzioni. Tutto questo non poteva non impressionare i cristiani latini: rispetto a un mondo finito, la presenza di Dio si fa sempre più lontana, indiretta.
Referente costante del dibattito filosofico e teologico, l'astrologia - corpus di dottrine intriso di elementi ermetici - diviene perciò la scienza prima, superiore anche alla metafisica. Ma anche qui il filtro della fede agisce in profondità. Usata come strumento apologetico, l'astrologia si sviluppa in un'ermeneutica storica che permette la lettura nei moti celesti delle cause e dei segni dell'accadere umano presente, passato e futuro, perché "sono le stelle a fissare la storia e le caratteristiche dottrinali e rituali delle varie religioni, mentre la dignità della previsione astrologica trova conferma nell'oroscopo di Cristo" (p. 59). Gli uomini del XIII secolo non hanno accettato passivamente l'universo aristotelico, ma lo hanno modificato in alcune sue strutture essenziali affinché esso potesse essere in grado di accogliere dottrine irrinunciabili alla tradizione esegetica e teologica cristiana. Aspetto, questo, per niente secondario. Proprio per l'introduzione nel sistema aristotelico di alcune varianti teologiche, sostiene Gregory, "quel sistema potrà restare ben saldo fino alla nascita della scienza moderna" (p. 211).
(©L'Osservatore Romano - 13-14 ottobre 2008)
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