lunedì 1 dicembre 2008

Una nube di mistero avvolge i fatti di Mumbai

Dopo l'attacco terroristico alla metropoli indiana 


New Delhi, 29. Ci sono volute oltre sessanta ore per avere ragione della resistenza del gruppo di estremisti islamici responsabili dell'attacco contro Mumbai. Due giorni e mezzo in cui un manipolo di terroristi è riuscito a tenere in scacco le forze di sicurezza indiane. Ma anche dopo la conclusione della vicenda - che ha avuto un tragico epilogo con la morte dei sei ostaggi rinchiusi nel centro ebraico e con l'uccisione degli ultimi terroristi asserragliati nel Taj Mahal- la reale dinamica dei fatti resta da chiarire. Così come le responsabilità. 
Per certo si sa che il gruppo di terroristi era composto da dieci persone. Di queste nove sono state uccise e una è stata catturata viva. Il commando è sbarcato a Mumbai e ha agito in modo coordinato, rivelando una preparazione e una determinazione non comuni. Tutto il resto è avvolto nel mistero. 
Dopo la strage, che secondo gli inquirenti indiani sarebbe stata pianificata nei minimi dettagli sei mesi fa, New Delhi ha, neanche troppo velatamente, accusato Islamabad di complicità, chiedendo azioni concrete e rinnovando, di fatto, la storica rivalità tra i due Paesi, che, per il possesso del territorio conteso del Jammu e Kashmir, hanno combattuto tre guerre. E che oggi sono entrambi dotati di arsenali atomici. 
Per "contribuire nelle indagini", il Pakistan invierà a Mumbai un rappresentante dell'"Isi", i servizi segreti. In un primo momento, sembrava doversi recare nella metropoli indiana il direttore stesso dell'intelligence pakistana, generale Ahmed Shuja Pasha. Ma successivamente - facendo innalzare ulteriormente la tensione tra i due Governi - Islamabad ha deciso di mandare a Mumbai solo un rappresentante dei servizi. Il dietrofront accresce i dubbi su quale sia il reale controllo che il Governo pakistano è in grado di esercitare sui potenti servizi segreti, e in particolare su alcuni settori ritenuti da vari osservatori "deviati". Una questione che il presidente degli Stati Uniti, George W. Bush, aveva già posto al premier pakistano Gilani dopo che un rapporto americano aveva accusato l'"Isi" di essere coinvolto in un attentato contro l'ambasciata indiana a Kabul, compiuto nello scorso mese di luglio. E non poche le segnalazioni di agenti pakistani attivi nelle zone tribali a fianco delle formazioni talebane. 
Ma oltre ogni valutazione restano le drammatiche cifre della strage:  a Mumbai - secondo un bilancio ancora provvisorio - sono morte 195 persone e più di 300 sono rimaste ferite.

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