giovedì 4 dicembre 2008

Una corretta ermeneutica per una nuova vita religiosa

Intervento del prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica

Pubblichiamo alcuni stralci di un intervento pronunciato a Boston dal prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica in occasione di un incontro con religiosi e religiose dell'America del Nord. 

 

di Franc Rodé

Negli ultimi quarant'anni, la Chiesa è passata attraverso una delle maggiori crisi della propria storia. Noi tutti sappiamo che la drammatica situazione della vita consacrata non è stata marginale in questa faccenda. Praticamente in tutti i Paesi dell'Occidente gli osservatori notano che la maggioranza delle comunità religiose sta entrando nella fase finale di una prolungata crisi il cui risultato - dicono - è già stabilito dalle statistiche.
In molti di questi Paesi occidentali, i religiosi hanno perso speranza. Sono rassegnati alla perdita di vitalità, di significato, di gioia, di attrattiva, di vita. Ma l'America è diversa. La vitalità, la creatività, l'esuberanza che denotano la fiorente cultura degli Stati Uniti si riflettono nella vita cristiana e anche nella vita consacrata. Basti pensare che dal concilio Vaticano ii più di cento nuove comunità religiose sono sbocciate da questo fertile suolo.
Questo è il Paese che Papa Benedetto ha visitato in aprile al fine di portare il messaggio della speranza di Cristo. Ma quando egli è ritornato a Roma, ha detto:  "Ho trovato una grande vitalità e la volontà ferma di vivere e testimoniare la fede in Gesù". Con grande gioia, ha confessato che lui stesso è stato "confermato nella speranza dai cattolici americani".

Lo stato attuale della vita religiosa

Nonostante questo passato grandioso e l'attuale vitalità, noi sappiamo - e questa è una delle principali ragioni per cui siamo riuniti qui oggi - che non tutto va bene nella vita religiosa in America. Oggi, le mie osservazioni sono dirette specialmente ai religiosi di vita attiva.
Primo, ci sono numerose nuove comunità, alcune più conosciute di altre, molte delle quali sono fiorenti e le loro statistiche indicano il contrario rispetto alla tendenza generale. Secondo, ci sono comunità più antiche che hanno agito per preservare e riformare la genuina vita religiosa all'interno del proprio carisma; anche queste sono in fase di crescita, contrariamente alla tendenza generale, e l'età media dei loro religiosi è inferiore a quella generale dei religiosi. Nessuno di questi due gruppi vede avvicinarsi "la fine" nel senso che gli osservatori delle tendenze generali sono soliti dire; al contrario il loro futuro si presenta promettente, se continueranno a essere quello che sono e come sono. Terzo, ci sono ancora coloro che accettano l'attuale situazione di declino come - dicono loro - il segno dello Spirito nella Chiesa, il segno di una nuova direzione da seguire. In questo gruppo vi sono coloro che hanno semplicemente accettato la scomparsa della vita religiosa o, per lo meno, delle loro comunità, e si impegnano affinché questo avvenga nella forma più pacifica possibile, ringraziando Dio per i benefici del passato.
Oltre a ciò, dobbiamo ammettere l'esistenza di quelli che hanno optato per vie che li hanno allontanati dalla comunione con Cristo nella Chiesa cattolica, sebbene possano aver deciso di "stare" nella Chiesa fisicamente. Questi possono essere individui o gruppi in istituti che hanno una visione differente, o possono essere intere comunità.
Infine, vorrei distinguere quelli che credono fervidamente nella loro vocazione personale e nel carisma della loro comunità, e cercano mezzi di invertire la tendenza attuale, o, in altre parole, di compiere un autentico rinnovamento. Questi possono essere istituzioni intere, individui, gruppi di individui o persino comunità in seno a un istituto. Mi rivolgo oggi specialmente a quest'ultimo gruppo, con l'intenzione di offrire loro un incoraggiamento e delle idee da seguire. Ma le mie riflessioni possono essere utili anche ai primi due gruppi, perché non perdano quello che già hanno, come avverte san Paolo ai Corinzi:  "Chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere" (i Corinzi, 10, 12).
A tal fine, sarà molto importante esaminare le radici della crisi. Qui ci imbatteremo in una domanda necessaria e brutale:  "rinnovamento" non è stato esattamente ciò che abbiamo fatto dopo il concilio? Questo non doveva condurci a una nuova era? E non è stato esattamente questo "rinnovamento" che ci ha fatti giungere dove siamo oggi?

Le ermeneutiche di rottura e discontinuità

Il concilio, in realtà, ha offerto chiare e abbondanti direttive per la necessaria riforma della vita consacrata. La questione cruciale è:  come sono state interpretate e applicate queste direttive? Complessivamente, il concilio è stato interpretato e applicato, nel suo insieme, in due forme molto diverse e opposte che noi dobbiamo analizzare più da vicino se vogliamo comprendere quello che è accaduto e tracciare un cammino da seguire in futuro.
"Perché la recezione del concilio, in grandi parti della Chiesa finora si è svolta in modo così difficile?", ha chiesto Benedetto XVI in un importante discorso tre anni fa. La risposta che egli offre è profonda e cristallina:  "Tutto dipende dalla giusta interpretazione del concilio o - come diremmo oggi - dalla sua giusta ermeneutica, dalla giusta chiave di lettura e di applicazione". C'è un eccellente equilibrio nei documenti conciliari, ma al momento, dato che il mandato è stato per l'aggiornamento, è stato più facile giustificare i cambiamenti che difendere la continuità.
Nel secondo paragrafo di Perfectae caritatis si legge:  "Il rinnovamento della vita religiosa comporta il continuo ritorno alle fonti di ogni forma di vita cristiana e alla primitiva ispirazione degli istituti, e nello stesso tempo l'adattamento degli istituti stessi alle mutate condizioni dei tempi" (2). Lette attraverso le ermeneutiche di rottura e discontinuità "il continuo ritorno alle fonti di ogni forma di vita cristiana e alla primitiva ispirazione degli Istituti" hanno avuto la tendenza a essere interpretati alla luce dell'"adattamento alle nuove condizioni del nostro tempo" piuttosto che al contrario.

Le conseguenze nella vita religiosa

Dobbiamo cominciare col riconoscere che c'è stato, sicuramente, molto da correggere nella vita religiosa e molto da migliorare nella formazione dei religiosi. Dobbiamo anche ammettere che la società ha proposto delle sfide alle quali molti religiosi non erano preparati. In alcuni casi, bisognava scuotersi di dosso la routine e le incrostazioni di usanze superate. In questo senso, dobbiamo affermare categoricamente non solo che il concilio non si sbagliava nel suo impulso al rinnovamento della vita religiosa, ma che è stato veramente ispirato dallo Spirito Santo a farlo.
La vita religiosa, essendo un dono dello Spirito Santo al singolo religioso e alla Chiesa, dipende specialmente dalla fedeltà alle sue origini, fedeltà al fondatore e fedeltà al carisma particolare. La fedeltà a questo carisma è essenziale, poiché Dio benedice la fedeltà, mentre "resiste ai superbi" (Giacomo, 4, 6). La completa rottura di alcuni con il passato va, pertanto, contro la natura di una congregazione religiosa e, in sostanza, provoca il rifiuto di Dio.
Appena il naturalismo è stato accettato come la nuova via, l'obbedienza è diventata la sua prima vittima, perché essa non può sopravvivere senza fede e speranza. La preghiera, specialmente la preghiera comunitaria e la liturgia sacramentale, è stata minimizzata o abbandonata. La penitenza, l'ascetismo, e ciò che è stato denominato come "spiritualità negativa" sono diventate cose del passato. Molti religiosi si sono sentiti a disagio nel vestire l'abito. L'agitazione sociale e politica divenne l'acme della loro azione apostolica. La nuova teologia ha condotto all'interpretazione personale e alla diluizione della fede. Tutto è diventato un problema da discutere. Respinta la preghiera tradizionale, le genuine aspirazioni spirituali dei religiosi hanno cercato forme più esoteriche.
I risultati non si sono fatti attendere, sotto forma di un esodo di membri. Di conseguenza, apostolati e ministeri che erano essenziali per la vita della comunità cattolica e del suo raggio di azione caritativa - soprattutto le scuole - sono scomparsi velocemente. Le vocazioni si sono esaurite rapidamente. Nonostante i risultati cominciassero a parlare di per se stessi, c'erano quelli secondo cui le cose non andavano bene perché non c'erano stati cambiamenti sufficienti, il progetto non era completo. E così il danno è andato aumentando. Si deve notare, inoltre, che molti responsabili delle decisioni e delle azioni disastrose di questi anni postconciliari in seguito hanno essi stessi abbandonato la vita religiosa. Molti di voi si sono mantenuti fedeli. Con immenso coraggio vi siete accollati l'onere di rimediare al danno e ricostruire le vostre famiglie religiose. Il mio cuore e le mie preghiere sono con voi.

L'ermeneutica della continuità e della riforma

Il vero spirito del concilio è stato descritto alla sua inaugurazione da Papa Giovanni XXIII, quando ha affermato che esso mira a "trasmettere integra, non sminuita, non distorta, la dottrina cattolica". E ha continuato:  "Però noi non dobbiamo soltanto custodire questo prezioso tesoro, come se ci preoccupassimo della sola antichità, ma, alacri, senza timore, dobbiamo continuare nell'opera che la nostra epoca esige, proseguendo il cammino che la Chiesa ha percorso per quasi venti secoli. (...) Al presente bisogna invece che in questi nostri tempi l'intero insegnamento cristiano sia sottoposto da tutti a nuovo esame, con animo sereno e pacato, senza nulla togliervi, (...); occorre che questa dottrina certa e immutabile, alla quale si deve prestare un assenso fedele, sia approfondita ed esposta secondo quanto è richiesto dai nostri tempi. Altro è infatti il deposito della fede, cioè le verità che sono contenute nella nostra veneranda dottrina, altro è il modo con il quale esse sono annunziate, sempre però nello stesso senso e nella stessa accezione". Queste parole permettono di interpretare il concilio in modo molto differente da quello descritto in precedenza. Qui abbiamo, in essenza, l'ermeneutica della continuità e della riforma.
La continuità suscita un armonioso dialogo tra fede e ragione. La ragione illuminata dalla fede non cadrà nel tranello del secolarismo moderno. L'autentico profetismo nella Chiesa vuole rettificare i comportamenti e non cambiare la rivelazione apostolica.

I frutti

Oggi guardiamo con gratitudine al concilio Vaticano II, per averci provvisto di direttive chiare per distinguere tra la sostanza del deposito della fede e le sue manifestazioni circostanziali. La continuità con ciò che è essenziale nella vita religiosa non sopprime ma incoraggia la riforma di quanto è obsoleto, accidentale e perfettibile. Questo diventa evidente quando leggiamo i criteri e le direttive, attentamente equilibrati, di Perfectae caritatis (1-18), ai quali abbiamo già fatto riferimento parlando della rottura e discontinuità.
Se questi stessi numeri sono interpretati in termini di continuità, si nota che i cambiamenti non sono mai dissociati dalle radici. Quanti cercano la continuità nel rinnovamento noteranno che il concilio ha chiamato a un rinnovamento che è eminentemente rinnovamento dello spirito, enfatizzando la centralità di Cristo come si incontra nei Vangeli, seguendolo nel cammino tracciato dal fondatore attraverso i voti (cfr. Perfectae caritatis, 2).

Cercare il rinnovamento

Dobbiamo ora affrontare la questione:  in quale direzione possiamo andare? C'è una nuova vita per le comunità religiose del Nord America che aspirano a una autentica riforma? Qui dobbiamo notare che, sebbene lo sfondo del problema sia lo stesso, e vi siano problemi e sfide comuni per i religiosi e le religiose (l'ingegneria del linguaggio, il declino verso il relativismo, lo smarrimento del senso del soprannaturale e, in alcuni casi, dubbi sulla rilevanza e centralità di Cristo), è anche vero che ogni gruppo deve affrontare le proprie sfide particolari. Le religiose, in particolare, hanno bisogno di impegnarsi criticamente nei confronti di un certo tipo di femminismo, attualmente fuori moda, ma che continua, nonostante questo, a esercitare molta influenza in certi ambienti. Lasciate che mi concentri su alcuni degli elementi comuni. Se la rottura e la confusione sono ciò che caratterizza le recenti difficoltà nella vita religiosa allora il cammino da seguire deve essere una maggiore ricerca di continuità e chiarezza. Come lo scriba che è stato istruito nel Regno dei Cieli, dobbiamo avere nel nostro tesoro "cose nuove e cose antiche" (cfr. Matteo, 13, 52).

Continuità con la fede cattolica

Potrebbe apparire superfluo fare questa osservazione, poiché sarebbe giusto immaginare che su questo punto non vi sia discussione. Invece, tutti noi abbiamo fatto esperienza della presenza di gruppi o singole persone che, sotto la propria responsabilità, si sono "spostati oltre la Chiesa", pur rimanendo esteriormente "all'interno" della Chiesa. Sicuramente, un'esistenza così ambivalente non può portare frutti di gioia e pace (cfr. Galati, 5, 22), né per loro stessi né per la Chiesa. Preghiamo affinché lo Spirito Santo li illumini affinché vedano il cammino della vera pace e libertà, e il coraggio di seguirlo.
In accordo con il concilio "la stessa autorità della Chiesa, sotto la guida dello Spirito Santo, si è data cura di interpretarli (i consigli evangelici), di regolarne la pratica e anche di stabilire sulla loro base delle forme stabili di vita". L'autorità e la tradizione della Chiesa hanno parlato, nel corso dei secoli, della sostanza della vita consacrata. Benedetto XVI l'ha formulata in questo modo:  "Appartenere al Signore:  ecco la missione degli uomini e delle donne che hanno scelto di seguire Cristo casto, povero e obbediente, affinché il mondo creda e sia salvato".

Continuità col carisma del fondatore

Questo punto è di capitale importanza, ed è la chiave per rinnovare e rivitalizzare le nostre congregazioni, attrarre vocazioni e compiere i nostri obblighi nei confronti dei giovani che eventualmente entrano nelle nostre famiglie religiose. Il concilio insiste su questo punto. Dobbiamo garantire che, nelle nostre congregazioni, la vita sia pienamente cattolica e interamente allineata al carisma del fondatore o della fondatrice. Su questa materia, non possono esserci contraddizioni, dal momento che il carisma è stato dato ai fondatori nel contesto ecclesiale ed è stato sottoposto all'approvazione della Chiesa. Molte congregazioni stanno facendo vigorosi sforzi in questo senso.
Ciò nonostante, alcuni superiori religiosi hanno scoperto che questo non è sufficiente. Stanno facendo grandi sforzi per ravvivare la figura e la centralità dei loro fondatori; stanno rinnovando l'osservanza religiosa e la vita nelle loro comunità; ma dicono che le vocazioni ancora non stanno arrivando. Ci sono altri due elementi, entrambi molto importanti, da essere presi in considerazione.
Nelle attuali circostanze, offrire un programma di formazione adeguato e fedele è una sfida particolarmente significativa. Offro alcune considerazioni al riguardo:  vale la pena fare qualsiasi sacrificio per dedicare alla formazione i membri migliori. Essi devono essere pienamente in comunione con la Chiesa. Devono essere prudenti, eminentemente spirituali e pratici. Devono amare la loro congregazione e identificarsi con il carisma del fondatore, possedere un amore spirituale per le loro incombenze, essere consapevoli delle forze e debolezze dei giovani d'oggi, e avere la completa assistenza dei superiori.
I programmi di postulato e noviziato sono più facili da soddisfare, ma la sfida è maggiore per quel che concerne gli studi di filosofia e teologia, o altre carriere universitarie necessarie per l'apostolato svolto dai membri. Quando si rendono necessari studi religiosi in centri al di fuori della congregazione di appartenenza, questi devono essere scelti con prudenza in modo che la dottrina che i giovani religiosi riceveranno sia sicura e profonda, e le circostanze esterne permetteranno che essi vivano un'autentica vita comunitaria e religiosa, continuando a coltivare tutte le aree della loro formazione, incluse quella spirituale, sacramentale e umana.
Le nuove vocazioni devono essere educate alla luce dei ricchi contributi di Giovanni Paolo ii e Benedetto XVI riguardo la comprensione della dignità della persona umana, la natura della libertà, la natura della dimensione religiosa delle nostre vite, la necessità della formazione umana. Essi devono essere imbevuti d'amore per il loro fondatore, la storia, le tradizioni, i contributi, e di una salutare ambizione a servire le anime.
La fedeltà allo spirito della vita religiosa e a un istituto non dovrebbe essere spersonalizzata o statica. Piuttosto, dovrebbe essere creativa, capace di trovare vie innovative per sviluppare e applicare il carisma e per raggiungere le nuove generazioni di cattolici e i potenziali membri dell'istituto.
Distinguo due modi differenti e complementari per promuovere le vocazioni:  uno lo chiamerei indiretto, l'altro diretto. E, diversamente da quanto si potrebbe intuire, ritengo che la cosiddetta promozione indiretta sia la più importante nell'attuale contesto della Chiesa, perché ciascuno di noi può impegnarsi in essa, l'intero corpo ecclesiale ne trae benefici, e senza di essa la promozione diretta delle vocazioni resta in gran parte sterile.
Promozione indiretta è tutto ciò che costruisce la vita di Cristo nella Chiesa, e può essere sintetizzata in tre dimensioni di vita:  spiritualità, catechesi e apostolato o ministero. Noi dobbiamo centrare l'attenzione su queste dimensioni della vita cristiana nei due luoghi che più influenzano la vocazione alla consacrazione:  sulla famiglia e sul cuore, mente e anima del giovane. Molto spesso nelle nostre vite e comunità la ragione per cui il seme non porta frutti non è perché il suolo sia roccioso o scadente, ma perché molti altri interessi richiamano il nostro tempo e attenzione. Intendo dire che oggi noi siamo coinvolti e preoccupati per molte cose, come Marta (Luca, 10, 41). Comitati, conferenze, dibattiti sulla giustizia sociale, comunicati stampa e cose del genere, riempiono il nostro calendario. Ma c'è una cosa e una cosa sola che, in ultima analisi, cambia il mondo:  l'intima trasformazione della persona attraverso il contatto con la grazia di Cristo.
La spiritualità non è centrata nel vago sentimento religioso dello star bene con Dio e il prossimo, e avere esperienze piacevoli nella preghiera. La sua essenza è la continua conversione, nutrita dai Sacramenti e il compimento del piano di Dio per la propria vita. Essa ha una dimensione oggettiva.
La catechesi non è limitata a una istruzione iniziale, ma è il continuo approfondimento delle ricchezze della nostra fede cattolica che, sola tra tutte le religioni e versioni del cristianesimo, offre un solido e pienamente soddisfacente alimento per l'intelletto come per l'anima. È essenziale che la catechesi vada di pari passo con la spiritualità e sia capace di giustificare le nostre speranze, come ha detto san Pietro (cfr. Pietro, 3, 15). Come testimonia Papa Benedetto.
La terza dimensione è l'azione:  vivere esternamente la carità di Cristo che porta al di là dei confini della propria comodità. Per la persona, questa è una nuova esperienza di Cristo.
Normalmente Dio andrà a piantare il seme di una vocazione nelle famiglie e nella vita delle persone. E questo ci conduce al prossimo punto:  la promozione diretta. La promozione diretta delle vocazioni si verifica quando abbiamo iniziato a trovare e incoraggiare quei giovani che Dio sta chiamando alle nostre comunità. Questo suppone che noi realmente crediamo che Dio stia lavorando in quelle anime, per questa ragione ci impegniamo con fiducia e non ci scoraggiamo se il successo non arriva immediatamente.
Facciamo promozione diretta in molte forme:  facciamo propaganda, parliamo in scuole e università, scriviamo, invitiamo, offriamo ritiri ed esperienze, e così via. Questo deve e può continuare e aumentare se possibile, utilizzando tutti i mezzi che oggi abbiamo a nostra disposizione.
Io credo che tre elementi contribuiscano a rendere questa promozione diretta effettiva:  primo, la preparazione indiretta sopra menzionata (che sia stata fatta per mezzo di un apostolato o ministero di una delle nostre comunità, o di un'altra comunità o movimento ecclesiale, o anche nella parrocchia della persona). Secondo:  ciò che noi offriamo deve essere genuino. In altre parole, la vita della comunità e la formazione alla quale io invito questo giovane, deve riflettere il carisma particolare della mia famiglia religiosa ed essere in piena e gioiosa comunione con la Chiesa. Infine, i promotori vocazionali devono possedere una preparazione umana, intellettuale e spirituale adatta al loro delicato compito.

Conclusione

Non deve sorprenderci il fatto che il cammino da seguire sia irto di difficoltà e sfide. Tuttavia, desidero che siate sicuri del mio totale appoggio a qualsiasi sforzo sincero di rinnovamento di ognuna delle famiglie religiose sulla linea della fedeltà alla Chiesa e al fondatore. Molta onestà, umiltà, coraggio, apertura di mente, dialogo, sacrificio, perseveranza e preghiera saranno necessari, come ci ha ricordato Papa Benedetto. Nel Vangelo, Gesù ci ha avvertito che due sono le vie:  una è la via stretta che conduce alla vita, l'altra è la via larga che conduce alla perdizione (cfr. Matteo, 7, 13-14).
Lasciatemi concludere con una preghiera tratta dall'orazione di apertura e da quella dopo la Comunione della messa per i religiosi del Messale Romano:  "O Dio, che ispiri e porti a termine ogni buon proposito, guida i tuoi servi e le tue serve nella via della salvezza. Concedi, a quelli che fanno ogni cosa per amore tuo, di seguire Cristo e rinunciare al mondo, servendo Te e i loro fratelli e sorelle, con spirito di povertà e umiltà di cuore. Concedi che le religiose e i religiosi, riuniti nel tuo amore, si animino gli uni con gli altri nell'esercizio della carità e nella pratica delle buone opere, siano con la loro vita santa autentici testimoni di Cristo nel mondo. Per il Nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, nell'unità dello Spirito Santo. Amen".



(©L'Osservatore Romano - 4 dicembre 2008)

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