martedì 2 dicembre 2008

I cannoni di Bava Beccaris anche sui frati del popolo

Arte e storia del convento cappuccino di Monforte nella mostra "Sacro e liberty" a Milano

di Pietro Petraroia

Cappuccini, frati del popolo: non è un modo di dire relegato a un passato remoto, ma una storia vera che attraversa anche il Novecento milanese giungendo fino ad oggi. Testimone particolare a Milano ne è la chiesa del Sacro Cuore del "convento di Monforte". L'edificazione nel 1908 sostituiva un più piccolo precedente edificio, costruito dopo le soppressioni che nello stato unitario furono disposte con decreto del 1865 e quando "fu chiaro che i progetti dell'anticlericalismo piemontese e del potere occulto di una parte della massoneria", non avrebbero consentito ai frati di tornare a vivere e a pregare nei luoghi di provenienza: secondo la "tradizione cappuccina dei secoli precedenti" che voleva i frati semplici ospiti di conventi non di loro proprietà e dei quali periodicamente restituivano le chiavi al legittimo proprietario.
Così Ferdinando Zanzottera chiarisce le condizioni di contesto che portarono alla prima costruzione in Milano del convento del Sacro Cuore nel suo saggio in apertura al catalogo della mostra "Sacro e Liberty. 1908-2008: un secolo di storia, arte e devozione", a cura di Rosa Giorgi, ora aperta al Museo dei Beni culturali cappuccini di Milano (Via Kramer 5, fino al 28 febbraio 2009).
Il secolo in questione muove dalla ricostruzione del convento detto di Monforte, che prese il nome dalla via sulla quale allora si affacciava la chiesa, progettata da fra Angelo Osio di Cassano d'Adda e costruita - primo caso registrabile in Milano - in stile neoromanico lombardo fra il 1877 e l'anno successivo, per esser poi consacrata nel 1882.
Situata allora fuori città e considerata da subito santuario, la chiesa - fra le primissime in Italia ad essere dedicata al Sacro Cuore, la cui festa era stata resa universale nel 1856 - era meta dei poveri della città, che vi trovavano assistenza. Proprio contro un gruppo di loro furono esplose il 9 maggio 1898 le cannonate delle truppe agli ordini del generale Fiorenzo Bava Beccaris, che fece arrestare i poveretti e gli stessi cappuccini, sotto accusa di proteggere rivoltosi e nascondere armi. Neppure l'intercessione dell'arcivescovo, il beato cardinale Andrea Ferrari, rese possibile l'immediato rilascio dei frati, che avvenne dopo dieci giorni di domicilio coatto presso i barnabiti.
La popolarità dei cappuccini e la crescente frequentazione del santuario, ma anche l'espansione demografica dovuta alla edificazione del quartiere, portò a decidere l'edificazione di una più ampia chiesa, molto desiderata dal cardinale Ferrari, la cui prima pietra fu posta l'8 dicembre 1905. Ma l'accordo con il comune per l'autorizzazione edilizia non fu facile, essendo stati respinti diversi progetti, generalmente caratterizzati dalla volontà di mantenere nel nuovo edificio lo stile cappuccino ispirato al romanico. Fu necessario un ulteriore nuovo progetto architettonico e decorativo molto innovativo soprattutto nella facciata, dovuto all'ingegnere Paolo Mezzanotte, per ottenere l'agognata approvazione municipale.
Ne risultò un'opera che superava con decisione la tradizione cappuccina e che nel nuovo quartiere si presentava sostanzialmente come una presenza imponente ed aggiornata nel gusto. Rispetto alla tradizione neo-romanica, la facciata del Sacro Cuore, anche per esplicito impulso del comune, fu molto arricchita nei partiti ornamentali scolpiti - conclusi nel 1911 - e nelle vetrate; con ciò, come si spiega in mostra, si perviene ad un lessico decisamente eclettico, capace di assorbire dal Liberty suggestioni aggiornate, funzionali ad alleggerire il risentito plasticismo delle membrature architettoniche - comunque medievaleggianti - con soluzioni forse memori del Sacré Coeur parigino, sebbene autonome negli esiti formali.
Ma la mostra non si ferma all'architettura, perché, da un lato, ci guida in un percorso di ricerca iconografica sul Sacro Cuore in ambiente cappuccino, dall'altro illumina episodi, personaggi ed atteggiamenti di un secolo di storia del convento, lasciandoci intuire l'attenzione dei cappuccini ad una pastorale "popolare" e proprio per questo attenta a fenomeni nuovi ma di ampia suggestione, come il cinematografo, da loro proposto al convento di Monforte in chiave educativa e critica, con nomi quali Akira Kurosawa, Kenji Mizoguchi, Michel Deville, Agnès Varda, Tony Richardson, Pier Paolo Pasolini e altri.
L'indagine iconografica sul Sacro Cuore è una vera novità e non può dunque dirsi conclusa: dalle tele del Batoni ad esempi a noi contemporanei - ad esempio fra Damaso Bianchi da Fino Mornasco - attraverso dipinti e santini che saremmo tentati di liquidare sin dal primo sguardo come "oleografici", si percorre un sorprendente immaginario della devozione popolare e non solo, che ci fa incontrare persino una lampada ad olio in forma di cuore di Gesù in vetro rosso, illuminabile dall'interno; e ci si rende conto dell'intensivo succedersi ed affiancarsi di continue reinterpretazioni, ove il cuore fiammeggiante o raggiante con corona di spine si fonde o si combina, ad esempio, con lo stemma di san Bernardino, con simboli regali oppure eucaristici, sino alla Nostra Signora del Sacro Cuore di Bergamo, che significativamente integra il tipo dell'Immacolata concezione e quello, appunto, del Sacro Cuore.
Si tratta di oggetti di devozione progressivamente emarginati anche dalla riforma liturgica, come stendardi processionali o stole, ove la modestia di esecuzione pittorica delle figurazioni "non ne sminuisce l'importanza dal punto di vista storico-artistico, perché, attraverso la loro analisi, si possono individuare interessanti percorsi di "migrazione iconografica"", come scrive Laura Dimitrio.
L'ultima sezione della mostra non ha relazione iconografica né con la chiesa né con il soggetto del Sacro Cuore: la Giorgi coglie l'occasione del centenario per presentare in questo caso la varietà, anzi l'eterogeneità delle opere d'arte pervenute in dono nei secoli ai cappuccini, il cui padre provinciale nel 1936 redige il primo elenco ufficiale di opere, trasmesso alla Commissione Pontificia per l'Arte Sacra: è il nucleo simbolico di quello che sarebbe divenuto, in anni ben più vicini, il Museo dei beni culturali cappuccini, riconosciuto dalla Regione Lombardia, con il fine "di presentare, attraverso l'arte, la vita, la storia e la spiritualità dei Frati Minori Cappuccini".



(©L'Osservatore Romano - 1-2 dicembre 2008)

Nessun commento: