giovedì 4 dicembre 2008

In quattro volumi la «Teología en América Latina»

Non sempre il più forte
impone la propria cultura


A nove anni dalla pubblicazione del primo volume, è uscito il quarto e ultimo tomo della Teología en América Latina, un'opera diretta dal titolare della cattedra di storia della teologia dell'Università di Navarra, membro del Pontificio Comitato di Scienze Storiche, che ha sintetizzato per "L'Osservatore Romano" i temi principali del lavoro.

di Josep Ignasi Saranyana

L'Atlantico non è stato una barriera o un ostacolo per le relazioni fra il vecchio e il nuovo mondo. Al contrario ha potenziato l'unione fra le due sponde, favorendo i nessi e gli scambi, ha contribuito a creare un mondo con due sponde, anche nell'ambito della scienza teologica, in questo caso, inoltre, propiziato dalla comune fede religiosa che, in linea di massima, si professa su entrambe le rive. È quanto emerge dai quattro volumi di Teología en América Latina, l'ultimo dei quali è stato pubblicato nel 2008 a nove anni dal primo. Alla stesura delle 3.553 pagine totali hanno collaborato esperti di diciannove centri universitari (cinque europei e quattordici americani), coordinati da Carmen-José Alejos-Grau e diretta da chi scrive.
Questa tesi è impopolare, poiché ora si parla molto di eurocentrismo e di sfruttamento "ideologico" dell'America da parte dell'Europa. I fatti però sono fatti. Nonostante la grande diversità geografica, le etnie tanto diverse, la molteplicità linguistica innegabile, le distanze impressionanti e il gigantismo orografico, la teologia insegnata in America - sia la teologia accademica sia la stessa teologia profetica - ha seguito il ciclo evolutivo del mondo latino-europeo.
Alcuni obietteranno che non poteva essere diversamente, poiché, diranno, i docenti di teologia provenivano dalla Spagna e trasferirono la loro scienza in America. Non vi poteva essere pertanto un pensiero genuinamente americano quando il tronco era europeo. Questa obiezione, che è interessante, non è però del tutto esatta. Come è noto, in America vi furono due università importanti dal 1551 e un buon numero di università pontificie dal 1620. Salvo, come è logico, la prima generazione di docenti di Città del Messico e Lima e la prima generazione accademica degli studia generalia dei cinque ordini che si stabilirono prima in America, una maggioranza significativa degli insegnanti dell'epoca coloniale studiò nelle aule americane. Già alla fine del XVI secolo era sorta una generazione universitaria (ancora con pochi rappresentanti) che si era laureata in America:  questi insegnanti erano americani formati in America, un fenomeno sconosciuto nell'America lusitana, poiché il Portogallo aveva ordinato agli intellettuali brasiliani di recarsi a Coimbra-Lisbona per laurearsi.
La dinamica dell'assimilazione culturale è molto complessa. In essa intervengono fattori imprevisti, che modificano i flussi d'influenza. Né il più potente né il più consistente impongono necessariamente la propria cultura. I meticciati, che si verificano sempre in maggior o minor misura, producono a volte risultati inattesi. Si può risalire con un esempio alla grande crisi provocata dall'invasione germanica nella tarda antichità, quando i "barbari" fecero crollare l'impero romano. Erano loro i conquistatori e ciononostante furono alla fine dominati dalla cultura dei vinti, o, per meglio dire, i vincitori si convertirono alla cultura dei vinti.
C'è anche un'altra conclusione, che è una conseguenza della prima e merita un'analisi più dettagliata. È innegabile che si produsse un certo meticciato nell'incontro di civiltà fra la cultura europea e i nuclei culturali americani, intendendo per nuclei culturali quelli che gli spagnoli incontrarono nelle valli centrali del Messico e nell'altipiano dell'impero Inca. Questo meticciato non consistette, tuttavia, in un inserimento della teologia latino-europea nelle culture auctoctone, ma soprattutto in un inserimento di elementi autoctoni americani nella teologia latino-europea. Non vi fu, pertanto, una teologia barocco-scolastica analoga all'arte di Cuzco e Quito, ossia una ricreazione del mondo europeo in quello americano.
Il meticciato teologico ebbe intensità diverse. Per questo è opportuno distinguere sette momenti:  l'evangelizzazione fondante, la teologia profetica, la scolastica barocca pura, la casistica morale, l'estirpazione delle idolatrie, la teologia pre-illuministica e illuministica, le teologie latinoamericaniste. Il meticciato è evidente nella prima epoca, quella dell'evangelizzazione fondante, che è stata studiata nel primo volume dell'opera. Fu l'epoca dei grandi trattati catechetici, dello studio delle lingue autoctone e della fissazione della loro grammatica. In quegli anni si compì uno sforzo straordinario per trasporre nelle lingue amerinde le nozioni tecniche della teologia latino-europea. Bisogna ricordare qui alcuni nomi, dal pioniere Ramón Pané, nelle Antille, a Jerónimo Oré, passando per Alonso de Molina, Bernardino de Sahagún, Toribio de Benavente (Motolinia), i redattori del corpus guadalupano, Juan Bautista Viseo e tanti altri.
Il meticciato si avverte in alcuni teologi del XVI e XVII secolo non ascritti alla teologia barocco-scolastica, in parte studiati nel primo volume e analizzati nella prima parte del secondo. Ricordiamo le imprese editoriali di Juan de Zumárraga e i trattati di Cristóbal Cabrera, Juan Focher, Diego de Valadés, Bartolomé de Ledesma, senza dimenticare l'opera teologica di Bartolomé de Las Casas, soprattutto il De unico vocationis modo. Questi teologi s'inscrivono in una corrente che molti hanno chiamato teologia profetica americana, espressione che possiamo mantenere, senza entrare in ulteriori distinguo.
Il caso più estremo di resistenza al meticciato culturale ce lo presentano gli scolastici puri. Bisogna riconoscere che la teologia scolastica americana - come la teologia barocco-scolastica europea - non fu sensibile ai temi che preoccupavano l'uomo della strada, a eccezione, chiaramente, dei trattati di casistica morale.
D'indiscussa qualità tecnica, ma di scarsissima sensibilità americanista, sono le opere magne del saveriano Juan Martínez de Ripalda e del cileno Alonso de Briceño. È indubbio che la casistica americana pose alcune questioni sconosciute in Europa:  guerre di frontiera, regime degli sfruttamenti minerari, poligamia dei nativi, sincretismo religioso, consumo di droghe e allucinogeni, obblighi fiscali degli indigeni e così via. Ricordiamo, ad esempio, gli interessanti studi sulla schiavitù degli afroamericani condotti da Diego de Avendaño, per citare un autore scolastico del XVII secolo, o gli "itinerari dei parroci", che proliferarono nel XVII secolo, soprattutto il più diffuso, opera di Alonso de la Peña Montenegro. Tuttavia neanche questa casistica morale si distaccò, nelle soluzioni offerte, dal grande tronco della teologia latino-europea.
Per comprendere a fondo i costumi morali americani, sia della popolazione creola sia di quella meticcia e indigena, vanno in particolar modo presi in considerazione i confesionarios, delle guide che si redigevano per facilitare l'esame di coscienza, in vista dell'assoluzione sacramentale. Nel primo volume ne abbiamo studiato che offrono una prospettiva molto interessante della vita quotidiana della Nuova Spagna e della società Inca, e della penetrazione dell'evangelizzazione cristiana in queste popolazioni. Un caso particolare, di indubbio interesse etnografico sebbene di deplorevole intolleranza, fu il fenomeno dell'"estirpazione dell'idolatria", soprattutto nella prima metà del XVII secolo, anche se già nel XVI secolo si riscontrano diversi casi. Gli atti redatti dai "visitatori di idolatrie" - soprattutto negli arcivescovadi di Lima e Charcas, ma anche nella Nuova Spagna - sono una cava inesauribile di dati sulla persistenza di culti religiosi precolombiani e sui fenomeni di sincretismo religioso. Nell'atteggiamento teologico rappresentato da questa corrente non vi fu meticciato. Alla fine del XVII secolo cambiò il panorama, che iniziò a offrire una più chiara impronta americanista. La teologia cominciò a esprimere allora aspirazioni autonomistiche, per mano del pre-illuminismo. Così fecero i creoli e a volte anche gli indigeni che più si erano inseriti nella cultura spagnola. Ricordiamo nomi importanti come suor Juan Inés de la Cruz, l'audace Carlos de Sigüenza y Góngora, i fratelli Eguiara e Eguren, i giovani gesuiti Francisco Clavijero e Francisco Javier Alegre e tanti altri. Questo fenomeno "americanizzante", soprattutto della Nuova Spagna, non s'interruppe con l'espulsione dei gesuiti nel 1767, e neppure con "la riconquista d'America" della seconda metà del governo di Carlo iii. Anzi, i gesuiti espulsi continuarono in Italia la loro opera americanista. Le loro pubblicazione finora sono state poco studiate, salvo qualche valida eccezione. Nella prima parte del secondo volume figura un lungo capitolo dedicato proprio alla teologia dei gesuiti americani espulsi, tra i quali Francisco Javier Alegre, Manuel Mariano Iturriaga, Diego José de Fuenzalida, Domingo Muriel, Juan Pablo Viscardo y Guzmán, e molti altri. In America questo genere americanizzante si mantenne dopo il Tomo regio carolino (1769) e preparò l'emancipazione:  ricordiamo Juan Benito Díaz de Gamorra, José Pérez Calama, lo stesso Miguel Hidalgo y Costilla - quando era professore del collegio di San Nicolás - Toribio Rodríguez de Mendoza e molti altri.
Ciononostante la progressiva americanizzazione del pensiero del Nuovo Mondo - un fenomeno che fu in crescendo nel corso del XVIII secolo fino agli albori dell'indipendenza - non pretese mai di essere "latino-americanista", ossia di elaborare una teologia differenziata dalla teologia che si coltivava dall'altra parte dell'Atlantico. Il dialogo fra le due sponde continuò a essere intenso e fecondo. E lo stesso si può dire del primo secolo repubblicano, a partire dal 1820. I latinoamericani acquisirono la produzione europea e fecero pubblicare i propri libri da tipografie europee, a Barcellona, a Parigi, a Madrid, a Londra, a Friburgo e a Roma. Nel xix secolo gli americani lessero Henri Baptiste Grégoire, José María Blanco White, Juan Antonio Llorente, Jaime Balmes, Ernest Renan e tutta la pleiade di abati francesi del momento - per citare persone molto diverse - con lo stesso piacere con cui gli europei lessero gli americani Félix Varela, Justo Donoso Vivanco, Francisco de Paula y Vigil, Pedro Gual y Pujadas, José Antonio Ortiz Urruela, e molti altri.
La piena omogeneizzazione teologica si raggiunse - tenendo sempre conto di peculiarità accidentali - a partire dal Plenario dell'America Latina, svoltosi a Roma nel 1899. Durante il XX secolo, la neoscolastica americana, che prevalse in filosofia e teologia durante i primi quattro decenni, fu un calco - almeno nell'aspetto sostanziale - della sua omonima europea. Poi grazie alla fondazione del Collegio Pio Latinoamericano, alla fine degli anni Cinquanta, e al concilio Vaticano ii, la comunicazione teologica divenne ancora più agile. La panoramica descritta cambiò notevolmente nella seconda metà del xx secolo. Per prima cosa la Juventud Obrera Cristiana insegnò il metodo "jocista" ai latinoamericani:  vedere, giudicare e agire. Il 9 gennaio 1959 Fidel Castro entrò all'Avana. Poi, il concilio Vaticano ii, nella sua costituzione Gaudium et spes (1965), concentrò il suo sguardo sui segni dei tempi, cosa che fu intepretata unilateralmente in alcuni cenacoli intellettuali. Il 15 febbraio 1966 Camilo Torres cadeva a Patio Cemento. Il 9 ottobre 1967 Che Guevara moriva a La Higuera, al sud di Santa Cruz. Nacquero allora diverse associazioni sacerdotali con posizioni molto critiche come Onis, Galconda, Sacerdotes para el Tercer Mundo, e altre. L'enciclica Popolorum progressio (1967) insistette sul significato di alcuni aspetti della vita economica e sociale per l'operato pastorale della Chiesa e anche per la scienza teologica, ma due suoi numeri (30 e 31) furono contestualizzati male in determinati circoli teologici. E, soprattutto, sorse ovunque il desiderio di redigere una teologia e una filosofia genuinamente latinoamericane.
L'aspirazione a costruire una teologia latinoamericanista - molto sentita negli ambiti non solo cattolici ma anche evangelici - si alimentò delle teologie della liberazione. Questa tappa di particolarismo teologico, diffusa ampiamente dalla fine degli anni Sessanta, si è collegata, alla fine, alla teologia indigenista. Si crea così un tipo di meticciato molto più radicale ed estraneo alla storia culturale dell'America Latina. Si tratta di un fenomeno nuovo, che tenta di inserire la teologia latino-europea nelle culture autoctone. Non come prima, quando si cercava solo di inserire elementi autoctoni nella teologia universale. Questa rivoluzione degli ultimi decenni è molto aggressiva e può corrompere, se non l'ha già fatto, le basi comuni della tradizione cristiana. Le nuove correnti teologiche sono state oggetto della riunione plenaria della Pontificia Commissione per l'America Latina del 2001, durante la quale il cardinale Joseph Ratzinger affrontò la questione. Per questo, approfittando del mutamento di secolo, abbiamo fissato l'anno 2001 come termine ad quem della ricerca.



(©L'Osservatore Romano - 4 dicembre 2008)

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