Parigi.Scoppiano le polemiche dopo la visita di Benedetto XVI. Se il socialista Manuel Valls accusa Nicolas Sarkozy di avere “snaturato la funzione” presidenziale, con la mano tesa al papa in termini di laicità positiva, il democristiano François Bayrou viene accusato di mendacio dai vertici dell’Ump, che ricordano come lungi dal difendere le radici cristiane nel trattato europeo egli ne fu fermo avversario. Ma è intra ecclesiam che le polemiche divampano. Benedetto XVI non è andato molto per il sottile a Lourdesquando ha rivolto ai vescovi francesi un messaggio chiaro sull’atteggiamento da tenere in una società ipersecolarizzata, richiamandoli all’ordine. “Voi siete i rappresentanti di Cristo, e il popolo cristiano deve considerarvi con affetto e rispetto”. Li ha invitati a tenere duro, senza complessi né timidezza, a insistere sulla catechesi, a resistere ai compromessi coi divorziati, sostenendo le vocazioni sacerdotali “nello stesso interesse del mondo laico”. Li ha esortati alla “pacificazione degli spiriti”, per evitare “nuove lacerazioni alla tunica di Cristo” puntando sulla “liberazione spirituale della Francia”. Era un messaggio rivolto soprattutto allo stato laico, perché guardasse la chiesa non come una delle tante comunità che compongono la società francese, ma come l’istituzione portatrice della visione cattolica. Così dunque ha messo in guardia i francesi dalla pigrizia della chiesa gallicana, segnata da un record negativo di praticanti (appena il 4 per cento della popolazione) e afflitta da una crisi inesorabile di vocazioni. “Su questo, se potessi, farei a meno di rispondere” dice il filosofo Rémi Brague, che insegna alla Sorbona. “Da decenni, si nominano vescovi dalle personalità incolori. Le cose sono un po’ cambiate col cardinale Lustiger, ma il clima generale è il disfattismo”. Eppure se gli si chiede un bilancio del viaggio del Papa, il professore, che non si è mai fatto illusioni sull’odio anticristiano e la sua particolare virulenza, invita alla prudenza: “E’ difficile dire se l’intellighenzia laica presterà ascolto al messaggio del Papa o non farà orecchie da mercante”. Poi però lui stesso insiste sulla sostanza del discorso ai Bernardini. “Il Papa ha invitato artisti, cantanti, attori e scrittori a riflettere sulle fonti dell’arte e della tecnica. Cosa c’è dietro l’‘ora’ e il ‘labora’ dei monaci medievali? Per spiegarlo, il Papa ha citato il canto monastico, ricordando che non era espressione della soggettività, ma uno sforzo per conformarsi all’armonia del mondo. Il che pone il problema dell’attività artistica, di tutto ciò che nell’uomo supera l’attività tecnica di trasformazione della natura, vale a dire, noi abbiamo ancora qualcosa da cantare e celebrare? Se l’arte in generale, e non solo la musica, è una glorificazione dell’uomo da parte dell’uomo, va a finire che l’uomo non ha più niente da dire, come dimostrano in modo spettacolare alcune tendenze dell’arte contemporanea. E così come non c’è più nulla da cantare, non c’è più nulla da festeggiare: siamo a uno stadio della civiltà in cui si festeggia solo il fatto di fare festa. E’ questa la domanda che il Papa ha posto agli esponenti del mondo della cultura. Cosa avete ancora da festeggiare? Potete fare come i monaci che cantavano la gloria di Dio, o produrre solo rumore per dire che siete soli, come un bambino che canta di notte perché ha paura del buio, o mentre cammina nella foresta per darsi coraggio?”. Resta fuori il “labora”? “Per i monaci medievali singificava perfezionare la creazione. Ma se cessa di essere un’imitazione dell’opera divina e consiste solo nella volontà della specie umana di imporre e dominare la creazione, le conseguenze sono catastrofiche”. E’ anche per questo che il Papa insiste sul ritorno alla ragione. “Combatte contro un razionalismo segretamente irrazionale, che accredita la ragione come il risultato di processi accidentali e del tutto irrazionali, come il Big bang o la selezione della specie, che favorisce la sopravvivenza dei più forti”.
Marina Valensise
© Il Foglio, 16 settembre 2008
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