C'è una fotografia che lo riprende appoggiato ad un muro, con gli occhiali nella mano destra che si poggia sulla guancia, quasi fosse Il pensatore di Rodin. È Pier Paolo Pasolini e da quel muro sta ammirando, forse contemplando, i Sassi di Matera. È chiaro allora dove ci troviamo: siamo nel 1964 e ci muoviamo all'interno della lavorazione del più famoso film del regista friulano, il suo capolavoro, forse la migliore trasposizione cinematografica della storia di Gesù: Il Vangelo secondo Matteo. A muoversi tra le comparse, essendo comparsa anche lui, è Domenico Notarangelo, in realtà giornalista e operatore culturale, armato di ben due macchine fotografiche, che nasconde sotto i vestiti di scena e usa per immortalare preziosi momenti. È lui il centurione che guida il drappello della crocifissione. La sua unica battuta - "Costui è veramente il Figlio di Dio!" - è stata girata ma poi tagliata in fase di montaggio.
Oggi tutti questi momenti rubati riemergono alla luce raccolti in un libro fotografico pubblicato dall'editrice Città del Sole di Reggio Calabria, Il Vangelo secondo Matera, un volume che accanto alle immagini di Domenico Notarangelo di quarantaquattro anni fa, contiene anche quelle del figlio Antonio, questa volte rubate sul set dell'altro celebre film girato su Gesù in quegli stessi luoghi quarant'anni dopo quello di Pasolini: The Passion di Mel Gibson.
Una bella accoppiata, che stride al punto giusto. Metà volume in bianco e nero, un tuffo nei ricordi di quell'Italia così lontana, con la scrittrice Elsa Morante e il poeta Alfonso Gatto, tra gli altri, a dare un volto agli uomini del Vangelo (Pasolini girò per mesi alla ricerca di "facce da Vangelo") e metà volume a colori, con i volti di Gibson, la Bellucci, Caviziel, le star di Hollywood catapultate in questo angolo aspro e primitivo del sud del mondo.
Su quello stesso muro da cui Pasolini contempla l'incredibile location in cui ha scelto di ambientare il suo film - dopo aver scartato la stessa Palestina - forse pensando a quello che di lì a poco esprimerà con sintesi efficace Paolo vi sul fatto che "come c'è una storia della salvezza, c'è anche una geografia della salvezza", a pochi metri da lui c'è Enrique Irazoqui, con i vestiti di scena, nei panni cioè del Salvatore. C'è anche la sua voce in questo libro corale, raccolta in una breve intervista dove racconta quella formidabile, intensa esperienza accanto a Pasolini che lo scelse, ricorda, "perché ero puro e duro. Perché gli ricordavo i Cristi preraffaelliti e i dipinti di El Greco".
Quella fotografia che li ritrae insieme, il regista e il suo Gesù, è l'unica, assieme a quella della copertina, in cui Pasolini è ritratto senza gli occhiali, in tutte le altre indossa grandi montature scure, quasi a voler pudicamente difendere il suo volto, la sua pelle, dallo sguardo altrui così come dall'incandescenza della materia che stava trattando in quei giorni del 1964.
Quanta distanza da quel grido spudorato che è stato The Passion dell'energico regista australiano, un film-confessione in cui Gibson non ha voluto compiacere il pubblico ma colpirlo, anche con colpi bassi, le foto di Antonio Notarangelo si soffermano inevitabilmente sul corpo di Cristo martoriato. Due modi opposti per definire il rapporto personalissimo con lo stesso messaggio, anzi, con lo stesso messaggero: è Cristo il cuore dei due film, è Cristo nel cuore dei due registi.
Se Pasolini privilegia il contenuto rivoluzionario e paradossale del messaggio, scegliendo il vangelo di Matteo, quello dei grandi discorsi, e la voce - che allora fu prestata dall'attore Enrico Maria Salerno - del suo Cristo in bianco e nero è ciò che più di ogni altra cosa resta ancora vivo a distanza di tanti anni, Gibson invece realizza un film quasi muto, raccontando le ultime ore di Cristo, quelle in cui lui è l'agnello che con silenziosa mitezza si fa portare al macello, e quando parla è per gridare il suo ultimo ed estremo abbandono nelle mani del Padre. Due film estremi che hanno trovato, tra i Sassi di Matera, una diversa ma perfetta collocazione naturale come dimostra questo diretto e intenso libro fotografico.
(©L'Osservatore Romano - 4 settembre 2008)
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