Sono passati trent'anni dalla scomparsa del metropolita di Leningrado e Novgorod, Nikodim (Rotov), che il 5 settembre 1978 morì a Roma durante l'udienza concessagli dal neoeletto Giovanni Paolo i. La figura del metropolita, protagonista della vita dell'ortodossia russa nei difficili anni Sessanta e Settanta, e artefice di una rete di relazioni ecumeniche che ha connesso il patriarcato di Mosca alle principali Chiese cristiane, è stata oggetto delle valutazioni più diverse. Con l'aumentare della distanza temporale si rende necessaria una interpretazione storica della sua complessa personalità e del suo ruolo nelle vicende della Chiesa russa e in quella del cristianesimo nel xx secolo.
Nikodim, negli anni della nuova offensiva antireligiosa di Chruscèëv, ritenne che le relazioni internazionali ed ecumeniche della Chiesa costituissero un'opportunità preziosa per rafforzarne il profilo di fronte allo Stato. Più il patriarcato di Mosca avrebbe stretto rapporti a livello internazionale, minore sarebbe stato il rischio di una ripresa di persecuzioni cruente, quali quelle che erano state conosciute dalla Chiesa russa negli anni Venti e Trenta: tale era la sua convinzione.
L'obiettivo congiunturale della politica sovietica era di evitare la formazione di un fronte avverso di forze religiose. Nikodim riuscì a coniugare tali interessi con esigenze di lungo periodo dell'ortodossia russa, tese a evitare il pericolo di un suo isolamento nel campo delle relazioni intercristiane. L'ingresso da protagonista del patriarcato di Mosca nei rapporti tra le Chiese cristiane, con l'adesione al Consiglio ecumenico delle Chiese e l'invio di osservatori al Concilio Vaticano ii, secondo la visione del metropolita, avrebbe spezzato l'isolamento e avrebbe posto la Chiesa russa al centro delle relazioni fra le Chiese cristiane. Nikodim, come è noto, riuscì nel suo intento e la sua strategia ebbe successo.
Tale esigenza era avvertita dalle menti più sensibili dell'ortodossia russa sin dai primi decenni del Novecento. Sono significative le parole utilizzate da padre Sergej Bulgakov, intervenendo al concilio del 1917-1918, sul ruolo che il ristabilimento del patriarcato avrebbe potuto giocare nel futuro della Chiesa russa: "Il patriarcato è il vertice della Chiesa, che si alza sopra gli steccati locali, e che vede gli altri vertici ed è visto da loro. (...) noi viviamo in un'epoca, in cui l'esistenza angusta e provinciale della Chiesa locale diviene ormai impossibile, in cui sorge una serie di questioni di carattere non solo internazionale, ma anche interconfessionale". In un articolo del 1931 Nikolaj Berdjaev si interrogava sui processi di mondializzazione dell'età contemporanea: "Viviamo in un'epoca di unioni mondiali: religiose, culturali, intellettuali, economiche, politiche" - esordiva l'articolo. Il pensatore russo continuava: "Non c'è mai stata prima d'ora una tale nostalgia di unità, un tale anelito a superare il particolarismo e l'isolamento. Questa tendenza mondiale si riscontra anche nella vita delle Chiese cristiane. La questione ecumenica è all'ordine del giorno per la coscienza cristiana (...) Bisogna accorgersi che è imminente una nuova epoca mondiale e riconoscere i nuovi compiti che il cristianesimo deve affrontare per superare il provincialismo della propria confessione".
La personalità di Nikodim è complessa. Non è solo quella di un accorto ecclesiastico che ha saputo sfruttare con abilità gli spazi concessi dal potere comunista. Il metropolita di Minsk e Sluck Filaret (Vachromeev) ha scritto di lui: "Quando pregava, celebrava, pronunciava un'omelia, si nutriva di tale "ossigeno di eternità", quale esiste solo nella Chiesa durante la liturgia". È concorde la testimonianza di quanti hanno conosciuto il metropolita sul suo amore particolare per la liturgia. Uno dei suoi primi discepoli, il metropolita Juvenalij (Pojarkov), ha ricordato: "Posso dire con certezza che in tutte le fasi del servizio pastorale il posto centrale dell'attività del metropolita Nikodim era occupato dalla liturgia", amava ripetere: "Io posso fare tutto rapidamente, tranne la liturgia". E infatti, quando compariva in chiesa, egli era come se si trasfigurasse e faceva tutto lentamente, maestosamente, con profondità, amando la magnificenza della chiesa e della liturgia".
Anche in questo caso possiamo rintracciare i fili di un legame tra l'esperienza del metropolita e le correnti profonde della storia dell'ortodossia russa. La rinascita liturgica costituisce un elemento fondamentale della vicenda della Chiesa russa nel Novecento, tanto da rappresentare una chiave di lettura di tutta la sua storia in questo secolo tormentato. La liturgia è diventata il centro della vita della Chiesa in epoca sovietica, non solo per necessità, perché era l'unica attività permessa dallo Stato. La vita liturgica è il cuore della Chiesa ortodossa, particolarmente di quella russa. E la concentrazione sulla liturgia non è stata un rifugio, ma una strategia di resistenza alla persecuzione sovietica. Sono estremamente significative le parole dette da Nikodim a un suo interlocutore occidentale: "Voi pensate che facciamo troppi compromessi? Ebbene, se ci chiuderanno tutte le chiese, se ci impediranno tutti gli assembramenti, se ci smantelleranno tutte le strutture, tutto questo lo accetterò. Chiederò soltanto un'unica cosa: che ci lascino celebrare l'ultima divina Liturgia (...) Perché, anche se non sussiste più niente, sono certo che da questa unica, ultima divina Liturgia, tutto potrà risorgere. Per il resto non voglio oppormi e contrastare: la storia ci dirà se questo è debolezza o se è, invece, fede fino alle ultime conseguenze".
La liturgia è il vero paradigma del rapporto con il mondo nella concezione ortodossa. Di fronte allo scorrere del tempo, al mutare delle situazioni essa segna il tempo della Chiesa: un tempo che sembra immobile, ma che non fa mai essere la Chiesa in ritardo con la storia. La strategia della liturgia è un tratto antico della storia dell'ortodossia, che ha mostrato la sua forza anche nel periodo della persecuzione sovietica e ha avuto nel metropolita Nikodim un suo interprete. Una Chiesa che si misura con la modernità è, secondo il suo pensiero, in primo luogo una Chiesa che rafforza la sua vita liturgica: "Io mi sono sempre impegnato - ha affermato Nikodim - per il rafforzamento della vita liturgica non solo perché ha un significato per la soddisfazione dei bisogni spirituali, ma anche perché favorisce la realizzazione della missione esterna della Chiesa, l'annuncio del Vangelo".
La vicenda ecclesiale del metropolita si è consumata tra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta del xx secolo. Erano gli anni dell'offensiva antireligiosa di Chruscèëv, in Unione Sovietica, mentre nelle società occidentali arrivava come a compimento il processo di secolarizzazione che investiva ora nuovi Paesi e interrogava le Chiese.
Questo tempo di travaglio per il cristianesimo è stato segnato da grandi personalità che hanno condiviso la volontà di non sfuggire alle sfide che l'età contemporanea poneva alle Chiese. È parte non minore di questa storia la trama di relazioni che si è venuta dipanando tra gli uomini spirituali di quel tempo, i quali hanno allacciato tra loro rapporti di profonda sintonia, proprio nel comune sforzo di rispondere alle sfide poste ai cristiani. Il metropolita Nikodim è, senza dubbio, una di queste personalità, il cui itinerario si è incontrato e intrecciato con quello di Giovanni XXIII, di Paolo VI, del Patriarca Athenagoras, solo per citare alcuni nomi. Sono uomini con biografie diverse, che hanno vissuto però tutti il travaglio di un secolo difficile, che hanno sperimentato il confronto con eventi drammatici, che hanno avvertito gli interrogativi e le inquietudini di un'epoca e hanno creduto che tutto ciò non fosse estraneo alla Chiesa.
Comprendere Nikodim è anche collocarlo in tale quadro. I suoi rapporti con i protagonisti di questa stagione del cristianesimo non sono solo l'espressione della sua attività come responsabile delle relazioni esterne del patriarcato di Mosca o di particolari simpatie personali, ma riflettono anche il convergere di sensibilità spirituali maturate nel cuore delle Chiese attorno alle domande di un cristianesimo sfidato dalla storia in età contemporanea. È noto il suo rapporto con Paolo VI, con il quale si incontrò più volte. Intensa fu anche la relazione con Athenagoras. Anthony-Emil Tachiaos ha ricordato quanto dettogli dal Patriarca ecumenico: "Ho sempre difficoltà a discutere con i rappresentanti russi (...) Ma quando so che viene Nikodim, mi rallegro, perché egli sa comprendere quello che mi sta a cuore (...) Così riusciamo sempre a metterci d'accordo su ciò che ci divide, ritrovando quel che ci unisce". Il metropolita avvertiva che il senso del suo ministero fosse principalmente nel preparare il futuro della Chiesa russa. Nikodim, uomo di Chiesa, aveva detto di sé al momento della sua nomina episcopale: "Tutta la mia vita consapevole appartiene alla Chiesa". Il suo servizio non fu facile. Le parole di Nikodim riferite dall'arcivescovo Vasilij (Krivosein) sono a questo proposito significative: "Anche io avrei potuto rilasciare interviste sulla condizione della Chiesa da noi, che avrebbero fatto rumore in tutto il mondo, ma io non l'ho fatto, perché non sarebbe nell'interesse della Chiesa, le avrebbe solo nuociuto. Io so che posso entrare nella storia infangato, e ciò non mi è affatto indifferente, ma sono pronto ad andare incontro a questo per il bene della Chiesa. Non c'è altra via". È anche in questa sofferenza, fatta di contraddizioni, la grandezza di un uomo di Chiesa, che ha vissuto una delle pagine più drammatiche e difficili della storia del cristianesimo nel Novecento.
(©L'Osservatore Romano - 7 settembre 2008)
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