Asteroide ti tengo d'occhio
Nell'estate del 1908, un piccolo asteroide si abbatté su una foresta siberiana. Passò alla storia come l'evento Tunguska. Il suo impatto ebbe la potenza equivalente di una bomba di dieci-quindici megatonnellate (oltre seicento volte la bomba di Hiroshima). La possibilità che la Terra sia colpita da corpi provenienti dallo spazio è reale. Per questo c'è, per esempio, Spaceguard, un programma per la sorveglianza degli asteroidi istituito nel 1996 dall'European space agency (Esa) con l'obiettivo di scoprire asteroidi dal diametro maggiore di un chilometro che si trovano su orbite pericolose.
Ma ora c'è una novità. Il controllo si farà anche dallo spazio. Il Canada sta mettendo a punto un piccolo satellite per la sorveglianza degli asteroidi pericolosi per la Terra. Avrà la capacità di seguirne le traiettorie. Potrà, eventualmente, lanciare l'allarme e dare il là a missioni per disintegrare quei proiettili prima che centrino il bersaglio.
Si tratta di un microsatellite del peso di sessanta chili, chiamato Near Earth Object Surveillance Satellite (Neoss). Il suo lancio è previsto nel 2010. Porterà un telescopio di quindici centimetri, più piccolo di quelli usati dagli astronomi dilettanti, ma che, operando tra seicento e ottocento chilometri d'altezza, sopra l'atmosfera, e orbitando da polo a polo ogni cinquanta minuti offrirà vantaggi enormi a questa ricerca. Il microsatellite non solo osserverà asteroidi e comete in avvicinamento, anche di dimensioni piccole difficilissimi da osservare da terra, ma pure i relitti della ricerca spaziale che vagano attorno al pianeta. Lo spazio sta diventando congestionato. Ci sono circa dodicimila manufatti umani in orbita intorno alla Terra e solo il quattro per cento di questi sono satelliti attivi. Il mini-telescopio potrà seguire i rottami che sono tra i quindicimila e i cinquantamila chilometri di altezza e prevedere le collisioni possibili.
Si sa che sulla Terra cadono in media settemila meteoriti l'anno. Nella maggior parte sono così piccoli da causare danni minimi. Ma la possibilità di un evento-Tunguska c'è. La stima di frequenza di collisioni di questa portata va da una ogni duecento anni a una ogni mille anni. Gli scienziati hanno già catalogato novemilacento asteroidi vicini alla Terra. Ma si pensa che novantacinquemila rocce spaziali di almeno centoquaranta metri di diametro - più grandi di quella che cadde a Tunguska che doveva essere tra i cinquanta e gli ottanta metri - possano incrociare l'orbita del nostro pianeta. Un impatto sarebbe devastante. Il congresso degli Stati Uniti ha incaricato la Nasa di localizzarli entro il 2020.
Ma cosa accadde veramente in quel remoto angolo della Siberia un secolo fa? Le ricerche non hanno ancora svelato completamente il mistero del corpo celeste precipitato allora sulla Terra. La "cosa" terrificante esplose appena a nord di un corso d'acqua chiamato Tunguska "pietrosa" (Podkamennaja Tunguska), nell'altopiano siberiano, in una regione disabitata di taiga paludosa dove il suolo rimane gelato per otto o nove mesi l'anno. I testimoni più vicini al luogo dell'impatto si trovavano a una sessantina di chilometri di distanza. Il racconto del contadino Semenov, che era seduto sotto il portico della sua casa a Vanavara, fu terrificante: "improvvisamente il cielo si squarciò in due e, in alto sopra la foresta, tutta la parte verso nord apparve coperta di fuoco. In quel momento sentii un gran caldo come se la camicia mi bruciasse addosso. Poi udii come un'esplosione in cielo e uno schianto assordante. Fui scaraventato a terra lontano dal portico e persi i sensi per qualche istante".
Altre testimonianze parlano di scoppi violenti, di terra che tremava, di un globo di fuoco luminosissimo seguito da una scia di polveri e di fiamme con striature azzurre. Il rumore dell'esplosione fu udito a oltre mille chilometri di distanza e i fenomeni luminosi furono avvertiti fino a seicento chilometri. Al macchinista della Transiberiana, che si trovava a seicento chilometri dal punto di impatto, l'onda d'urto diede la sensazione che il treno stesse deragliando. Se un fenomeno del genere accadesse a Roma, sarebbe visto in tutta Italia e udito da Francoforte a Tripoli e da Barcellona a Belgrado.
In seguito si calcolò che la deflagrazione abbatté ottantamilioni di alberi in un'area di duemila chilometri quadrati. Migliaia di renne perirono, ma non vi fu nessuna perdita di vite umane. L'onda d'urto fece due volte il giro del mondo e fu registrata da tutti i sismografi. Gli abitanti di gran parte dell'emisfero boreale videro nelle notti seguenti il cielo illuminato da un insolito bagliore rossastro, ma non capirono veramente ciò che era successo. Nonostante la portata del fenomeno, non ci fu reazione da parte della scienza, e solo qualche giornale locale riportò la notizia dell'evento.
Si dovette aspettare una ventina d'anni perché gli scienziati mettessero in relazione le notti chiare con il disastro della Tunguska, che aveva scaraventato nell'atmosfera fino a qualche decina di chilometri d'altezza una gran quantità di polveri, in grado di diffondere la luce solare in piena notte.
In quell'estate del 1908 nessuno, nemmeno gli studiosi russi, sembrava interessato ad approfondire il fatto. Poi venne la guerra e la rivoluzione. Solo nel 1927 il geologo Leonid Kulik, del Museo di mineralogia di San Pietroburgo, dopo aver letto incuriosito alcuni ritagli di giornale risalenti al 1908, fu in grado di allestire la sua prima spedizione nel luogo del disastro. Ne diresse poi altre tre fino al 1939. Scoprì una vasta zona di alberi abbattuti e si convinse che la catastrofe fosse stata causata dall'impatto al suolo di un grande meteorite. I tronchi, infatti, erano caduti secondo un andamento radiale che si estendeva per chilometri, a partire da una zona centrale nella quale rimaneva un gruppetto solitario di alberi ancora in piedi parzialmente bruciati. Cercò per anni una traccia dell'oggetto venuto dal cielo, ma non ci riuscì. Le uniche tracce rilevabili erano date da una fine polvere meteorica. Con le sue spedizioni fece però conoscere al mondo ciò che poteva essere successo e alimentò il mito di Tunguska.
In seguito si pensò all'impatto di una cometa, ma oggi si propende per la disintegrazione di un corpo roccioso, di poco più di cinquanta metri di diametro e costituto da materia leggera e poco coesa, che fu completamente vaporizzato esplodendo a ottomila metri d'altezza mentre era in volo sulla regione siberiana. Non ci fu nessun impatto al suolo, ma una violenta deflagrazione prodotta dal repentino rilascio dell'energia accumulata dal corpo celeste nell'attraversamento dell'atmosfera.
Un probabile piccolo cratere è stato trovato in recenti esplorazioni della zona da un gruppo di scienziati italiani: il lago Cheko, che nelle cartine militari della fine Ottocento non compariva. Potrebbe essere stato formato dall'impatto di un piccolo frammento, di un metro o poco più di diametro. La forma leggermente ellittica e a imbuto del lago, delle dimensioni di trecentocinquanta metri per cinquecento, fa pensare che una scheggia di meteorite abbia colpito il suolo con un'angolazione di quarantacinque gradi e a una velocità di un chilometro al secondo. Lo scioglimento del permafrost, avvenuto subito dopo l'impatto, e la conseguente liberazione di gas e acqua, potrebbe aver modellato la forma e le dimensioni attuali del lago.
Quello di Tunguska non fu un evento di dimensioni straordinarie. Il nostro pianeta, nella sua lunga storia, ha sperimentato di peggio. Tunguska è diventato però il simbolo di un rischio da non sottovalutare.
(©L'Osservatore Romano - 6 settembre 2008)
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