giovedì 1 gennaio 2009

Pellegrinaggio nostalgia dell'infinito

Un sogno realizzato camminando


di Tomás Spidlík

Un privilegio della preghiera cristiana - dicono i padri - è il fatto che essa può essere innalzata in ogni luogo. L'assenza di edifici religiosi consacrati esclusivamente al culto cristiano meravigliava i pagani. Nell'Octavius di Minucio Felice, l'interlocutore cristiano si spiega: "Che tempio potrei costruirgli, quando il mondo intero, che è sua opera, non lo può contenere?(...) Non vale di più dedicargli la nostra anima, consacrargli il più intimo del nostro cuore?". Molti padri parlano allo stesso modo. Ma Giovanni Crisostomo aggiunge una condizione: "Se l'uomo non può andare in chiesa".
"Qui regna l'unanimità, l'accordo, un legame d'amore, le preghiere dei sacerdoti. I sacerdoti sono qui per questo: le preghiere della comunità sono più deboli e si uniscono alle loro più forti, e tutte si elevano verso il cielo".
Dopo la pace costantiniana, i cristiani si affrettarono a costruire ovunque santuari più belli di quelli pagani, nota Eusebio di Cesarea. E subito si manifesta anche il fenomeno, ovunque noto, che alcuni divennero più stimati degli altri. La visita ai luoghi sacri più rinomati è una forma di pietà di tutte le epoche, presso tutti i popoli. È il racconto di un pellegrinaggio quello che ci riporta le prime parole di Gesù (Luca, 2, 41 e seguenti). Dopo l'anno 326, data del viaggio dell'imperatrice Elena a Gerusalemme - al quale la tradizione ricollega il ritrovamento della Santa Croce - i pellegrinaggi sono diventati per i cristiani una forma di devozione riconosciuta, quasi un'abitudine. In Russia tutta una classe di persone, chiamate stranniki, passavano la loro vita a visitare santuari, chiese, monasteri.
Il pellegrinaggio verso un luogo di preghiera privilegiato, comporta più elementi che sono altrettante condizioni naturali per elevare l'anima a Dio. "La grande strada - dice Dostoevskij ne I demoni - è qualcosa che sembra non aver fine: è come un sogno umano, la nostalgia dell'infinito".
Il pellegrinaggio comporta sempre uno sforzo, un dono delle proprie forze e del proprio tempo, un sacrificio di sé. In ricompensa, il cammino è una vittoria sul tempo e anche una liberazione dagli affanni della vita quotidiana, un distacco, un deserto. Lo scopo del cammino è unire le cose create, i luoghi, le icone, per mezzo dei quali Dio ha realizzato la nostra salvezza. Il pellegrinaggio è dunque una professione di fede nella santificazione della materia e del mondo. Il suo elemento costitutivo è la "memoria" degli avvenimenti; è dunque una anamnesi che trionfa sul tempo. Ma è anche un'esperienza dell'universalità della Chiesa nello spazio, nell'incontro con degli sconosciuti. Il pellegrinaggio è così, già dall'inizio, una forma efficace di ecumenismo (cfr. Le pèlerinage de l'hégomène Daniel en Terre Sainte de l'a.1106-1108 (Vebevitinov 1883-85; ristampa München,1970). Proprio come la preghiera e l'elemosina, il pellegrinaggio è una delle forme naturali della pietà (Léon Zander, Le pèlerinage, in L'Eglise et les Eglises, Chevetogne, 1955).



(©L'Osservatore Romano - 1 gennaio 2009)

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