(©L'Osservatore Romano - 14 gennaio 2009)Roma, 13. "Seguire Cristo è combattere la povertà iniqua: ecco la via del dialogo tra popoli, culture e religioni, che non permetterà di convivere serenamente in una civiltà dove sta ritornando l'istinto di potere e di violenza che credevamo di aver soppresso a forza di dolce indifferenza, scegliendo i nostri piaceri prudenti o le nostre astensioni tollerabili". Lo ha detto l'arcivescovo Vincenzo Pelvi, ordinario militare per l'Italia, nell'omelia della celebrazione eucaristica per la Giornata mondiale della pace che tradizionalmente per i militari viene spostata alla seconda domenica di gennaio.
Richiamando espressamente il tema scelto da Benedetto XVI per tale Giornata - "Combattere la povertà, costruire la pace" - monsignor Pelvi ha ricordato il particolare impegno delle forze armate, in special modo in occasione delle missioni all'estero, "in vista di una società più equa e saggia". E l'impegno diretto dell'Ordinariato che attraverso i cappellani "motiva e sostiene progetti di carità a vantaggio dei più deboli".
Dalla sequela di Gesù "modello e misura della solidarietà" - ha ricordato Pelvi - sgorga l'impegno per "i fratelli e le sorelle che sono nella povertà". Occorre perciò "costruire quell'uguaglianza, che non è uguale ripartizione dei beni, ma contributo volontario che assicuri a ciascuno ciò di cui ha bisogno". E la Chiesa "non può che scegliere di essere povera" e di impegnarsi con passione "nel combattere la povertà che opprime tanti uomini e donne e minaccia la pace". Tanto più se pensiamo "alle dimensioni della miseria in cui versa la maggior parte dell'umanità, anche a causa della crescente crisi economica mondiale".
La pace è dunque "una condizione che esige il massimo della privazione, dello sforzo e del rischio per mantenere l'eroismo della propria vocazione cristiana". Ne sono consapevoli i soldati italiani, in particolare quelli impegnati nelle missioni all'estero, le quali si presentano come "preziose occasioni di crescita umana e spirituale nel bene comune". Questi militari "con i loro gesti di concreto aiuto e instancabile assistenza, rendono viva la famiglia umana, chiamata a tutelare i diritti di ogni uomo e di tutto l'uomo". E se questo è vero per quanto viene fatto dalle forze armate nei diversi teatri operativi - osserva ancora Pelvi - "non possiamo non considerare la ricaduta positiva e propositiva di pace che le missioni assumono in Italia, dove i nostri militari ritornano con un forte impegno di solidarietà". Le missioni diventano insomma una sorta di "scuola di carità" e finiscono per costituire un "canale di educazione alla pace che attraversa le nazioni". Infatti coloro che tornano dalle missioni umanitarie "ossigenano di gratuità i loro ambienti di vita e, impostando il quotidiano in maniera più generosa e attenta ai bisogni altrui, aprono i cuori delle loro famiglie a uno stile di sobrietà che apre il cuore e le braccia al mondo. Si riduce in tal modo il dislivello tra chi spreca il superfluo e chi manca persino del necessario". In questo senso - ha concluso Pelvi - le missioni "hanno un inizio e mai un termine" poiché, anche attraverso l'opera dei cappellani, si "prolungano in Italia attraverso gesti concreti che vanno dall'accoglienza presso le abitazioni dei militari di bambini all'adozione a distanza di famiglie; alla creazione di iniziative per il sostegno di fasce deboli della popolazione all'assistenza sanitaria di malati curati presso strutture e famiglie in Italia".
A conclusione della celebrazione - alla quale hanno assistito i capi di stato maggiore delle cinque forze armate e il consigliere militare del Presidente della Repubblica - sono stati consegnati ai presenti il messaggio del Papa per la Giornata mondiale della pace e una copia del Vangelo fatto stampare in centomila esemplari dall'Ordinariato per tutti i militari italiani.
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