di Anna Bono per Ragionpolitica | | | |
mercoledì 15 aprile 2009 | |
Mentre si apprende con sollievo la notizia della liberazione di Giuseppe Canova, l'ingegnere della ditta italiana Marlum Construction Company rapito in Nigeria lo scorso 6 aprile nello Stato sudorientale di Ebonyi, resta alta la preoccupazione per la sorte dei nostri 10 connazionali e degli altri 6 membri non italiani dell'equipaggio del Buccaneer, il rimorchiatore assaltato dai pirati somali l'11 aprile e portato nella «tortuga» di Lasqorey, nel Puntland, la regione settentrionale della Somalia autoproclamatasi autonoma dopo la caduta del dittatore Siad Barre nel 1991. Il sequestro dell'imbarcazione italiana è avvenuto nelle stesse ore in cui la lotta alla pirateria segnava un passo avanti grazie ai blitz che hanno permesso la liberazione degli ostaggi di uno yacht francese, con la cattura di tre pirati già trasferiti in Francia per essere giudicati, e quella del capitano Usa, catturato durante un arrembaggio fallito e tenuto prigioniero da altri quattro pirati, tre dei quali sono stati uccisi. L'esito positivo di queste due operazioni non basta però a compensare l'andamento deludente delle attività internazionali finora intraprese per contrastare la pirateria somala, costate alle forze NATO e, dal dicembre 2008, all'Operazione Atalanta dell'Unione Europea, da 750 milioni a un miliardo di euro, 100.000 euro al giorno per nave. Malgrado le risorse militari impiegate, gli arrembaggi sventati dai pattugliamenti sono stati pochi e in un anno i pirati hanno guadagnato in riscatti circa 100 milioni di euro: per questo i premi assicurativi sono nel frattempo aumentati in maniera astronomica e numerosi armatori hanno scelto di accollarsi gli oneri di lunghe rotte alternative. Per complicare la situazione, più voci stanno cercando di presentare i pirati come degli eroi: in lotta, tanto per cambiare, contro l'Occidente. Li si immagina addirittura come «sentinelle ambientali» che cercano di proteggere il loro paese da chi lo vorrebbe trasformare in una immensa discarica per gli scarti industriali inquinanti: vedi ad esempio, per l'Italia, il sito Ecoblog.it. Assai più autorevole di un blog, il colonnello Gheddafi, in qualità di presidente dell'Unione Africana per il 2009, li ha definiti «combattenti contro il colonialismo» giustificandone l'operato come legittima risposta «all'avidità dei paesi occidentali che sfruttano le risorse della Somalia»: si etichettano come «pirati», ma sono solo uomini che «difendono il cibo dei loro bambini», ha inoltre spiegato, il che suona davvero stonato, essendo universalmente noto che i pirati non esitano a sequestrare navi che trasportano proprio aiuti alimentari per la popolazione somala stremata da 18 anni di guerra. Senza spingersi a tanto, il rappresentante speciale dell'ONU per la Somalia, il diplomatico mauritano Ahmedou Ould Abdallah, ha tuttavia dichiarato lo scorso dicembre: «La comunità internazionale ha abbandonato la Somalia al suo destino, la pirateria è una delle conseguenze». Da allora la frase è stata più volte ripresa dai mass media e dai commentatori, dimentichi del fatto che in Somalia sono state tentate una missione USA e due missioni ONU tra il 1992 e il 1995 e che poi non si è smesso di lavorare sul fronte diplomatico per indurre i clan somali a deporre le armi e trovare accordi duraturi. Nel 2004, dopo anni di negoziati svoltisi in Kenya mentre in Somalia la guerra continuava, sono state create delle istituzioni politiche di transizione, trasferite in patria l'anno successivo. Per salvarle dalla minaccia dell'opposizione quasi subito coalizzatasi nell'Unione delle Corti islamiche e per arginare l'infiltrazione del fondamentalismo islamico militante, alla fine del 2006 è intervenuta l'Etiopia, con l'appoggio degli Stati Uniti. In seguito, nel 2007, è stata inviata una missione dell'Unione Africana, la Amisom. Infine altre mediazioni hanno portato a gennaio alla costituzione di un nuovo governo detto di «unità nazionale», tuttora minacciato dall'opposizione armata, riorganizzatasi e impadronitasi di numerose città, e, come il governo precedente, del tutto incapace di controllare il territorio nazionale in frantumi. Tornando alla pirateria, certamente l'esistenza di un apparato statale funzionante sarebbe il migliore dei rimedi. Nella speranza che si giunga prima o poi a tanto, non ci vuole un esperto di strategia militare per capire le difficoltà che comporta pattugliare un tratto di mare così vasto, mancando per lo più di regole d'ingaggio che consentano di aprire il fuoco, e, per contro, l'utilità di colpire le basi dei pirati, i piccoli porti nei quali si arroccano e custodiscono ostaggi e imbarcazioni. Chissà perché, quando si tratta di Africa, si omette sempre di tentare quel che ha funzionato altrove. |
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