sabato 6 settembre 2008

Incredibili intellettuali: La Commedia di Dante resa noioso

Dall'Osservatore aromano di oggi
---------------------------------
Robert Hollander spiega come andrebbe letta la "Divina Commedia" 

Professori noiosi rubano la vitalità di Dante


Pubblichiamo un'intervista a Robert Hollander, professore di letteratura europea all'Università di Princeton, uscita su "Il Sussidiario" (www.ilsussidiario.net). 

di Rossano Salini 

Se la Commedia di Dante è potuta diventare, nel giudizio soprattutto degli studenti, un'opera noiosa e difficile da affrontare, non è perché si tratti di poesia troppo alta per essere compresa. È stata soprattutto colpa dei professori, che hanno "rubato la vita al poema dantesco". Parola di Robert Hollander, tra i massimi esperti mondiali della poesia dantesca, che nei giorni scorsi ha preso parte al Meeting per l'amicizia tra i popoli di Rimini per parlare dell'"avventura dell'io in Dante". 

Professor Hollander, la poesia di Dante si caratterizza soprattutto per il fatto di parlare delle "cose ultime":  ma noi, oggi, siamo in grado di recepire una poesia di questo genere? 

Questo è il problema fondamentale con cui il dantismo da sempre deve fare i conti, vale a dire la nostra incapacità, o, meglio, il nostro rifiuto ad affrontare le questioni ultime. Dopo il romanticismo abbiamo avuto critici come De Sanctis e Croce, uomini di grande stile e potenza intellettuale, che però hanno operato una sorta di riduzione, nell'intenzione di lasciarci un Dante più simile a noi. Questo almeno per quanto riguarda l'Inferno; difficilmente la stessa operazione sarebbe riuscita per il Paradiso, e direi anche per il Purgatorio, cantiche più difficili da affrontare per chi rifiuti di considerare attentamente la posizione teologica di Dante. Parlando dei grandi eroi dell'Inferno (Francesca, Farinata, Ulisse, Ugolino e così via) è invece più semplice immaginare un Dante come noi. 

E questa è secondo lei un'operazione non corretta dal punto di vista critico? 

È secondo me un grandissimo sbaglio. Dante ci porta al confronto con questi personaggi con l'intento di farci capire che loro sono come noi, ma in quanto peccatori. Dante sperava che ognuno di noi, leggendo ad esempio il caso di Francesca, vedesse che lei dopo tutto era una peccatrice, e che aveva fallito riguardo alle cose importanti della vita:  ha scelto cioè una via peggiore, che condanna la persona che la segue. Questa potrebbe sembrare una cosa ovvia, ma leggendo la critica degli ultimi centocinquant'anni non è affatto chiaro che la maggioranza dei critici capisca questo. 

Elemento centrale della poesia dantesca, fino all'ultimo gradino del Paradiso, è la figura di Beatrice, e la concezione dell'amore che Dante matura e approfondisce lungo tutto il suo percorso:  come possiamo capire questa idea così grandiosa dell'amore? 

Nella Vita nuova c'è un poeta che ha deciso di tracciare una nuova pista - post-guinizzelliana e post-cavalcantiana - secondo cui la donna non è semplicemente una donna, e non è neppure vicina a essere un angelo:  è una persona viva che assomiglia in tutto a Gesù Cristo. E questa è un'idea pazzesca! Dante inizia dunque questo percorso per sondare fino in fondo, fino all'ultimo le possibilità che la poesia per una donna può offrire. E nessuno aveva fatto questo prima di lui:  c'era san Francesco, che però parlava direttamente di Dio. È una pista completamente nuova, quella che Dante ha deciso di aprire; e per di più lo fa scrivendo anche un auto-commento, che è una cosa che non si deve mai fare! Da questo possiamo capire come la carriera poetica di Dante sia caratterizzata dal dedicarsi alle cose impossibili e proibite. Ecco dunque che abbiamo la Vita nuova, un'opera in cui, soprattutto alla fine, possiamo intravedere il fatto che Beatrice rimanda a Gesù Cristo. E poi, il silenzio. 

Che cosa accade a Dante tra la Vita nuova e la Commedia? 

Verso il 1304 si colloca l'inizio della composizione del Convivio e del De Vulgari eloquentia:  in entrambe queste opere Dante è un uomo cambiato. È un momento molto difficile e complesso del percorso dantesco, segnato dal tentativo di iniziare una nuova carriera come poeta, che potremmo definire più convenzionale. L'amore nel Convivio, infatti, non ha più nulla a che fare con la concezione della Vita nuova:  ora la donna è la filosofia, e non c'è eresia in questo, è una cosa totalmente accettabile. Ma ecco che a un certo punto, nel 1307-1308, Dante decide di abbandonare il Convivio - lasciando interrotto anche il De Vulgari eloquentia - e dà inizio alla Commedia:  riprende cioè il percorso della Vita nuova, per portarlo a compimento. 

È talmente forte la continuità tra le due opere che si è addirittura ipotizzato che la conclusione della Vita nuova sia stata scritta quando già Dante aveva in mente la Commedia. 

Questo è sicuramente falso, oltre che filologicamente indimostrabile:  la Vita nuova è opera compiuta, integra. Quello che bisogna capire è che già al tempo della Vita nuova Dante aveva in mente quanto poi ha compiuto nella Commedia. Ma il fatto è che, dopo aver intrapreso questo percorso, ha in un certo senso realizzato che quella era una pista troppo difficile, che la gente non poteva capire, e se anche l'avesse capita, non avrebbe però potuto amarla. Troppo difficile accettare una soluzione di questo genere, cioè una donna modellata su Gesù Cristo. E anch'io, dicendo questo di lui, sono quasi imbarazzato! Non è una cosa che si fa; e non per nulla non è stato più fatto. E invece Dante nella Commedia ritorna proprio su questo, ritorna su Beatrice-Cristo. Il resto è la storia che conosciamo. 

Nonostante tutte le difficoltà della poesia dantesca, le letture della Commedia negli ultimi tempi stanno registrando un grandissimo successo, prima con Vittorio Sermonti e poi con gli spettacoli di Roberto Benigni. Come spiega un tale successo, per un autore che forse per troppo tempo abbiamo relegato ai banchi di scuola? 

Se questo è accaduto è per colpa nostra:  noi professori siamo i responsabili, io incluso. Siamo noiosi, e rubiamo la vita del poema dantesco. Non saprei dire bene il perché:  forse perché è un poema molto complesso, e ha bisogno di uno studio serrato. Il modo principale con cui Dante è stato rubato della sua essenza, e di cui ho parlato nel mio primo libro, Allegory in Dante's "Commedia" (1969), è il fatto che lo si è voluto ridurre a poeta allegorico, e sostanzialmente, per questa strada, a un poeta da bambini. È Dante stesso, invece, a darci la soluzione di questo problema:  egli spiega infatti che esiste un'allegoria dei teologi e una dei poeti, e nell'epistola a Cangrande dice chiaramente di aver seguito nella sua poesia l'allegoria dei teologi. È una cosa ben diversa:  non c'è allegoria poetica in Dante (a parte alcune immagini, come ad esempio le processioni nel Paradiso terrestre) e la Commedia è scritta esattamente come se fosse storia. Questa è la cosa più importante:  bisogna leggere Dante come se tutto fosse accaduto. Virgilio non è la ragione, Beatrice non è la fede:  Virgilio è Virgilio, Beatrice è Beatrice, e Dante è Dante:  sono persone storiche, e questo è tanto evidente quanto fondamentale. 

Possiamo però dire che questa interpretazione corretta di Dante sta a poco a poco facendo breccia, e diffondendosi anche tra gli studenti? 

Io ho trovato, personalmente, che gli universitari sono pronti per il nuovo Dante, per il Dante storico, non diverso da noi. Un uomo sincero, credente, con una sicurezza di se stesso, e con un senso maturo della letteratura. Egli, infatti, leggeva Virgilio come nessun altro lo avrebbe letto, e così anche Ovidio, e i Vangeli. Leggeva tutto nello stesso modo:  anche Ovidio è storicizzato. Dante crede nella storia, e ama pensare in quanto uomo che è dentro alle vicende del mondo; ecco perché è anche poeta politico. 

Questo modo di leggere i classici, Virgilio e Ovidio, non rappresenta però una sorta di approccio immaturo, rispetto ad esempio a quello che poi metteranno in atto gli umanisti? 

Secondo me è più maturo, perché non allegorizza; gli umanisti, invece, da questo punto di vista hanno ammazzato gli autori. Loro hanno fatto un'altra cosa, hanno cioè riscoperto il testo, e questo è un contributo veramente enorme. Per capire bene Dante sotto questo aspetto basta pensare alla corrispondenza con Giovanni del Virgilio, il quale era professore e leggeva gli autori con il filtro dell'allegoria; le quattro egloghe sono documenti molto affascinanti, perché ci danno il senso di cosa sia l'accademismo. Dante invece non era un professore, e il pubblico che aveva in mente era la gente comune, certamente anche acculturata, ma comunque un pubblico borghese, fatto di lettori appassionati. È un autore che parla di cose grandi, delle "cose ultime", ma rimane al tempo stesso un poeta profondamente popolare.



(©L'Osservatore Romano - 6 settembre 2008)

giovedì 4 settembre 2008

Peggy Noonan's rightness

Please give a look here

Ann Coulter seems to agree

Sarkozy in Damascus


During his state visit to Damascus, French President Nicolas Sarkozy is expected to give Syrian President Bashar Assad a letter from Noam Schalit, the father of kidnapped IDF soldier Cpl. Gilad Schalit, the Lebanese newspaper As-Safir reported on Thursday.

According to the report, a French source told the paper that "Assad said that he was willing to accept the letter, but he has no intention of handing it directly to Syrian-based Hamas leader Khaled Mashaal, because he doesn't want to be considered a moderator between Israel and Hamas."

The source further revealed that it was agreed that the letter would be given to the Qatari Emir, who is also currently in Damascus, and who would then himself pass it along to Mashaal.

Despite recent news reports claiming that the Hamas leader left Syria for the Sudan, the Lebanese paper said that Mashaal is still living in Damascus under Syrian protection.

The paper also quoted the source as saying that Assad promised Sarkozy that he would press Mashaal to continue contacts regarding a prisoner swap deal, but reasserted that the Syrian president "doesn't want to compete with Egypt for the job of moderator on this issue, especially in light of the fact that Hamas chose Egypt as a moderator."

However, on Wednesday a senior Hamas leader in the Gaza Strip said that talks on a prisoner exchange had been frozen.

Mahmoud Zahar said that the Egyptian-mediated negotiations had broken down because Israel wouldn't meet Hamas demands to release prisoners convicted of murdering Israelis.

Zahar also said that the talks had stalled because Israel and Egypt wouldn't open their border crossings with Gaza. Both countries sealed the border after Hamas seized power in Gaza in June 2007.

There was no response from Jerusalem to Zahar's comments, but the Ramon Committee is set to convene on Sunday to resume discussions on detainees to be traded for Schalit.

mercoledì 3 settembre 2008

Preghiera per i cristiani di Orissa

«Sanguis martyrum semen christianorum»: tante volte l’abbiamo detto, e la storia ne è, come sempre, la conferma. E certamente, di fronte a tanto odio, a tanta crudeltà, a tanta bestialità (e per di più ottusa), il nostro cuore trema, trepida, soffre. E si domanda il perché, sia dell’odio sia dell’indifferenza del mondo di fronte a tanto dolore.

Così leggiamo su Asianews e sui vari media che hanno raccontato cosa succede ad Orissa, in India: «Bhubaneswar (AsiaNews) – A una settimana dall’inizio delle violenze in Orissa migliaia di persone, la maggior parte delle quali cristiane, sono ancora nascoste nella foresta o hanno trovato rifugio nei campi di accoglienza predisposti dal governo. Secondo le ultime cifre vi sarebbero almeno 6mila sfollati nei campi profughi e 5mila persone nascoste nelle foreste attorno a Kandhamal, ma la cifra dei rifugiati potrebbe presto toccar quota 10mila. […] Intanto continua ad aumentare il numero delle vittime delle violenze: “Abbiamo ricevuto informazioni attendibili – denuncia Sajan George, presidente del GCIC – in base alle quali le vittime sarebbero almeno 100, nelle zone segnate dalla violenza continuano a spuntare cadaveri mutilati o corpi bruciati”. L’attivista cristiano chiede, al contempo, le “dimissioni in blocco” di tutto il governo dell’Orissa incapace di fermare i massacri contro la comunità cristiana e ne riporta un esempio: “A Bakingia – denuncia Sajan – le famiglie di Daniel e Michael Naik, di fede cristiana e composte da sette individui, sono state torturate e uccise dai fondamentalisti; i cadaveri sono stati identificati grazie ai vestiti indossati, e il luogo dove sono stati uccisi dista solo 80 km dalla stazione di polizia”. […] Intanto continuano i raid anche fuori dell'Orissa. Ieri nel Madhya Pradesh i fanatici hanno assaltato cinque scuole e una chiesa per rappresaglia contro la chiusura degli edifici. Gli assalti hanno avuto luogo nel distretto di Gwaliar (tre scuole e una chiesa) e Barwani (due scuole), e solo per il tempestivo intervento della polizia non si sono registrati gravi danni agli edifici o nuove vittime. Le forze dell’ordine hanno invece bloccato una pacifica dimostrazione degli studenti della scuola di San Francesco, sebbene avvisati per tempo dai vertici dell’istituto, per non meglio precisate questioni di “pubblica sicurezza”

Una mia amica, a proposito del caso di Eluana Englaro, riflettendo sul fatto che le suore che la accudiscono sono state accusate di crudeltà, mi comunicava la sua sorpresa nel vedere che non sempre l’amore genera amore, ma spesso odio (e ci pareva questa la sintesi della vicenda terrena di Gesù).
Un amore incompreso, crocifisso, e comunque sempre indomito: questo è lo scenario, il compito che si aapre per noi cristiani oggi.
Noi di CulturaCattolica.it abbiamo spesso documentato le sofferenze gloriose dei cristiani (sia nella Russia sovietica, in Romania, in Spagna, nei paesi islamici…). E continueremo a farlo. Come continueremo a chiedere ai nostri amici, e a tutti gli uomini di buona volontà, di non lasciare soli i tanti nostri fratelli che soffrono persecuzione.
Certi che, pur se Gesù asciugherà ogni lacrima dai nostri e loro occhi, un sussulto di umanità ci farà chiedere pietà per gli uomini, e così ci sarà più libertà per tutti.

Intanto facciamo nostro e aderiamo alla Giornata di preghiera e di digiuno indetta dalla Presidenza della CEI per venerdì 5 settembre 2008:
«La Presidenza della CEI, facendosi interprete del turbamento dell’intera comunità cattolica italiana di fronte all’ondata di violenza scatenatasi contro le comunità cristiane nello Stato indiano dell’Orissa, culminata nella morte di sacerdoti, consacrati e fedeli laici e nella distruzione di chiese, ospedali, case e villaggi, si associa all’accorato appello formulato dal Santo Padre Benedetto XVI, condannando con fermezza ogni attacco alla vita umana ed esortando alla ricerca della concordia e della pace. A questo scopo, invita le diocesi italiane a indire per venerdì 5 settembre, memoria liturgica della Beata Madre Teresa di Calcutta, o in altro giorno stabilito dal Vescovo diocesano, una giornata di preghiera e digiuno, come segno di vicinanza spirituale e solidarietà ai fratelli e alle sorelle tanto duramente provati nella fede»

Ho letto recentemente questa definizione della preghiera data da San Tommaso d’Aquino: «Petitio interpretativa spei». Che ciascuno di noi sia interprete di questa speranza

CulturaCattolica socio di SamizdatOnline


Il Vangelo secondo Matera

Foto di scena dei film di Pasolini e Gibson

di Andrea Monda

C'è una fotografia che lo riprende appoggiato ad un muro, con gli occhiali nella mano destra che si poggia sulla guancia, quasi fosse Il pensatore di Rodin. È Pier Paolo Pasolini e da quel muro sta ammirando, forse contemplando, i Sassi di Matera. È chiaro allora dove ci troviamo: siamo nel 1964 e ci muoviamo all'interno della lavorazione del più famoso film del regista friulano, il suo capolavoro, forse la migliore trasposizione cinematografica della storia di Gesù: Il Vangelo secondo Matteo. A muoversi tra le comparse, essendo comparsa anche lui, è Domenico Notarangelo, in realtà giornalista e operatore culturale, armato di ben due macchine fotografiche, che nasconde sotto i vestiti di scena e usa per immortalare preziosi momenti. È lui il centurione che guida il drappello della crocifissione. La sua unica battuta - "Costui è veramente il Figlio di Dio!" - è stata girata ma poi tagliata in fase di montaggio.
Oggi tutti questi momenti rubati riemergono alla luce raccolti in un libro fotografico pubblicato dall'editrice Città del Sole di Reggio Calabria, Il Vangelo secondo Matera, un volume che accanto alle immagini di Domenico Notarangelo di quarantaquattro anni fa, contiene anche quelle del figlio Antonio, questa volte rubate sul set dell'altro celebre film girato su Gesù in quegli stessi luoghi quarant'anni dopo quello di Pasolini: The Passion di Mel Gibson.
Una bella accoppiata, che stride al punto giusto. Metà volume in bianco e nero, un tuffo nei ricordi di quell'Italia così lontana, con la scrittrice Elsa Morante e il poeta Alfonso Gatto, tra gli altri, a dare un volto agli uomini del Vangelo (Pasolini girò per mesi alla ricerca di "facce da Vangelo") e metà volume a colori, con i volti di Gibson, la Bellucci, Caviziel, le star di Hollywood catapultate in questo angolo aspro e primitivo del sud del mondo.
Su quello stesso muro da cui Pasolini contempla l'incredibile location in cui ha scelto di ambientare il suo film - dopo aver scartato la stessa Palestina - forse pensando a quello che di lì a poco esprimerà con sintesi efficace Paolo vi sul fatto che "come c'è una storia della salvezza, c'è anche una geografia della salvezza", a pochi metri da lui c'è Enrique Irazoqui, con i vestiti di scena, nei panni cioè del Salvatore. C'è anche la sua voce in questo libro corale, raccolta in una breve intervista dove racconta quella formidabile, intensa esperienza accanto a Pasolini che lo scelse, ricorda, "perché ero puro e duro. Perché gli ricordavo i Cristi preraffaelliti e i dipinti di El Greco".
Quella fotografia che li ritrae insieme, il regista e il suo Gesù, è l'unica, assieme a quella della copertina, in cui Pasolini è ritratto senza gli occhiali, in tutte le altre indossa grandi montature scure, quasi a voler pudicamente difendere il suo volto, la sua pelle, dallo sguardo altrui così come dall'incandescenza della materia che stava trattando in quei giorni del 1964.
Quanta distanza da quel grido spudorato che è stato The Passion dell'energico regista australiano, un film-confessione in cui Gibson non ha voluto compiacere il pubblico ma colpirlo, anche con colpi bassi, le foto di Antonio Notarangelo si soffermano inevitabilmente sul corpo di Cristo martoriato. Due modi opposti per definire il rapporto personalissimo con lo stesso messaggio, anzi, con lo stesso messaggero: è Cristo il cuore dei due film, è Cristo nel cuore dei due registi.
Se Pasolini privilegia il contenuto rivoluzionario e paradossale del messaggio, scegliendo il vangelo di Matteo, quello dei grandi discorsi, e la voce - che allora fu prestata dall'attore Enrico Maria Salerno - del suo Cristo in bianco e nero è ciò che più di ogni altra cosa resta ancora vivo a distanza di tanti anni, Gibson invece realizza un film quasi muto, raccontando le ultime ore di Cristo, quelle in cui lui è l'agnello che con silenziosa mitezza si fa portare al macello, e quando parla è per gridare il suo ultimo ed estremo abbandono nelle mani del Padre. Due film estremi che hanno trovato, tra i Sassi di Matera, una diversa ma perfetta collocazione naturale come dimostra questo diretto e intenso libro fotografico.



(©L'Osservatore Romano - 4 settembre 2008)

All'udienza generale il Papa spiega il senso della conversione di Paolo sulla via di Damasco

Solo nell'incontro con Cristo
la ragione si apre alla verità


Il cristianesimo non è "una nuova filosofia o una nuova morale" ma un avvenimento che nasce dall'incontro personale con Cristo e apre la ragione alla verità: lo ha detto il Papa all'udienza generale di mercoledì 3 settembre, nell'Aula Paolo vi.

Cari fratelli e sorelle,
la catechesi di oggi sarà dedicata all'esperienza che san Paolo ebbe sulla via di Damasco e quindi a quella che comunemente si chiama la sua conversione. Proprio sulla strada di Damasco, nei primi anni 30 del secolo i, e dopo un periodo in cui aveva perseguitato la Chiesa, si verificò il momento decisivo della vita di Paolo. Su di esso molto è stato scritto e naturalmente da diversi punti di vista. Certo è che là avvenne una svolta, anzi un capovolgimento di prospettiva. Allora egli, inaspettatamente, cominciò a considerare "perdita" e "spazzatura" tutto ciò che prima costituiva per lui il massimo ideale, quasi la ragion d'essere della sua esistenza (cfr. Fil 3, 7-8). Che cos'era successo?
Abbiamo a questo proposito due tipi di fonti. Il primo tipo, il più conosciuto, sono i racconti dovuti alla penna di Luca, che per ben tre volte narra l'evento negli Atti degli Apostoli (cfr. 9, 1-19; 22, 3-21; 26, 4-23). Il lettore medio è forse tentato di fermarsi troppo su alcuni dettagli, come la luce dal cielo, la caduta a terra, la voce che chiama, la nuova condizione di cecità, la guarigione come per la caduta di squame dagli occhi e il digiuno. Ma tutti questi dettagli si riferiscono al centro dell'avvenimento: il Cristo risorto appare come una luce splendida e parla a Saulo, trasforma il suo pensiero e la sua stessa vita. Lo splendore del Risorto lo rende cieco: appare così anche esteriormente ciò che era la sua realtà interiore, la sua cecità nei confronti della verità, della luce che è Cristo. E poi il suo definitivo "sì" a Cristo nel battesimo riapre di nuovo i suoi occhi, lo fa realmente vedere.
Nella Chiesa antica il battesimo era chiamato anche "illuminazione", perché tale sacramento dà la luce, fa vedere realmente. Quanto così si indica teologicamente, in Paolo si realizza anche fisicamente: guarito dalla sua cecità interiore, vede bene. San Paolo, quindi, è stato trasformato non da un pensiero ma da un evento, dalla presenza irresistibile del Risorto, della quale mai potrà in seguito dubitare tanto era stata forte l'evidenza dell'evento, di questo incontro. Esso cambiò fondamentalmente la vita di Paolo; in questo senso si può e si deve parlare di una conversione. Questo incontro è il centro del racconto di san Luca, il quale è ben possibile che abbia utilizzato un racconto nato probabilmente nella comunità di Damasco. Lo fa pensare il colorito locale dato dalla presenza di Ananìa e dai nomi sia della via che del proprietario della casa in cui Paolo soggiornò (cfr. At 9, 11).
Il secondo tipo di fonti sulla conversione è costituito dalle stesse Lettere di san Paolo. Egli non ha mai parlato in dettaglio di questo avvenimento, penso perché poteva supporre che tutti conoscessero l'essenziale di questa sua storia, tutti sapevano che da persecutore era stato trasformato in apostolo fervente di Cristo. E ciò era avvenuto non in seguito ad una propria riflessione, ma ad un evento forte, ad un incontro con il Risorto. Pur non parlando dei dettagli, egli accenna diverse volte a questo fatto importantissimo, che cioè anche lui è testimone della risurrezione di Gesù, della quale ha ricevuto immediatamente da Gesù stesso la rivelazione, insieme con la missione di apostolo. Il testo più chiaro su questo punto si trova nel suo racconto su ciò che costituisce il centro della storia della salvezza: la morte e la risurrezione di Gesù e le apparizioni ai testimoni (cfr. 1 Cor 15). Con parole della tradizione antichissima, che anch'egli ha ricevuto dalla Chiesa di Gerusalemme, dice che Gesù morto crocifisso, sepolto, risorto apparve, dopo la risurrezione, prima a Cefa, cioè a Pietro, poi ai Dodici, poi a cinquecento fratelli che in gran parte in quel tempo vivevano ancora, poi a Giacomo, poi a tutti gli Apostoli. E a questo racconto ricevuto dalla tradizione aggiunge: "Ultimo fra tutti apparve anche a me" (1 Cor 15, 8). Così fa capire che questo è il fondamento del suo apostolato e della sua nuova vita. Vi sono pure altri testi nei quali appare la stessa cosa: "Per mezzo di Gesù Cristo abbiamo ricevuto la grazia dell'apostolato" (cfr. Rm 1, 5); e ancora: "Non ho forse veduto Gesù, Signore nostro?" (1 Cor 9, 1), parole con le quali egli allude ad una cosa che tutti sanno. E finalmente il testo più diffuso si legge in Gal 1, 15-17: "Ma quando colui che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia si compiacque di rivelare a me suo Figlio perché lo annunziassi in mezzo ai pagani, subito, senza consultare nessun uomo, senza andare a Gerusalemme da coloro che erano apostoli prima di me, mi recai in Arabia e poi ritornai a Damasco". In questa "autoapologia" sottolinea decisamente che anche lui è vero testimone del Risorto, ha una propria missione ricevuta immediatamente dal Risorto.
Possiamo così vedere che le due fonti, gli Atti degli Apostoli e le Lettere di san Paolo, convergono e convengono sul punto fondamentale: il Risorto ha parlato a Paolo, lo ha chiamato all'apostolato, ha fatto di lui un vero apostolo, testimone della risurrezione, con l'incarico specifico di annunciare il Vangelo ai pagani, al mondo greco-romano. E nello stesso tempo Paolo ha imparato che, nonostante l'immediatezza del suo rapporto con il Risorto, egli deve entrare nella comunione della Chiesa, deve farsi battezzare, deve vivere in sintonia con gli altri apostoli. Solo in questa comunione con tutti egli potrà essere un vero apostolo, come scrive esplicitamente nella prima Lettera ai Corinti: "Sia io che loro così predichiamo e così avete creduto" (15, 11). C'è solo un annuncio del Risorto, perché Cristo è uno solo.
Come si vede, in tutti questi passi Paolo non interpreta mai questo momento come un fatto di conversione. Perché? Ci sono tante ipotesi, ma per me il motivo è molto evidente. Questa svolta della sua vita, questa trasformazione di tutto il suo essere non fu frutto di un processo psicologico, di una maturazione o evoluzione intellettuale e morale, ma venne dall'esterno: non fu il frutto del suo pensiero, ma dell'incontro con Cristo Gesù. In questo senso non fu semplicemente una conversione, una maturazione del suo "io", ma fu morte e risurrezione per lui stesso: morì una sua esistenza e un'altra nuova ne nacque con il Cristo Risorto. In nessun altro modo si può spiegare questo rinnovamento di Paolo. Tutte le analisi psicologiche non possono chiarire e risolvere il problema. Solo l'avvenimento, l'incontro forte con Cristo, è la chiave per capire che cosa era successo: morte e risurrezione, rinnovamento da parte di Colui che si era mostrato e aveva parlato con lui. In questo senso più profondo possiamo e dobbiamo parlare di conversione. Questo incontro è un reale rinnovamento che ha cambiato tutti i suoi parametri. Adesso può dire che ciò che prima era per lui essenziale e fondamentale, è diventato per lui "spazzatura"; non è più "guadagno", ma perdita, perché ormai conta solo la vita in Cristo.
Non dobbiamo tuttavia pensare che Paolo sia stato così chiuso in un avvenimento cieco. È vero il contrario, perché il Cristo Risorto è la luce della verità, la luce di Dio stesso. Questo ha allargato il suo cuore, lo ha reso aperto a tutti. In questo momento non ha perso quanto c'era di bene e di vero nella sua vita, nella sua eredità, ma ha capito in modo nuovo la saggezza, la verità, la profondità della legge e dei profeti, se n'è riappropriato in modo nuovo. Nello stesso tempo, la sua ragione si è aperta alla saggezza dei pagani; essendosi aperto a Cristo con tutto il cuore, è divenuto capace di un dialogo ampio con tutti, è divenuto capace di farsi tutto a tutti. Così realmente poteva essere l'apostolo dei pagani.
Venendo ora a noi stessi, ci chiediamo che cosa vuol dire questo per noi? Vuol dire che anche per noi il cristianesimo non è una nuova filosofia o una nuova morale. Cristiani siamo soltanto se incontriamo Cristo. Certamente Egli non si mostra a noi in questo modo irresistibile, luminoso, come ha fatto con Paolo per farne l'apostolo di tutte le genti. Ma anche noi possiamo incontrare Cristo, nella lettura della Sacra Scrittura, nella preghiera, nella vita liturgica della Chiesa. Possiamo toccare il cuore di Cristo e sentire che Egli tocca il nostro. Solo in questa relazione personale con Cristo, solo in questo incontro con il Risorto diventiamo realmente cristiani. E così si apre la nostra ragione, si apre tutta la saggezza di Cristo e tutta la ricchezza della verità. Quindi preghiamo il Signore perché ci illumini, perché ci doni nel nostro mondo l'incontro con la sua presenza: e così ci dia una fede vivace, un cuore aperto, una grande carità per tutti, capace di rinnovare il mondo.



(©L'Osservatore Romano - 4 settembre 2008)

Cristiani convertiti a forza e arruolati fra gli estremisti indù

di Marco Bellizi

Ora li costringono a convertirsi all'induismo e ad attaccare le chiese. I cristiani dell'Orissa, molti dei quali già vittime delle violenze dei giorni scorsi, stanno vivendo un nuovo incubo. È quanto denuncia la Catholic Bishops' Conference of India (Cbci), attraverso il suo portavoce, padre Joseph Babu Karakombil, il quale parla di atti "totalmente disumani" e palesemente in violazione dei diritti fondamentali. Secondo le ultime notizie che giungono da Bhubaneswar, la capitale dello Stato dell'Orissa, sebbene forze di intervento rapido siano dispiegate in molte zone nel distretto di Kandhamal con l'ordine persino di "sparare a vista", gruppi fuori controllo continuano ad attaccare chiese e a saccheggiare istituti cattolici. Solo lunedì dieci luoghi di preghiera sono stati devastati nel villaggio di Kundra, nel distretto di Jayapur. Nella zona di Tikabali, cinque villaggi sono stati attaccati e saccheggiati. Una chiesa, un convento e due ostelli sono stati distrutti a Mondasore, nella zona di Raikia. I vescovi indiani non nascondono la loro preoccupazione: "Siamo estremamente angosciati - affermano i presuli - nel notare che nonostante le assicurazioni date dal primo ministro dell'Orissa, Shri Naveen Patnaik, al primo ministro federale Manmohan Singh, circa il fatto che la violenza in Kandhamal sarebbe stata repressa, non notiamo miglioramenti. Sebbene siano state dispiegate forze di sicurezza, i fondamentalisti continuano ad attaccare i cristiani e le loro istituzioni liberamente. Ci appelliamo al primo ministro dell'Orissa affinché agisca contro chi sta piegando la legge ai propri fini e protegga i cristiani, le loro case e le loro istituzioni che sono sotto il continuo attacco dei gruppi fondamentalisti. Chiediamo inoltre all'amministrazione statale di vigilare sulla questione delle riconversioni forzate, dal momento che si tratta di una palese violazione del diritto costituzionale dei cristiani a vivere nel loro Paese senza timori".
Ieri il portavoce della Conferenza episcopale indiana aveva segnalato che gli attacchi alle comunità cristiane indiane sono il frutto di una strategia volta a instaurare in alcune zone del Paese un vero e proprio "regno del terrore". Gli estremisti, ha detto padre Babu, "hanno cercato di colpire tutti i fedeli, luoghi e simboli cristiani, quasi per cancellare le tracce di cristianesimo dalla zona".
La Chiesa in India intanto sta cercando di tracciare un primo bilancio degli attacchi. Secondo dati forniti dalla Cbci sono 50 le chiese attaccate, dieci gli esercizi commerciali distrutti, quattro i conventi, cinque gli ostelli, sei gli istituti religiosi e altrettanti i sacerdoti e religiosi cattolici feriti. Delle ventisei vittime sinora accertate, non è ancora possibile dire a quale comunità e confessione cristiana appartengano. "È evidente - ha detto il portavoce - che non si è trattato di un episodio isolato, ma di un'azione ben organizzata e pianificata. Abbiamo presentato al Governo e alle massime autorità nazionali la situazione e abbiamo ricevuto solidarietà", ha aggiunto padre Babu, che chiede, a nome dei vescovi indiani, una mobilitazione internazionale.
Mentre in India anche i bramini chiedono che cessi ogni violenza, la madre superiora delle Missionarie della Carità, suor Nirmala Joshi, in occasione della memoria liturgica della beata madre Teresa di Calcutta, il 5 settembre, ha diffuso un appello, riportato dall'agenzia Asianews: "Cari fratelli e sorelle dell'Orissa e di tutta l'India, non dimentichiamo la nostra vera identità, quali amati figli di Dio, nostro Padre. Siamo fratelli e sorelle l'uno dell'altro, qualunque sia la nostra religione, razza, cultura o linguaggio, ricchi o poveri. Nulla ci dovrebbe separare. Soprattutto, non usiamo la religione per dividerci. L'essenza di tutte le religioni è l'amore, l'amore per Dio e l'amore l'uno per l'altro. La violenza in nome della religione è un abuso della religione. "La religione è un'opera di amore. Non è fatta per distruggere la pace e l'unità. Le opere dell'amore sono opere di pace. Utilizziamo la religione per divenire un solo cuore pieno di amore nel cuore di Dio" (beata Teresa di Calcutta). Cari fratelli e sorelle, in nome di Dio e della nostra umanità creata per cose più grandi - amare ed essere amati eternamente, in nome della nostra nazione e della nostra nobile eredità, in nome dei poveri, dei bambini, e di tutti i nostri fratelli e sorelle che soffrono come vittime di queste insensate violenza e distruzione, faccio questo appello: preghiamo, apriamo le nostre menti e i cuori alla luce e all'amore di Dio. Gettiamo via le armi dell'odio e della violenza e indossiamo l'armatura dell'amore. Perdoniamoci gli uni gli altri e domandiamo perdono gli uni agli altri per il male che abbiamo fatto gli uni agli altri e giungiamo ad amarci reciprocamente.
"Preghiamo per il riposo delle anime di Swami Lakshmananda Saraswati e dei suoi collaboratori e di tutti i nostri fratelli e sorelle che hanno perso la loro vita durante queste violenze. Preghiamo gli uni per gli altri e domandiamo alla nostra madre, la beata Teresa di Calcutta, di pregare per noi così che possiamo divenire strumenti di Dio, della sua stessa pace, amore e gioia gli uni per gli altri e costruttori della civiltà dell'amore".



(©L'Osservatore Romano - 4 settembre 2008)