lunedì 30 marzo 2009

Questo è cosa pensa il mio amico Giovanni Formicola

Il riferimento da parte del presidente Obama a Gioacchino da Fiore (1130 ca.-1202) è assai pertinente, e altrettanto inquietante, per cui mi sembra tutt’altro che male indirizzata o eccessiva l’attenzione per esso da parte del predicatore della Casa Pontificia.

La profezia gioachimita – al di là delle reali intenzioni del monaco calabrese –, infatti, potrebbe essere l’aura mistica di una sorta di new age politico-culturale, che come sempre prima si manifesta e poi viene «battezzato».

Essa, com’è noto, riguarda l’avvento di un III Reich (la suggestione non è mia, ma di Karl Löwith [1897-1973]) finalmente «spirituale». Ed in effetti, un’era tutta dello «spirito» può tendere al völkisch molto più di quanto si possa pensare: una sua possibile declinazione è la liberazione dell’anima di un popolo (anche «di Dio», perché no), come interpretata da un «capo», che afferma sé stessa senza freni e viene attuata in modo «religioso». È quello che precisamente accade alla religione quando non è più «purificata e strutturata dalla ragione» (Benedetto XVI), si de-istituzionalizza e immanentizza il «regno». Così, pure eliminati (e non è un’eliminazione da poco, evidentemente) apparato repressivo, filo spinato e lager, rimane la pretesa di riscrivere la storia in termini volontaristici, vitalistici e sostanzialmente di desiderio.

Una modalità storica interessante è stata appunto peculiarmente tedesca. Non posso certo qui ricostruire il processo che dal libero esame – un rapporto immediato con lo Spirito – conduce fino, per una dinamica propria che travalica certo le intenzioni dei riformatori tedeschi, all’ideologia völkisch e al piccolo III reich, che travolse tutte le istituzioni e le leggi morali della «vecchia Germania». Ma non possono sfuggire – mutatis mutandis, e non è certo poco quel che è da mutare – le analogie con l’attualità, che per esempio sono evidentissime nell’approccio scientista e tecnocratico, medico e eugenetico alle questioni del concepire, nascere e morire, trattate in termini di dominio, come pure la volontà di guidare dall’alto il processo dell’economia.

Ma l’analogia è più strutturale: è nell’idea di libertà di scrivere il proprio destino come piena «spirituale» (e un po’ superomistica) liberazione della coscienza – con sottolineature diverse, che vanno da quella popolare a quella individuale – da ogni costrizione e forma. Che siano quelle della «camicia di forza della ragione aristotelica», come pure quelle di ogni istituzione e autorità che non creino la legge, ma la leggano nell’ordine proprio delle cose e la custodiscano, sforzandosi di trascriverla nel modo più possibile fedele nella legge positiva, certe della radicale fallibilità e imperfezione della loro azione, ma altrettanto certe di tutti i non possumus che devono opporre all’io desiderante.

Come lucidamente ha scritto il prof. De Marco, «[…] le istituzioni esonerano l’uomo dalla dipendenza dall’immediato (impulso e desiderio, piacere e dolore) e ne realizzano la libertà […]. La promozione di diritti individuali incondizionati contro le istituzioni fondamentali è promozione di un asservimento irrazionale della comunità all’arbitrio di ognuno.

«Dovremo ripetere con un grande critico delle derive anti-istituzionali, Arnold Gehlen, che ciò che smantella tradizioni, forme, ordinamenti primitivizza l’uomo, lo rigetta nella “instabilità della vita istintuale”?». Questa new age «gioachimita» sembra muoversi esattamente nella direzione di questo smantellamento. E se è vero che non si vedono all’orizzonte i lager, è altrettanto vero che, come disse il compianto Augusto Del Noce (1910-1989), per gli oppositori sono già operativi i «campi di concentramento spirituale».

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