Libertà religiosa
è anche
libertà di convertirsi
di Massimo Introvigne L'intolleranza e la discriminazione contro i cristiani, come contro i membri di altre religioni, possono verificarsi quando la libertà religiosa o non è garantita oppure è travisata. Le mie osservazioni si fondano sulla convinzione che la dottrina sociale della Chiesa, e in particolare i documenti più recenti di Benedetto XVI - che partono da argomenti di ragione e non solo di fede - possono essere d'interesse generale, anche per i non cristiani e i non credenti, e offrire un aiuto a tutti.
I principi della libertà religiosa sono in genere affermati dalle costituzioni e dalle leggi degli Stati membri dell'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (Osce). Rimangono tuttavia tre possibili aree di equivoco.
La prima riguarda lo statuto della libertà religiosa. La libertà di religione non è solo uno fra i tanti elementi di una lunga lista di diritti e di libertà. È la pietra angolare di una vita sociale in cui le altre libertà possono fiorire. Parlando a Washington il 17 aprile 2008, Benedetto XVI ha citato un pensatore francese, non credente, Alexis de Tocqueville (1805-1859), il quale insegnava che "la religione e la libertà sono "intimamente legate" nel contribuire a una democrazia stabile". Quando la libertà religiosa è considerata un diritto minore, o secondario rispetto ad altri, la libertà in generale non può essere veramente garantita.
La seconda concerne l'estensione della libertà religiosa. L'Instrumentum laboris della prossima Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi cita il fatto che in alcuni Paesi "libertà di religione vuol dire solitamente libertà di culto. Non si tratta dunque di libertà di coscienza, cioè della libertà di credere o non credere, di praticare una religione da soli o in pubblico senza alcun impedimento, e dunque della libertà di cambiare religione. (...)Cambiare religione è ritenuto un tradimento verso la società, la cultura e la Nazione costruita principalmente su una tradizione religiosa". Al contrario, una vera libertà religiosa deve comprendere la libertà di predicare, di convertire e di convertirsi.
In terzo luogo, in alcuni Paesi la libertà di religione è considerata da alcuni con sospetto, come se implicasse necessariamente il relativismo e la negazione dell'eredità spirituale nazionale. La Chiesa cattolica ha dovuto affrontare lo stesso problema quando si è trovata di fronte ai problemi d'interpretazione della dichiarazione sulla libertà religiosa Dignitatis humanae del concilio ecumenico Vaticano ii. Alcuni, anche all'interno della Chiesa, temevano che la proclamazione della libertà religiosa potesse promuovere il relativismo e l'indifferentismo. Ma in realtà, come Benedetto XVI ha ripetutamente mostrato, la libertà religiosa e una ferma difesa della propria identità religiosa contro il relativismo possono e devono coesistere. La libertà religiosa è relativa all'immunità individuale e collettiva dei credenti da ogni coercizione dello Stato laico moderno nel momento della formazione e dell'annuncio della propria esperienza religiosa. Non implica invece che il credente non abbia il diritto e il dovere di esercitare un "adeguato discernimento" tra le diverse proposte religiose, come il Papa ha sottolineato nella sua enciclica del 2009 Caritas in veritate: "La libertà religiosa non significa indifferentismo religioso e non comporta che tutte le religioni siano uguali" (n. 55).
Con riferimento alla città sede dell'Osce, possiamo dire che questi tre equivoci creano problemi sia a est di Vienna sia a ovest di Vienna. A est di Vienna, i problemi circa l'estensione della libertà religiosa e il timore che la libertà di religione in senso occidentale possa indurre relativismo e un tradimento delle culture tradizionali può generare forme normative che danneggiano le Chiese e le comunità cristiane. Tra queste ci sono il rifiuto della registrazione legale e dell'esenzione fiscale, e il rifiuto di concedere visti ai missionari o licenze per costruire edifici di culto. In alcuni Paesi una virulenta propaganda anti-cristiana ha portato a una diffusa violenza.
A ovest di Vienna troppo spesso assistiamo alla marginalizzazione dei cristiani, i cui diritti di partecipare pienamente al dialogo sociale annunciando la loro fede sono limitati in nome del laicismo. La causa di questi problemi sembra essere il primo dei tre equivoci che ho citato. La libertà religiosa è considerata solo come uno fra tanti diversi diritti, e la sua importanza cruciale è sistematicamente sottovalutata. E il problema diventa peggiore quando tra i diritti che s'invocano per limitare la libertà religiosa ci sono - secondo l'espressione dellaCaritas in veritate - "presunti diritti, di carattere arbitrario e voluttuario", e perfino "diritti" "addirittura alla trasgressione e al vizio" (n. 42). Il riconoscimento dei diritti delle minoranze religiose è certo uno sviluppo importante dei sistemi giuridici moderni. Ma i diritti delle minoranze non devono essere usati per negare i diritti delle maggioranze. Anche le maggioranze hanno i loro diritti.
Il tempo mi permette di citare solo due esempi. Il primo riguarda un numero ormai ampio d'incidenti in Europa dove predicatori cristiani, compresi predicatori di strada, e istituzioni ecclesiali sono stati incriminati o citati in giudizio per avere criticato stili di vita e atteggiamenti relativi alla sessualità che considerano peccaminosi. Alcuni genitori sono stati multati o incriminati per avere rifiutato di mandare i loro figli a cosiddetti corsi anti-discriminazione che, a loro avviso, promuovono stili di vita che non approvano. In quest'area, come in altre, come minimo dev'essere sempre riconosciuto un ampio diritto all'obiezione di coscienza. Le proposte di legge che intendono punire come incitamento all'odio la critica religiosa di stili di vita alternativi sono percepite da molte Chiese e comunità cristiane come una seria minaccia alla loro libertà di predicazione.
Il secondo esempio riguarda la sentenza del 2009 Lautsi contro Italia, con cui la Corte europea dei Diritti Umani ha deciso che la presenza di crocefissi nelle scuole pubbliche italiane viola i diritti dei non credenti e degli alunni che in Italia, un Paese a larga maggioranza cattolico, appartengono a minoranze religiose. I sondaggi hanno confermato che un'ampia maggioranza degli italiani (82 per cento: cfr. Franco Garelli - Gustavo Guizzardi - Enzo Pace (a cura di), Un singolare pluralismo: Indagine sul pluralismo morale e religioso degli italiani, il Mulino, Bologna 2003, pp. 146-147) - compresa una solida maggioranza degli italiani che non sono cattolici praticanti - è favorevole a mantenere nelle scuole il crocefisso, un simbolo della più alta forma di amore oltre che dell'identità e della storia nazionale particolarmente amato in Italia. Questo sembra un caso particolarmente chiaro dove i diritti di un'ampia maggioranza sono ignorati in nome dei diritti di una minoranza, o dell'opinione di un numero molto limitato di militanti del laicismo.
(©L'Osservatore Romano - 7 luglio 2010)
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