Quel legame tra spirito e corpo
La celebre profezia che Dostoevskij mette in bocca al principe Miskin nell'Idiota, "la bellezza salverà il mondo", sembra proprio che si stia avverando. E questo non solo per quanto già notava Solzenicyn nel suo Discorso di Stoccolma. Lì lo scrittore, fine interprete delle metamorfosi del senso religioso contemporaneo, segnalava come all'inaridimento dei primi due rami dell'essere, il vero e il bene, assorbiti da una modernità riduttrice e a volte totalitaria, resisteva "solo il ramo della Bellezza", a cui "tocca ora di far fruttificare tutta la linfa del tronco". Affermazione supportata dallo stupore generato in lui "da un po' di anni, dalla folla che abbandona le chiese ma si affretta ad andare alle grandi mostre... come se aspettassero dalla bellezza la giustificazione della vita, la rivelazione del senso". Oltre a queste constatazioni, oggi facilmente verificabili, è interessante l'entrata consistente dell'estetica nel processo di ridefinizione della teologia cristiana, come testimoniano gli atti del convegno della Facoltà Teologica dell'Italia Settentrionale, recentemente pubblicati a cura di Pierangelo Sequeri, Il corpo del Logos. Pensiero estetico e teologia cristiana (Milano, Glossa, 2009, pagine 198, euro 28).
Nel suo denso intervento di apertura, è proprio il teologo milanese a dispiegare le potenzialità che il ritrovato connubio tra estetica e teologia può mettere in campo. In primo luogo, si tratta di rimuovere un pernicioso luogo comune della tradizione occidentale, presente nella filosofia quanto nel cristianesimo: "l'idea che gli affetti e l'estetico appartengono di principio - e magari di diritto - alla sfera dell'irrazionale" (p. 8). A questo fa da contrappunto l'insistenza su un'idea di razionalità anaffettiva e anestetica: "un lògos che si coltiva asceticamente nell'incontaminatezza, nella separazione, nell'indifferenza alle fedi, alle speranze e agli amori, sui quali peraltro si dispone poi - in virtù della sua coltivata insensibilità - ad emettere sentenze inappellabili di attendibilità razionale e di coerenza etica" (p. 10). Detto altrimenti, l'estetica costringe al ripensamento di quell'ontologia degli affetti che la ragione occidentale ha sempre tenuto a distanza. Occorre liberare la colonizzazione instaurata da una razionalità fredda sui territori dell'umano perché "non soltanto le passioni sregolate (quando la ragione "dorme") generano mostri: anche le razionalità anaffettive (quando l'eticità è "anestetizzata") partoriscono orrori" (p. 12). Si tratta allora di recuperare, in tutta la sua importanza, la considerazione per la sensibilità umana, il legame inscindibile tra lògos e àisthesis. Ciò è richiesto dall'asse portante della rivelazione cristiana che con i suoi tre piloni, creazione incarnazione e risurrezione, si erge a baluardo contro ogni scissione gnostica del pensiero dalla carne. Da Origene e Agostino con la dottrina dei sensi spirituali, passando per la "creaturalità sacramentale" dei Vittorini e Chartres fino all'intuizione di Ignazio di Loyola e di Francesco di Sales, la sensibilità è stata identificata come il luogo imprescindibile dell'accesso al divino.
Se il lògos cristiano non rimette a tema queste dimensioni rischia di rimanere "a lungo scisso fra un lato virtualmente razionalistico, che non ha concetti per le affezioni di Dio, e un lato spensieratamente retorico, dove l'enfasi è interiormente posta sull'esperienza della relazione, in contrapposizione con il logos astratto della verità del concetto" (p. 23). Ripensare organicamente il legame tra spirito e corpo, tra ragione e sensibilità, è fondamentale anche in relazione alla risurrezione. La trasfigurazione che ci attende, pur nella discontinuità con la scena di questo mondo, non sarà priva di esteriorità, di pathos quanto dynamis, per questo, afferma ancora Sequeri, "i corpi risorti saranno diversi: irriducibili a parti della "stoffa divina", eppure distinguibili fra loro e destinati ad abitare un "mondo nuovo"".
Nel suo denso intervento di apertura, è proprio il teologo milanese a dispiegare le potenzialità che il ritrovato connubio tra estetica e teologia può mettere in campo. In primo luogo, si tratta di rimuovere un pernicioso luogo comune della tradizione occidentale, presente nella filosofia quanto nel cristianesimo: "l'idea che gli affetti e l'estetico appartengono di principio - e magari di diritto - alla sfera dell'irrazionale" (p. 8). A questo fa da contrappunto l'insistenza su un'idea di razionalità anaffettiva e anestetica: "un lògos che si coltiva asceticamente nell'incontaminatezza, nella separazione, nell'indifferenza alle fedi, alle speranze e agli amori, sui quali peraltro si dispone poi - in virtù della sua coltivata insensibilità - ad emettere sentenze inappellabili di attendibilità razionale e di coerenza etica" (p. 10). Detto altrimenti, l'estetica costringe al ripensamento di quell'ontologia degli affetti che la ragione occidentale ha sempre tenuto a distanza. Occorre liberare la colonizzazione instaurata da una razionalità fredda sui territori dell'umano perché "non soltanto le passioni sregolate (quando la ragione "dorme") generano mostri: anche le razionalità anaffettive (quando l'eticità è "anestetizzata") partoriscono orrori" (p. 12). Si tratta allora di recuperare, in tutta la sua importanza, la considerazione per la sensibilità umana, il legame inscindibile tra lògos e àisthesis. Ciò è richiesto dall'asse portante della rivelazione cristiana che con i suoi tre piloni, creazione incarnazione e risurrezione, si erge a baluardo contro ogni scissione gnostica del pensiero dalla carne. Da Origene e Agostino con la dottrina dei sensi spirituali, passando per la "creaturalità sacramentale" dei Vittorini e Chartres fino all'intuizione di Ignazio di Loyola e di Francesco di Sales, la sensibilità è stata identificata come il luogo imprescindibile dell'accesso al divino.
Se il lògos cristiano non rimette a tema queste dimensioni rischia di rimanere "a lungo scisso fra un lato virtualmente razionalistico, che non ha concetti per le affezioni di Dio, e un lato spensieratamente retorico, dove l'enfasi è interiormente posta sull'esperienza della relazione, in contrapposizione con il logos astratto della verità del concetto" (p. 23). Ripensare organicamente il legame tra spirito e corpo, tra ragione e sensibilità, è fondamentale anche in relazione alla risurrezione. La trasfigurazione che ci attende, pur nella discontinuità con la scena di questo mondo, non sarà priva di esteriorità, di pathos quanto dynamis, per questo, afferma ancora Sequeri, "i corpi risorti saranno diversi: irriducibili a parti della "stoffa divina", eppure distinguibili fra loro e destinati ad abitare un "mondo nuovo"".
(©L'Osservatore Romano - 27 febbraio 2010)
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