mercoledì 25 novembre 2009

Il disprezzo



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di Gianandrea BorderoBordero- (Ragionpolitica) - 24 .09.09
Passano gli an

ni, passano i governi, passano le legislature. Ma la sinistra italiana è ancora ferma lì, a quel 23 novembre del 1993, giorno nel quale - come ha ricordato Paolo Del Debbio dalle colonne de Il Giornale - Silvio Berlusconi, durante l'inaugurazione di un nuovo supermercato a Casalecchio di Reno, creò con un geniale colpo di magia il centrodestra in Italia sol dichiarando che, se egli avesse dovuto votare al ballottaggio per l'elezione del sindaco di Roma, avrebbe senz'altro sostenuto Gianfranco Fini, e non Francesco Rutelli. Apriti cielo! Nel giro di ventiquattr'ore la sdegnata intellighenzia gauchista, custode e detentrice della sacra ed inviolabile legittimità politica nel nostro paese, segnò col marchio dell'infamia l'uomo di Arcore. Che da quel giorno cessò di essere l'imprenditore Berlusconi e divenne il Cavaliere nero, il distruttore dell'arco costituzionale, il pericoloso parvenu della politica che rischiava di mettere a repentaglio gli equilibri istituzionali della Repubblica.

Una raffigurazione di Berlusconi che si consolidò nei mesi immediatamente successivi, prima con la nascita di Forza Italia e poi con la clamorosa vittoria dell'alleanza di centrodestra alle elezioni del 27 marzo 1994. Una rappresentazione che da allora, nella sostanza, non è mai mutata nella mente della sinistra italiana e dei suoi guru politico-culturali. I quali, incapaci di comprendere i veri motivi per cui Berlusconi andava riscuotendo tanto successo presso l'elettorato e, contestualmente, di analizzare le ragioni del progressivo crollo di consensi degli eredi del Pci, preferirono sbrigarsela rispolverando la cara, vecchia dottrina del «popolo bue», ammaliato dalle sirene della televisione commerciale e dalla spettacolarizzazione della politica. Cioè dai due strumenti che, secondo i dotti e sapienti della gauche caviar, il diabolico Berlusconi utilizzava per mandare i cervelli all'ammasso e addomesticare la mano che avrebbe poi dovuto tracciare la croce sulla scheda elettorale.

Così, mentre Berlusconi, giorno dopo giorno, continuava a strappare consensi alla coalizione a lui avversa e conquistava palmo a palmo sempre maggiori porzioni di paese reale, la sinistra e i suoi (cattivi) maestri si rinchiudevano nei loro salotti non per un salutare ripensamento culturale e politico, bensì per vomitare tutta la loro rabbia acida contro il «Caimano», il «partito di plastica», i «nani e le ballerine», e per lanciare infuocati anatemi contro il «pericolo per la democrazia». I risultati di questa - chiamiamola così - strategia sono ora sotto gli occhi tutti: partiti ex, post e neo comunisti alla canna del gas; classi dirigenti in perenne stato confusionale, vagolanti nel buio politico più fitto; elettori della sinistra storica delusi, sconfortati, annoiati.

Di fronte all'evidenza di tale disastro, oggi sarebbe lecito attendersi, da parte di chi ne è stato all'origine, o un sincero mea culpa o un dignitoso silenzio. Pie illusioni. Speranze malriposte in chi ancora è convinto di essere circondato da una patina di superiorità morale, ontologica ed intellettuale che gli dà titolo ad ergersi a giudice di tutto e di tutti. Come Eugenio Scalfari, che, dopo 16 anni di fallimentari elucubrazioni politiche antiberlusconiane, incapace di accettare il fatto che il paese reale non risponda e non corrisponda ai desiderata suoi e della sua Repubblica, si lancia in una scomunica a tutto tondo non soltanto - com'è ovvio - di Berlusconi e dei dirigenti del suo partito, ma della realtà stessa, dell'Italia e degli italiani. Colpevoli, come un personaggio di Diderot, di essere diventati «amorali» e di aver smarrito, votando per il Cavaliere nero, il «senso del bene e del male». «Il mondo degli uomini senza qualità»: così Scalfari ha titolato la sua reprimenda domenicale. Ma il titolo giusto sarebbe stato «Il disprezzo»: disprezzo di tutto ciò che non va per il verso auspicato dall'intelligentissima cervice scalfariana. Un articolo da tramandare ai posteri non soltanto per spiegare il significato della parola «antiberlusconismo», ma anche per far loro comprendere in tutta la sua terribile profondità la crisi della sinistra italiana dopo quel 23 novembre 1993.

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