lunedì 3 novembre 2008

OR 2-3 novembre 2008: Il Pontefice ricorda i dieci porporati e i 103 presuli morti durante l'anno

Fedeli a Cristo nonostante le umane fragilità


I dieci cardinali e i 103 tra arcivescovi e vescovi che sono morti nell'ultimo anno sono stati ricordati da Benedetto XVI durante la messa celebrata lunedì mattina, 3 novembre, all'altare della cattedra della basilica Vaticana.

Signori Cardinali,
Venerati Fratelli nell'Episcopato e nel Sacerdozio,
cari fratelli e sorelle!
All'indomani della Commemorazione liturgica di tutti i fedeli defunti, ci siamo radunati quest'oggi, secondo una bella tradizione, per celebrare il Sacrificio eucaristico in suffragio dei nostri Fratelli Cardinali e Vescovi che hanno lasciato questo mondo durante l'ultimo anno. La nostra preghiera è animata e confortata dal mistero della comunione dei santi, mistero che nei giorni scorsi abbiamo nuovamente contemplato nell'intento di comprenderlo, accoglierlo e viverlo sempre più intensamente.
In questa comunione ricordiamo con grande affetto i Signori Cardinali Stephen Fumio Hamao, Alfons Maria Stickler, Aloisio Lorscheider, Peter Porekuu Dery, Adolfo Antonio Suárez Rivera, Ernesto Corripio Ahumada, Alfonso López Trujillo, Bernardin Gantin, Antonio Innocenti e Antonio José González Zumárraga. Noi li crediamo e li sentiamo vivi nel Dio dei viventi. E con loro ricordiamo anche ciascuno degli Arcivescovi e dei Vescovi, che negli ultimi dodici mesi sono passati da questo mondo alla Casa del Padre. Per tutti vogliamo pregare, lasciandoci illuminare nella mente e nel cuore dalla Parola di Dio che abbiamo appena ascoltato.
La prima lettura - un brano del Libro della Sapienza (4, 7-15) - ci ha ricordato che vera anzianità veneranda non è solo la lunga età, ma la saggezza e un'esistenza pura, senza malizia. E se il Signore chiama a sé un giusto anzitempo, è perché su di lui ha un disegno di predilezione a noi sconosciuto: la morte prematura di una persona a noi cara diventa un invito a non attardarci a vivere in modo mediocre, ma a tendere al più presto alla pienezza della vita. C'è nel testo della Sapienza una vena di paradosso che ritroviamo anche nella pericope evangelica (Mt 11, 25-30). In entrambe le letture emerge un contrasto tra ciò che appare allo sguardo superficiale degli uomini e ciò che invece vedono gli occhi di Dio. Il mondo reputa fortunato chi vive a lungo, ma Dio, più che all'età, guarda alla rettitudine del cuore. Il mondo dà credito ai "sapienti" e ai "dotti", mentre Dio predilige i "piccoli". L'insegnamento generale che ne deriva è che vi sono due dimensioni del reale: una più profonda, vera ed eterna, l'altra segnata dalla finitezza, dalla provvisorietà e dall'apparenza. Ora, è importante sottolineare che queste due dimensioni non sono poste in semplice successione temporale, come se la vita vera cominciasse solo dopo la morte. In realtà, la vita vera, la vita eterna inizia già in questo mondo, pur entro la precarietà delle vicende della storia; la vita eterna inizia nella misura in cui noi ci apriamo al mistero di Dio e lo accogliamo in mezzo a noi. È Dio il Signore della vita e in Lui "viviamo, ci muoviamo ed esistiamo" (At 17, 28), come ebbe a dire san Paolo all'Areopago di Atene.
Dio è la vera sapienza che non invecchia, è la ricchezza autentica che non marcisce, è la felicità a cui aspira in profondità il cuore di ogni uomo. Questa verità, che attraversa i Libri sapienziali e riemerge nel Nuovo Testamento, trova compimento nell'esistenza e nell'insegnamento di Gesù. Nella prospettiva della sapienza evangelica, la stessa morte è portatrice di un salutare ammaestramento, perché costringe a guardare in faccia la realtà; spinge a riconoscere la caducità di ciò che appare grande e forte agli occhi del mondo. Di fronte alla morte perde d'interesse ogni motivo di orgoglio umano e risalta invece ciò che vale sul serio. Tutto finisce, tutti in questo mondo siamo di passaggio. Solo Dio ha la vita in sé, è la vita. La nostra è una vita partecipata, donata "ab alio", perciò un uomo può arrivare alla vita eterna solo a causa della relazione particolare che il Creatore gli ha donato con sé. Ma Dio, vedendo l'allontanamento dell'uomo da sé, ha fatto un passo ulteriore, ha creato una nuova relazione tra sé e noi della quale ci parla la seconda lettura della Liturgia di oggi. Egli, Cristo "ha dato la sua vita per noi" (1 Gv 3, 16).
Se Dio - scrive san Giovanni - ci ha amato gratuitamente, anche noi possiamo, e dunque dobbiamo lasciarci coinvolgere da questo movimento oblativo, e fare di noi stessi un dono gratuito per gli altri. In questo modo conosciamo Dio come siamo da Lui conosciuti; in questo modo dimoriamo in Lui come Lui ha voluto dimorare in noi, e passiamo dalla morte alla vita (cfr. 1 Gv 3, 14) come Gesù Cristo, che ha sconfitto la morte con la sua risurrezione, grazie alla potenza gloriosa dell'amore del Padre celeste.
Cari fratelli e sorelle, questa Parola di vita e di speranza ci è di profondo conforto dinanzi al mistero della morte, specialmente quando colpisce le persone che a noi sono più care. Il Signore ci assicura quest'oggi che i nostri compianti Fratelli, per i quali particolarmente preghiamo in questa santa Messa, sono passati dalla morte alla vita perché hanno scelto Cristo, ne hanno accolto il giogo soave (cfr. Mt 11, 29) e si sono consacrati al servizio dei fratelli. Perciò, se anche hanno da espiare la loro parte di pena dovuta all'umana fragilità - che tutti ci segna, aiutandoci a mantenerci umili -, la fedeltà a Cristo permette loro di entrare nella libertà dei figli di Dio. Se dunque ci ha rattristato doverci distaccare da loro, e tuttora ci addolora la loro mancanza, la fede ci riempie di intimo conforto al pensiero che, come è stato per il Signore Gesù, e sempre grazie a Lui, la morte non ha più potere su di loro (cfr. Rm 6, 9). Passando, in questa vita, attraverso il Cuore misericordioso di Cristo, sono entrati "in un luogo di riposo" (Sap 4, 7). Ed ora ci è caro pensarli in compagnia dei santi, finalmente sollevati dalle amarezze di questa vita, ed avvertiamo noi pure il desiderio di poterci unire un giorno a così felice compagnia.
Nel Salmo responsoriale abbiamo ripetuto queste consolanti parole: "Bontà e fedeltà mi saranno compagne / tutti i giorni della mia vita, / abiterò ancora nella casa del Signore / per lunghi giorni" (Sal 23[22], 6). Sì, amiamo sperare che il Buon Pastore abbia accolto questi nostri Fratelli, per i quali celebriamo il divin Sacrificio, al tramonto della loro giornata terrena e li abbia introdotti nella sua intimità beata. L'olio benedetto - a cui si accenna nel Salmo (v. 5) - è stato posto per tre volte sul loro capo e una volta sulle loro mani; il calice (ibid.) glorioso di Gesù Sacerdote è diventato anche il loro calice, che hanno alzato giorno dopo giorno, lodando il nome del Signore. Ora sono giunti ai pascoli del cielo, dove i segni lasciano il posto alla realtà.
Cari fratelli e sorelle, uniamo la nostra comune preghiera ed innalziamola al Padre di ogni bontà e misericordia affinché, per intercessione di Maria Santissima, l'incontro con il fuoco del suo amore purifichi presto questi nostri amici defunti da ogni imperfezione e li trasformi a lode della sua gloria. E preghiamo perché noi, pellegrini sulla terra, manteniamo sempre orientati gli occhi e il cuore verso la meta ultima a cui aneliamo, la casa del Padre, il Cielo. E così sia!

Scienza e religione al di là degli stereotipi

Articolo di Lucetta Scaraffia!!!

Il big bang il gesuita e l'ebreo

(Due astronomi a colloquio con Riccardo Chiaberge)

Il rapporto fra scienza e religione sembra farsi sempre più difficile, addirittura fonte di aperti conflitti che nascono più spesso da malintesi che da vere ragioni di contrapposizione, tanto che alcuni scienziati, in tutto il mondo, ne hanno fatto addirittura un genere letterario. In un clima così teso arriva invece con intento distensivo il libro di Riccardo Chiaberge La variabile Dio (Milano, Longanesi, 2008, pagine 195, euro 14,60) che affronta questo tema da un punto di vista originale: un lungo colloquio con importanti scienziati, George Coyne, che è stato direttore della Specola Vaticana, e Arno Penzias, l'astronomo che ha captato il rumore del big bang. L'incontro si è svolto in distesa amicizia e stima reciproca, "tutto l'opposto di quel clima di crociata e di muro contro di muro che sembra dominare da qualche anno intorno a questi temi".
I due scienziati, entrambi settantacinquenni, hanno parlato del rapporto con la religione nel loro percorso biografico - Coyne gesuita, Penzias ebreo scampato alla Shoah - e nella loro passione scientifica. E se Penzias dice di guardare a un mondo in cui Dio non interviene, Coyne insegue Dio nella sua ricerca sull'universo: "Sto cercando di capire un universo creato da Dio che mi ama". Ma se non sono molti gli scienziati a dichiararsi religiosi - scrive Chiaberge - sono quasi la metà quanti pensano che avere una fede non impedisca affatto di essere un ottimo ricercatore, convinti cioè che si tratti di due campi esistenziali separati, che possono non interferire l'uno con l'altro.
Chiaberge passa poi ad affrontare i due nodi strategici della contrapposizione fra scienza e fede: il processo a Galileo e l'evoluzionismo. Mentre per il processo a Galileo sembra addirittura che l'ebreo Penzias sia più indulgente del gesuita Coyne nel suo giudizio sull'operato della Chiesa di Roma, vedendo nel processo allo scienziato non tanto una condanna delle sue teorie, quanto dell'uomo che ne aveva fatto un uso contrario alle disposizioni della gerarchia ecclesiastica - un processo quindi più politico che scientifico - per quanto riguarda l'evoluzionismo vediamo i due scienziati schierati entrambi, senza remore, su una posizione favorevole.
Posizione che si contrappone quindi nettamente a quelle dei creazionisti, ai quali Chiaberge dedica un interessante capitolo frutto di una visita al Creation Museum del Kentucky. Coyne sostiene che anche l'idea dell'Intelligent Design "sminuisce Dio, lo degrada ad un ingegnere", mentre invece - continua il gesuita - "la scienza moderna pone una sfida, una sfida stimolante, alle credenze tradizionali intorno a Dio. Dio nella sua infinita libertà crea continuamente un mondo che riflette questa libertà a tutti i livelli del processo evolutivo verso una complessità sempre più grande. Dio lascia che il mondo sia quello che sarà nella sua continua evoluzione. Non interviene, ma piuttosto asseconda, partecipa, ama".
Ma questo libro dai molti meriti, che tra l'altro - ed è un pregio non secondario - riesce a far capire in termini semplici complicate teorie astrofisiche sull'origine e la natura dell'universo, non arriva a individuare il punto su cui si fonda la vera differenza fra i cattolici e gli evoluzionisti radicali: cioè il posto dell'essere umano nella natura. I cattolici, e i credenti in generale, non accettano infatti una teoria che vuole l'uomo parte della natura a tal punto da negare la differenza, l'eccezione, della specificità umana. Da questa diversa concezione di essere umano, ovviamente, deriva una diversa valutazione etica dell'intervento scientifico nei momenti di inizio e di fine della vita.
Molto parziale è anche la lettura che Chiaberge fa del Vaticano ii, secondo lui molto aperto nei confronti della scienza e che nei decenni successivi sarebbe stato tradito da una nuova ostilità dimostrata dalla Chiesa: l'autore sembra non pensare che nei decenni che seguono il concilio è cambiato completamente il rapporto fra la scienza e la società, e si sono aperti nuovi e complessi problemi, ai quali, sicuramente, i padri conciliari non avrebbero potuto dare risposte diverse da quelle date dalla Chiesa di oggi. Ma nonostante queste incomprensioni il libro rimane un tentativo interessante di conciliazione fra mondi culturali che vengono spesso contrapposti. Un tentativo del quale bisognerà tenere conto.



(©L'Osservatore Romano - 3-4 novembre 2008)

Western, noir e commedia per indagare la condizione umana (da OR)

Wow, bello questo!

Pistole per sparare, parole per ferire


di Luca Pellegrini

Con le pistole, solitamente, si uccide; con la parola si può anche ferire. Le prime, sempre pronte a sparare, sono quelle impugnate da buoni e cattivi - ma forse in questo caso la divisione non ha molto senso - nel genere western riesumato splendidamente da un duro come l'americano Ed Harris che firma la sua seconda, importante e applaudita regia, Appaloosa, fuori concorso al Festival del film di Roma, trasportandoci nella mitologia della frontiera con qualche aggiornamento psicologico moderno, condensato in piccole, nevrotiche idiosincrasie.
Pistole sparano frequentemente anche nella New York di oggi e sono quelle in dotazione alla polizia del 31° distretto e alle bande che la fronteggiano: anche in questo caso il confine tra bene e male è assai labile e molti dei tutori della legge che soffrono e rischiano in Pride and Glory di Gavin O'Connor - con il fratello gemello produttore Gregory figli di un vero poliziotto newyorkese - quotidianamente la calpestano, dimostrando come i tempi sono confusi e pericolosi.
Le frasi, infine, che feriscono l'animo e generano vere e proprie battaglie familiari e generazionali, tra serre e cucine dell'avita magione, le troviamo disseminate in un esempio classico di sophisticated comedy prestata al cinema, Easy virtue, che l'australiano Stephan Elliot trae con scaltrezza da una commedia di Noel Coward del 1923.
Belle notizie, dunque, dal cinema americano e anglosassone che hanno surclassato con pochi titoli, ma ben scelti, le molte e deprimenti pellicole italiane disseminate nelle varie sezioni del Festival romano, terminato venerdì scorso.
Siamo al tramonto della colonizzazione del selvaggio west, è il 1882 e un piccolo, sgangherato paese del New Mexico, quello del titolo, viene messo a soqquadro dal signorotto locale. Sono ingaggiati, per riportare l'ordine, lo sceriffo Virgil Cole e il vice Everett Hitch, coppia straordinariamente felice e in sintonia interpretata dallo stesso Harris e da Viggo Mortensen: amministrazione della giustizia a tratti sommaria, ma tra i due è inscalfibile un codice d'onore che li mette al riparo dalla corruzione dei tempi nuovi e dall'assalto di passioni antiche.
Sono lì per combattere i soprusi, onorare le promesse, anche se ben retribuite, tenere a debita distanza le possibili tentazioni del denaro e del cuore. Sono concreti, nelle loro scelte, diretti nelle decisioni da prendere e misogini quanto basta per non farsi incastrare dal fascino femminile, incarnato da una paffutella e scaltra Renée Zellweger che usa le sue indubbie doti per assicurarsi un posto nella società a venire.
I luoghi, si direbbe, dell'animo e della natura, sono comuni ai grandi affreschi western, quelli indimenticabili di Ford, Sturges, Hawks e Leone, ma questa volta il modo di raccontarli dimostra un'inconsueta, moderna presa emotiva. L'imprevedibilità del domani fa precipitare anche le persone più sicure nell'incertezza mentre il sole che tramonta dietro le montagne rocciose chissà dove mai si rialzerà per i nostri impavidi eroi. Da una sola debolezza devono stare in guardia, e siamo nella sfera dei sentimenti: perché "i sentimenti ti fanno ammazzare", confessa Virgil a Everett. E qui si insinua il tema, così poco di moda, del sacrificio.
Non sono di facili costumi e nemmeno di deboli virtù questi massicci eroi del far west. Lo sono assai, invece, alcuni poliziotti che vivono di molto orgoglio e scarsa gloria nel noir d'azione Pride and glory che riporta ai temi, spesso affrontati dal cinema, delle piaghe dovute a facile corruzione, diffusa violenza e ai molti contrasti in seno all'animo di uomini drammaticamente divisi tra l'onore e il dollaro. Un film cupo, teso, appassionato e senza tentennamenti di regia: la famiglia Tierney è tutta dedita al proprio ideale, quello di servire con rettitudine, nel corpo della polizia, lo stato e la città. Certo, alcune macchie del passato ancora stingono l'integrità e non si fa molto per sciacquarle via. Ma chi può essere senza anche lieve peccato in un mondo in cui il peccato dilaga? Il problema nasce quando è troppo grande per rimanere celato causando a raffica una serie di omicidi proprio tra le forze dell'ordine. Anche in questo caso il bene e il male si confondono e si approderà a una violentissima remissione delle colpe.
Tutto è double-face? In questa società americana interpretata da ottimi attori: Colin Farrell è amorevole padre e torturatore di bambini e spacciatori; Edward Norton esce da vicende assai poco chiare e, macerato dentro, tenta la strada della redenzione fuori; il fratello Noah Emmerich tiene più al suo distretto e ai suoi commilitoni che alla verità; John Voight, il capofamiglia, pone i figli al di sopra di tutto, purtroppo anche dell'onestà.
Meglio gli anni Venti? Le mode che l'America esportava in Europa, riscuotendo grande seguito, erano all'epoca quelle legate alla forza persuasiva e al desiderio di emulazione innescato da una borghesia sofisticata e gaudente nella quale convivevano - ed è questa, almeno, la sua forza in letteratura - ricchezza, fascino, cultura e quel tocco di libertinaggio felpato adatto a oliare i meccanismi del teatro di Coward così come aveva fatto funzionare benissimo quello di Goldoni due secoli prima.
Easy virtue, in concorso, è un film tutto al femminile e femminile è lo scontro che si scatena tra austere e vetuste mura inglesi quando l'americana Larita, una bionda e conturbante Jessica Biel, appassionata di corse automobilistiche, raggiunge la famiglia del recente sposino e soprattutto fronteggia la suocera Mrs. Whittaker, una nevrotica e integerrima Kristin Scott Thomas. Innesca irresistibili sorrisi il vorticare di battute scandite con teatrale puntualità e se pure è assente qualsiasi tipo di esigenza etica, la commedia, sofisticata appunto, ha sempre felicemente il sopravvento. Anche se il pensiero corre, ancora una volta, ai girotondi e alle debolezze di una società: è un macigno il peso della guerra appena passata, spensieratamente si va incontro a quella futura. Tra paillettes, mimose, champagne, grammofoni e quant'altro, di lì a non molto il sorriso di Coward diventerà l'orrore di Levi.



Un convegno a Taormina sulla composizione musicale (da OR)

di Marcello Filotei

Quaranta o cinquanta anni fa sarebbe finita come minimo a male parole. La militanza musicale era un dovere e un compositore che non avesse seguito certi principi veniva considerato alla stregua di un avversario politico, a volte un nemico. Tonalità e serialismo erano branditi come armi contundenti: o di qua o di là. Tutt'altro clima si è respirato al convegno "Le vie del comporre, domani", curato da Michele dall'Ongaro e da Matteo d'Amico nell'ambito del Sinopoli Festival 2008 che si è svolto a Taormina dal 22 al 25 ottobre.
I maggiori compositori italiani si sono dati appuntamento per confrontarsi sui diversi modi di affrontare la professione oggi. Certo qualcuno mancava perché gli impegni sono tanti per un artista in carriera, o forse perché ha preferito non confrontarsi con gli altri, e anche questo è un modo di dire la propria. Sta di fatto che dopo più di due decenni si è tornato a discutere sostanzialmente di due questioni: il modo di fare musica di ognuno e il rapporto del compositore con le istituzioni.
Il primo risultato è stato quello di constatare l'esistenza di un panorama stilistico molto più vario che in passato: la risorsa principale da sfruttare e assieme la questione essenziale da affrontare è quella della molteplicità degli stili. Le nuove generazioni, in particolare, non accettano più una separazione netta tra mondo accademico e tutto quello che gli gira intorno: dal jazz, al rock, dal pop alle espressioni musicali che arrivano da culture anche lontane geograficamente ma accessibili direttamente in un mondo che si fa ogni giorno più piccolo grazie alla rete.
Molti artisti di nuova generazione puntano proprio sulla fusione degli stili, quando non direttamente delle arti. Michele Tadini vuole "sporcarsi le mani" e lo fa soprattutto con l'elettronica che gli consente di mescolare linguaggi diversi senza trascurare i suoni reali: ultima acquisizione il tostapane che gli ha indicato Salvatore Sciarrino a colazione. Carlo Boccadoro è l'unico a dichiararsi musicista militante, che si propone cioè di "migliorare un po' le cose nel posto dove si trova", e anche Nicola Campogrande si inserisce in questa teoria di artisti che considerano superata ogni contrapposizione tra linguaggi.
Le potenzialità sono enormi, i pericoli pure. In primo luogo quello di non essere in grado di distinguere in base alla qualità. Il rischio principale - secondo Stefano Gervasoni, che insegna al Conservatorio superiore di Parigi, in un paese in cui la musica sembra avere maggiore considerazione che in Italia - è che il marketing sostituisca la discussione estetica. Se l'arte diventa un grande supermercato, insomma, bisogna saper leggere l'etichetta o si rischiano indigestioni.
Proprio la reale conoscenza di diverse realtà espressive e la possibilità di un utilizzo non didascalico di materiale proveniente da tradizioni culturali dal dna diverso da quello occidentale è stato uno dei cardini della discussione. In fondo si tratta sempre di punti di vista: l'uso della microtonalità che in occidente è considerato avanzato nel mondo orientale può essere letto come un ritorno al passato. La latitudine cambia la stessa prospettiva storica: vale la pena di tenerne conto.
Le contaminazioni di moda (da anni) non piacciono a tutti e possono diventare un boomerang, una dichiarazione di impotenza, la ricerca nell'altro di quello che non riusciamo a trovare in noi stessi. "Giocherete dopo all'estinzione", ha sintetizzato Sciarrino citando una frase che, nel film di animazione L'era glaciale, i genitori dicono ad alcuni cuccioli che si attardano a giocare nelle pozzanghere mentre il mondo rischia di scomparire.
Ma dove trovare una chiave espressiva efficace senza banalizzare il linguaggio? Nei diversi livelli di lettura che la musica ha sempre avuto, propone Alessandro Solbiati, che comunque resta convinto che comunque non si potrà arrivare al grande pubblico. Certo Brahms riusciva a scrivere un tema che trascinava le folle, incastrandolo sopra a un tessuto complesso e ricco di spunti capaci di catturare l'attenzione dell'orecchio esperto. Forse si può ancora fare. È una delle strade indicate. Un'altra, non in contrasto, è quella di Claudio Ambrosini, che cerca l'universale nel locale utilizzando le risorse culturali del suo territorio. Il vantaggio, nel suo caso, è essere nati nella Venezia dei Gabrieli, e poi di Maderna e di Nono. Luca Lombardi ama affidarsi agli esecutori: "perché una musica che pretende solo di essere eseguita con precisione e non interpretata rimane sterile". Luca Mosca la butta sul comico: una delle poche cose serie della vita. Ormai "scrivo solo operine buffe", traendo ispirazione tra l'altro dalle colonne sonore dei cartoni animati, ricchissime di caratterizzazione ritmica dei personaggi.
Molto meno disposto al sorriso sembra Marco Tutino, che alla carriera di compositore ha affiancato quella di sovrintendente e direttore artistico del Teatro comunale di Bologna. Perché? Perché "amo il potere", quello di poter fare le cose, precisa. I suoi interessi sono molto legati all'opera lirica e il "le regole ci sono": se la chiami opera "deve essere scritta secondo i criteri dell'opera, l'Elisir d'amore è un ottimo esempio. Se usi un linguaggio diverso è probabile che venga eseguita male o per niente: decidete voi".
Ma che cerca un compositore quando scrive, un riscontro immediato di pubblico o qualcosa che lo soddisfi. L'eterno dilemma rimane: successo o immortalità? Nicola Piovani, per quanto lo riguarda, l'ha risolto: "ci sono molti modi di fare musica, tutti legittimi. La mia si brucia nell'atto dell'esecuzione, non cerco la scintilla d'eternità".
A Taormina sono state dunque indicate strade differenti, obiettivi diversi, ma vissuti con una vocazione alla complementarietà piuttosto che all'esclusione. Si sono intraviste traiettorie trasversali, che mettono in contatto anche artisti esteticamente lontanissimi tra loro. Risposte definitive non erano richieste, né ipotizzabili e nessuno ha tentato di darle. Tenere conto di tutto quello che accade nella musica è un dovere, sintetizzare diversi linguaggi una possibilità, trovare una strada originale un lusso di pochi: qualche screzio magari c'è ancora, ma alla fine si salutavano tutti.

Il magistero di Pio XII e la comunicazione - di Philippe Levillain (fonte OR 3-4-nov. 2008)

Il 3 novembre presso il Braccio di Carlo Magno in Vaticano è stata presentata in anteprima la mostra "Pio XII. L'uomo e il pontificato" che sarà aperta dal 4 novembre al 6 gennaio. Ha introdotto l'incontro con i giornalisti monsignor Walter Brandmüller, presidente del Pontificio Comitato di Scienze Storiche che ha organizzato la mostra. A illustrare temi e contenuti dell'esposizione, moderati da don Cosimo Semeraro, segretario del comitato, sono intervenuti Giovanni Morello, Andrea Tornielli, Matteo Luigi Napolitano e Philippe Chenaux. Pubblichiamo stralci di uno degli articoli del catalogo (Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2008, pagine 237, euro 24).

di Philippe Levillain

Il 12 febbraio 1931, il cardinale Pacelli, segretario di Stato da appena un anno, assistette all'invio del primo radiomessaggio di Pio xi. Poté costatare subito che il Sommo Pontefice si serviva sempre più di frequente di quello strumento, potendo contare sull'accresciuta regolare potenza della stazione emittente, munita a partire del 1938 di due antenne direzionali con dieci frequenze. Ciò avvenne a tre riprese, in occasione dei Congressi eucaristici internazionali e nazionali, e una volta per celebrare la festa di san Michele (radiomessaggio Mentre milioni diretto a tutti i cattolici e al mondo intero il 29 settembre 1938). Tutti questi interventi destinati a Budapest, a Québec o agli Stati Uniti erano fatti in italiano.
L'annuncio della scelta del conclave in favore del cardinale Pacelli del 2 marzo 1939 fu ritrasmesso in diretta dalla Radio Vaticana, e la prima benedizione apostolica di Pio XII fu commentata in nove lingue. Il giorno successivo alla sua elezione, il 3 marzo 1939, il Papa si servì per la prima volta della trasmissione radiofonica su onde corte. La Dum gravissimum comunicava a credenti e a non credenti la supplica che il Sommo Pontefice rivolgeva a Dio per la salvaguardia della pace. Pio XII ricordava che Pio xi aveva offerto la vita a sostegno della sua personale preghiera. Il tono del messaggio era segnato da una gravità iscritta nel generale clima di inquietudine. Ma il riferimento al suo predecessore consolidava l'ardente vigilanza del Santo Padre. È l'appello di un Papa che ci voleva.
Lungo l'intero arco della seconda guerra mondiale Pio XII si presentò, attraverso tutti i suoi radiomessaggi, come un padre sollecito delle famiglie (padri, madri, fanciulli, anziani), collocandosi al centro anche della vita sociale e economica annientata dalla guerra. La configurazione dei radiomessaggi si consolidò col tempo. Nel marzo del 1939, Pio XII è vigilante e riservato. Al riguardo la sua situazione è differente rispetto a quella di Benedetto xv, che nel suo Discorso concistoriale dell'8 settembre 1914, all'atto di manifestare anch'egli la sua supplica a Dio e di ricordare, inoltre, quella del suo predecessore Pio x, denunciava con vigore l'abisso in cui gli scontri, crescenti dopo il 18 luglio 1914, conducevano l'umanità e il mondo.
L'inflessione dei radiomessaggi verso l'angoscia e verso la speranza di un influsso morale e spirituale, collocando la croce al centro della supplica, si rivela bruscamente nel radiomessaggio del 24 agosto 1939, il giorno successivo alla firma del Patto tedesco-sovietico. Pio XII percepì senza illusione che esso apriva a Hitler il campo di battaglia europeo. "Un'ora grave, disse il Papa, suona nuovamente per la grande famiglia umana". L'appello insiste sulla paternità spirituale del Vicario di Cristo, che invoca la ragione in vista del trionfo della giustizia e una teologia morale dell'azione politica: "La politica emancipata dalla morale tradisce quelli stessi che così la vogliono". "Imminente è il pericolo, ma è ancora tempo".
Il richiamo a un successo sempre possibile del negoziato è compiuto nel tentativo di introdursi nei cuori mediante l'evocazione di mali individuali e collettivi ineluttabili: "Noi li supplichiamo per il sangue di Cristo, la cui forza vincitrice del mondo fu la mansuetudine nella vita e nella morte. E supplicandoli, sappiamo e sentiamo di aver con Noi tutti i retti di cuore; tutti quelli che hanno fame e sete di Giustizia - tutti quelli che soffrono già, per i mali della vita, ogni dolore. Abbiamo con Noi il cuore delle madri, che batte col Nostro; i padri, che dovrebbero abbandonare le loro famiglie; gli umili, che lavorano e non sanno; gli innocenti, su cui pesa la tremenda minaccia; i giovani, cavalieri generosi dei più puri e nobili ideali. Ed è con Noi l'anima di questa vecchia Europa, che fu opera della fede e del genio cristiano. Con Noi l'umanità intera, che aspetta giustizia, pane, libertà, non ferro che uccide e distrugge. Con Noi quel Cristo, che dell'amore fraterno ha fatto il Suo comandamento, fondamentale, solenne; la sostanza della sua Religione, la promessa della salute per gli individui e per le Nazioni".
Occorre ricordare che l'esercizio del magistero della parola non ha niente di incantatorio e che la Santa Sede segue una linea diplomatica attiva. I radiomessaggi, diffusi in quattro lingue (italiano, tedesco, francese e inglese) conferiscono alla sua attività una credibilità inimmaginabile sino ad allora: quella di un'opinione pubblica risvegliata dall'ascolto diretto della voce del Papa.
Molto presto, scoppiata la guerra, il regime nazista interviene per troncare gli interventi del Pontefice. Ma le stesse possibilità offerte alla voce del Papa di trovare ascolto in altri Paesi accrescono oltremodo l'influenza che la Santa Sede può giocare nel disordine politico e diplomatico generato dal furore espansionista di Hitler, dato che il Patto tedesco-sovietico prevedeva lo smembramento della Polonia. Nell'assillo della guerra segnata da devastazioni troppo prevedibili, la diplomazia vaticana esercitò delle pressioni sul governo polacco perché facesse delle concessioni territoriali. L'ambasciatore della Francia presso la Santa Sede, come riferisce Chenaux, espresse l'augurio "di una parola o di un gesto pubblico in favore della nazione cattolica minacciata". Gli venne risposto che il Papa aveva già parlato - il radiomessaggio del 24 agosto - e che nel Reich era in gioco la sorte di quaranta milioni di cattolici.
Si tocca qui uno dei paradossi dell'intervento della voce del Sommo Pontefice nella vita internazionale: il potere di amplificare il magistero mediante la parola generò progressivamente il dovere della parola, che colpisce più della lettura di un'enciclica e di un'esortazione apostolica. La grande difficoltà di Pio XII di fronte alle facoltà straordinarie che gli conferiva la radio consistette nell'equilibrare gli sforzi diplomatici della Santa Sede con il supporto circostanziato del messaggio della pace e dell'amore proprio della Chiesa cattolica e del ministero del Pontefice.
In termini di magistero, per l'immagine della Santa Sede durante la guerra, e più precisamente nell'evoluzione della seconda guerra mondiale, non fu tanto evidente come lo è oggi che esso non disponeva di alcuna arma prescrittiva e che il suo potere di giudizio era isolato perché distaccato dall'ordine del sapere. D'altra parte, l'azione della Santa Sede non era priva di campi in cui esprimersi.
Fu appunto il caso dei prigionieri di guerra (situazione cui Pio XII pensò dal 1939, preoccupandosi della famiglia), l'area degli aiuti materiali e della raccolta di certe informazioni. Se l'anno 1939 fu quello di una strana guerra con l'invasione della Polonia il settembre 1939, su cui la Santa Sede non si espresse, l'anno 1940 spinse Pio XII ad alzare la voce. Così si concateneranno i "radiomessaggi sovversivi", per riprendere l'espressione di Andrea Tornielli, diffusi regolarmente alla vigilia di Natale a partire dal 1940 e dei quali il più celebre è quello del 24 dicembre 1942. Essi svilupperanno gradualmente la teologia politica del Sommo Pontefice nel contesto di un conflitto, nel quale tutte le parti impegnate volevano che il loro sforzo aprisse un nuovo ordine. Pio XII disponeva di una saggia competenza giuridica che gli assicurava le prospettive pratiche della teologia morale, fondanti la giustizia e la carità. Sviluppò chiaramente questo punto di vista aperto al futuro attinente il necessario ricorso alla voce della Chiesa.
"Il 24 dicembre 1940 - scrive Tornielli - il Papa rivolge un importante discorso al collegio cardinalizio e alla Curia romana, chiedendo al mondo di ascoltare la voce della Chiesa. Solo così "l'intera umanità, come ciascuna Nazione in particolare, uscirà dall'odierna dolorosa e sanguinosa scuola più saggia, sperimentata e matura; saprà distinguere con limpidi occhi la verità dall'apparenza ingannatrice; e aprirà e tenderà l'orecchio alla voce della ragione, piacevole o meno, e lo chiuderà alla vuota retorica dell'errore; si formerà un convincimento della realtà, che prenderà sul serio l'attuazione del diritto e della giustizia, non solo quando si tratterà di esigere l'adempimento delle proprie ma anche quando si dovranno soddisfare le giuste richieste altrui"".
Nuovo ordine. Occorre rilevare che a differenza di Benedetto xv, nel sottolineare tale formula, Pio XII accetta implicitamente la guerra e malgrado i suoi sforzi più o meno costruttivi dei primi mesi, le assegna questo scopo politico e insieme spirituale. Denunciando la forza e l'uso della violenza per imbavagliare ogni concezione d'una verità diversa dalla propria sovranità, il Sommo Pontefice si colloca necessariamente dalla parte degli Stati guidati dalla libertà - leggiamo: i democratici - mentre domanda agli altri di sottoscriverla, di convertirsi, perché è l'unico esito della vittoria.
Il radiomessaggio del Natale 1942 è il più celebre inviato da Pio XII; lo lesse ai suoi stretti collaboratori prima di pronunciarlo. "Con sempre nuova freschezza indirizzato a tutti i popoli del mondo" - popoli e non nazioni - è il testo più lungo, più articolato, più biblico e più pragmatico di tutti quelli redatti e pronunciati da Pio XII in tale tragica sequenza della storia del mondo.
Le prime parole rimangono ancora oggi stupende: "Nuova freschezza di letizia e di pietà". Il ritorno al Natale come luce "in mezzo alle tenebre" è rapportato al Verbo e al suo messaggero. Il Sommo Pontefice contempla la storia sub specie Veritatis et Aeternitatis.
"Il motto Misereor super turbam è per Noi una consegna sacra, inviolabile, valida e impellente in tutti i tempi e in tutte le situazioni umane, com'era la divisa di Gesù; e la Chiesa rinnegherebbe se stessa, cessando di essere madre, se si rendesse sorda al grido angoscioso e filiale, che tutte le classi dell'umanità fanno arrivare al suo orecchio. Essa non intende di prender partito per l'una o l'altra delle forme particolari e concrete, con le quali singoli popoli e Stati tendono a risolvere i problemi giganteschi dell'assetto interno e della collaborazione internazionale, quando esse rispettano la legge divina; ma d'altra parte, "colonna e base della verità" (1Timoteo, 3, 15) e custode, per volontà di Dio e per missione di Cristo, dell'ordine naturale e soprannaturale, la Chiesa non può rinunziare a proclamare davanti ai suoi figli e davanti all'universo intero le inconcusse fondamentali norme, preservandole da ogni travolgimento, caligine, inquinamento, falsa interpretazione ed errore; tanto più che dalla loro osservanza, e non semplicemente dallo sforzo di una volontà nobile e ardimentosa, dipende la fermezza finale di qualsiasi nuovo ordine nazionale e internazionale, invocato con cocente anelito da tutti i popoli. Popoli, di cui conosciamo le doti di valore e di sacrificio, ma anche le angustie e i dolori, e ai quali tutti, senza alcuna eccezione, in quest'ora d'indicibili prove e contrasti, Ci sentiamo legati da profondo e imparziale e imperturbabile amore e da immensa brama di portare loro ogni sollievo e soccorso che in qualsiasi modo sia in Nostro potere".
La costruzione del radiomessaggio è paragonabile a quella di una cattedrale, il cui centro (l'altare) e la cui guglia impongono una duplice visione, quella della Parola legata all'Eucaristia e quella dell'elevazione tramite la Parola legata alla Speranza. Con audacia Pio XII fa riferimento a "Iddio prima causa ed ultimo fondamento della vita individuale e sociale" prima di parlare di guerra, così come la considera la Santa Sede, e di descrivere "l'Ordinamento giuridico della società e i suoi scopi", nell'anno più nero della Seconda Guerra mondiale.
"Chi consideri con occhio limpido e penetrante la vitale connessione tra genuino ordine sociale e genuino ordinamento giuridico, e tenga presente che l'unità interna nella sua multiformità dipende dal predominio di forze spirituali, dal rispetto della dignità umana in sé e negli altri, dall'amore alla società e agli scopi da Dio ad essa segnati, non può meravigliarsi sui tristi effetti di concezioni giuridiche, le quali, allontanatesi dalla via regale della verità, procedono sul terreno labile di postulati materialistici; ma scorgerà subito la improrogabile necessità di un ritorno ad una concezione spirituale ed etica, seria e profonda, riscaldata dal calore di vera umanità e illuminata dallo splendore della fede cristiana, la quale fa mirare nell'ordinamento giuridico una rifrazione esterna dell'ordine sociale, voluto da Dio, luminoso frutto dello spirito umano, anch'esso immagine dello spirito di Dio. Su questa concezione organica, la sola vitale, in che la più nobile umanità e il più genuino spirito cristiano fioriscono in armonia, sta scolpita la sentenza della Scrittura, illustrata dal grande Aquinate: Opus iustitiae pax, che si applica così al lato interno, come al lato esterno della vita sociale. Essa non ammette né contrasto, né alternativa: amore o diritto, ma la sintesi feconda: amore e diritto".
Questo radiomessaggio è rimasto nella storia perché il suo assillo non ha raggiunto le considerazioni, ricostruite dopo la seconda guerra mondiale in virtù d'una strana storiografia della speranza delusa. Il rimprovero emerge nel contesto degli anni 1960 - nonostante il Vaticano ii e la dichiarazione Nostra aetate sulle religioni non cristiane - denunciando nel messaggio di Pio XII troppi sottintesi quanto al suo commento di fronte alle atrocità sociali. L'espressione del voto si snoda come in un rosario. Nel film Amen realizzato da Costa Gavras nel 2002 - ispirato alla pièce teatrale Il Vicario di Hochhuth - don Fontana chiude la radio e non ascolta il radiomessaggio del 1942.



Per conoscere il pontefice e l'uomo


Lasciando la Germania nel 1929, il neocardinale Eugenio Pacelli tornò ad abitare a Roma nella casa costruita dal fratello in via Boezio. Qui rimase alcuni mesi anche dopo la nomina a segretario di Stato. Trasferitosi nel palazzo apostolico, Pacelli lasciò a casa tutte le carte personali che lo riguardavano: minute, lettere al fratello Francesco e ai familiari, fotografie ricordi. Alcuni di questi documenti, tratti dall'archivio privato della famiglia Pacelli, fanno parte della mostra allestita al Braccio di Carlo Magno.
Obiettivo degli organizzatori e dei curatori è stato infatti quello di restituire ai visitatori non solo il Pacelli ufficiale, ma il suo intero percorso di vita dall'infanzia alla morte, andando a scandagliare anche gli aspetti meno conosciuti del personaggio.
L'esposizione è articolata in nove sezioni. Inizia con una finestra aperta sull'ambiente familiare del piccolo Eugenio Pacelli, sulla sua casa e sulle scuole da lui frequentate. È uno sguardo gettato anche sulla Roma di Leone XIII e giunge fino all'ordinazione sacerdotale del 2 aprile 1899.
Da qui si dipana la carriera ecclesiastica di Pacelli con le sezioni dedicate alla sua attività diplomatica, alla Segreteria di Stato, ai suoi viaggi internazionali.
Gli anni del pontificato sono scanditi dai grandi temi che ancora oggi richiamano l'attenzione degli storici: la seconda guerra mondiale e la difesa della pace, l'attività in favore dei prigionieri di guerra, il sapiente e lungimirante uso dei radiomessaggi come mezzo di comunicazione del suo magistero. Attenzione speciale, naturalmente al Defensor civitatis e alla sua opera di aiuto agli ebrei perseguitati dal nazismo, ma anche a quanto Pio XII si adoperò per salvare le opere d'arte dalle distruzioni dei bombardamenti.
Le ultime sezioni sono dedicate al dopoguerra, agli anni della guerra fredda, alla Chiesa del silenzio, alla costruzione dell'Europa. Anni in cui il pontificato di Pio XII ha mostrato una lungimiranza troppo spesso ignorata.
Fotografie, oggetti personali, opere d'arte, documenti, scandiscono l'intero itinerario che porta fino alla morte il 9 ottobre 1958 e al ricordo riconoscente che di lui ebbe l'intera comunità internazionale.



Il vero volto di Papa Pacelli


Il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato, ha voluto dare la sua adesione con una lettera - pubblicata integralmente nel catalogo - della quale riportiamo i passi principali: "In occasione dei cinquant'anni dalla morte di Pio XII sono state promosse diverse iniziative tese a richiamare, sotto molteplici punti di vista, la memoria di questo grande Pontefice. Tra le tante manifestazioni assume particolare rilievo la mostra "Pio XII: l'uomo e il pontificato", organizzata dal Pontificio Comitato di Scienze Storiche con l'intento di ricostruire, grazie al supporto di immagini, documenti e vari oggetti, il percorso umano e spirituale di Papa Pacelli. Dalla sua nascita nella Roma di Pio ix, alla sua formazione umana e religiosa che coincide con la fine del xix secolo; all'avvio del suo servizio nella Segreteria di Stato agli inizi del Novecento, con la rapida progressione di ruoli che ebbe ad assumere nella diplomazia pontificia, sino alla missione di Nunzio Apostolico a Monaco di Baviera, poi a Berlino. Quindi la nomina a segretario di Stato di Papa Pio xi e, infine, la sua elezione al Soglio Pontificio.
Nell'allestire l'esposizione si è cercato di far emergere i diversi aspetti che segnano la personalità di questo Papa. Non solo la sua ieratica immagine ufficiale, consegnata agli archivi della storia, ma qualcosa di più singolare e profondo, anzi, si potrebbe dire, qualcosa di più completo che ne evidenzi la vera personalità, e cioè quel suo vero volto che poterono apprezzare coloro che lo conobbero direttamente e con lui ebbero la fortuna di collaborare. Si tratta insomma di un percorso espositivo che mira a far luce appieno sul carattere, a percepire in profondità i suoi sentimenti e il modo con cui espletava gli alti incarichi che successivamente ricoprì nel corso della sua lunga esistenza. Tutto ciò grazie al contributo di immagini inedite o poco conosciute, come pure di suoi scritti di carattere sia personale che ufficiale. La mostra contribuisce così a far meglio conoscere un Pontefice che a giusto titolo va annoverato tra i più grandi personaggi del xx secolo. (...) Formulo l'auspicio che anche questa iniziativa serva a far apprezzare, specialmente alle nuove generazioni, la straordinaria figura di questo Papa, che seppe preparare, con profetica intuizione dei segni dei tempi, il cammino della Chiesa nell'epoca contemporanea".



Nessuna apologetica ma solo verità storica


"Attraverso la mostra commemorativa in occasione del cinquantesimo anniversario della sua morte vogliamo mettere in dovuta evidenza la persona e l'operato di Eugenio Pacelli-Pio XII su esplicita richiesta di Papa Benedetto XVI. Questa iniziativa ci è parsa tanto più opportuna in quanto a partire dall'anno 1963 - con la messa in scena del dramma teatrale Il Vicario di Rolf Hochhuth - venne scatenata una campagna diffamatoria ben orchestrata contro la memoria del pontefice". Con queste parole ha introdotto il suo intervento monsignor Walter Brandmüller, presidente del Pontificio Comitato di Scienze Storiche, che ha aperto la presentazione in anteprima alla stampa della mostra al Braccio di Carlo Magno.
"Il cinquantesimo anniversario della morte di Pio XII - ha continuato Brandmüller - ha motivato il Pontificio Comitato a rendere giustizia a un grande Papa che già in vita godeva dell'ammirazione dei contemporanei indipendentemente dalle loro convinzioni religiose. Ciò non significa fare apologetica. Basta piuttosto far conoscere la verità storica, poiché le accuse lanciate contro Papa Pacelli non possono richiamarsi alla seria ricerca storica, la quale in modo sempre più convincente ne dimostra l'infondatezza. Dare il proprio contributo a quel ripensamento in corso per noi non significa soltanto rispondere alle richieste di una storiografia priva di pregiudizi, ma anche esprimere doverosa riconoscenza a Pio XII, che - lungimirante - nel 1954 creò il "suo" Comitato Storico".
Dopo aver ringraziato il curatore della mostra, Giovanni Morello, i curatori del catalogo, lo stesso Morello, Philippe Chenaux e Massimiliano Valente, e quanti hanno contribuito alla realizzazione della esposizione, monsignor Brandmüller ha annunciato che, significativamente, la mostra sarà allestita, nei primi mesi del 2009, anche a Berlino e Monaco, dove il nunzio Pacelli svolse la sua attività di diplomatico pontificio.
"È la nostra speranza - ha concluso - che la mostra "Pio XII. L'uomo e il pontificato" possa illustrare non soltanto la grande importanza storica di Papa Pacelli, ma in generale la dimensione spirituale, anzi soprannaturale del pontificato Romano".

domenica 2 novembre 2008

L'OSSERVATORE ROMANO Edizione quotidiana 1 novembre 2008

Creazionismo ed evoluzionismo

Non solo conciliabilità ma armonia




di Fiorenzo Facchini

Nel 2009 le celebrazioni galileiane per l'anno dedicato all'astronomia e gli anniversari darwiniani - bicentenario della nascita di Charles Darwin e centocinquantesimo della pubblicazione di Le origini delle specie - offriranno occasione di riprendere i grandi temi della evoluzione dell'universo e della vita nel quadro dei rapporti tra scienza e fede.

Le origini dell'universo interpellano cosmologi, filosofi e teologi. Il tema riguarda anche i cambiamenti che si sono susseguiti, dagli inizi fino al presente, e quelli prevedibili per il futuro. Le origini della vita sulla terra, e i processi che si svilupparono fino alla comparsa dell'uomo, interessano pure scienziati, filosofi e teologi sotto diversi profili. Si tratta di tematiche complesse che richiedono prospettive distinte, ma complementari.


Un rischio che si corre, ed è alla origine di tante incomprensioni e conflitti, è la pretesa di rispondere a tutte le domande che si pongono utilizzando unicamente le proprie particolari metodologie ed escludendo altri orizzonti, facendo così assumere al proprio punto di vista un carattere totalizzante. A volte non c'è una esclusione esplicita, ma di fatto non vengono considerate o vengono ritenute superflue altre posizioni. In questo modo si compie un'autolimitazione nella sfera della conoscenza. Ciò si verifica anche quando sia scienziati che filosofi dichiarano di non volersi occupare di questioni di senso o di significato.


Spesso l'evoluzione e la creazione vengono considerati come poli contrapposti. Ma sulla loro conciliabilità si registrano numerosi interventi degli ultimi Papi, che riguardano affermazioni di principio sul significato della creazione, sul rapporto di tutta la realtà, anche nei suoi processi evolutivi, con il Creatore secondo un suo disegno, e sulla dimensione spirituale dell'uomo, lasciando aperto il campo delle modalità agli approfondimenti e alle interpretazioni degli studiosi. Di fatto le posizioni, sia in campo cattolico che fuori, sono piuttosto diverse.


Una, che si ricollega a un atteggiamento largamente presente nel mondo scientifico e nel mondo religioso dell'Ottocento, e spesso riemerge, è quella del conflitto. Da una parte si assiste al rifiuto della dimensione trascendente e alla pretesa di spiegare tutta la realtà con le conquiste della scienza, come avviene nel naturalismo darwiniano. Secondo alcuni il darwinismo emancipa la natura dall'ipotesi-Dio, di cui non c'è più bisogno. È una estensione della visione evolutiva non richiesta dalla teoria evolutiva, neppure nella versione darwiniana; essa assume i connotati di una ideologia e come tale va considerata:  non come scienza.


Dall'altra parte si registra la difesa a oltranza della creazione secondo l'interpretazione letterale dei primi capitoli della Genesi, oppure, per affermare il principio della creazione, vengono contestate le vedute evoluzionistiche della scienza. Questa contrapposizione non è risolta, ma anzi sembra alimentarsi delle recenti proposte della teoria dell'Intelligent Design, importata dagli Stati Uniti che vuole mettere insieme sia l'idea di creazione e sia quella di evoluzione; ma in modo improprio. Ci sarebbe un disegno intelligente dietro tutta l'evoluzione della vita. Per spiegare strutture considerate irriducibilmente complesse che si formano nel corso evolutivo si ricorre a specifici interventi di una causa esterna. Così viene vista in qualche ambiente cattolico la conciliabilità tra scienza e fede in ordine all'evoluzione attraverso interventi particolari volti a realizzare un disegno. Come osservato in altra occasione, anche su queste colonne, la conciliabilità non dovrebbe basarsi su ipotesi fuorvianti, non fondate scientificamente, che prestano il fianco a nuove polemiche. Si rinnovano infatti le accuse di indebita intromissione da parte della religione. Si agitano fantasmi di nuovi dogmi e così via. Certo, un disegno sulla creazione viene affermato nella dottrina della Chiesa, ma non agganciamolo alla teoria americana dell'Intelligent Design creando nuovi equivoci. Non ce n'è bisogno. Come si sia realizzato questo disegno è oggetto di riflessione, ma senza mescolare indebitamente i piani di conoscenza. Esso va visto in quella autonomia che Dio lascia alla natura e ha ancora tanti aspetti da scoprire. Possono esservi potenzialità che ancora non conosciamo e vanno esplorate dalla scienza e dalla filosofia. Alcuni parlano di evoluzione canalizzata - per quali fattori? Diverso è il caso dell'uomo per il quale la presenza dello spirito, ai suoi inizi, come in ogni generazione, comporta una concausalità di ordine superiore. Ciò non per spiegare la complessità della struttura biologica umana, ma per ragioni di ordine ontologico. Il discorso è complesso, perché mette in relazione ambiti diversi.


Ma a parte queste considerazioni, lo scontro fra evoluzionisti e creazionisti ad oltranza non giova al dialogo. Esso si alimenta di argomentazioni di tipo totalizzante e non aiuta nella ricerca della verità. A volte degrada nella derisione e nel disprezzo.


Perché il dibattito non assuma il carattere di scontro diventa importante che ciascuno riconosca l'ambito specifico in cui intende muoversi ed espliciti le sue posizioni che possono includere elementi di ordine scientifico e argomentazioni di ordine filosofico o teologico.


Un'altra posizione sul tema evoluzione e creazione è quella che vede nelle vedute della scienza e in quelle della fede due ambiti ben distinti e non comunicanti, due magisteri indipendenti, come affermava Stephen Gould, ognuno con le sue verità. Una posizione rispettosa, ma poco dialogante, avvicinabile a un dialogo tra sordi. Questa posizione non aiuta una fede pensata e può favorire atteggiamenti fideistici.


Una terza posizione è quella che, nel rispetto delle autonomie di campo e di metodo, ammette e cerca punti di contatto sia nella necessaria mediazione filosofica, per quanto attiene i principi della logica, sia cercando di allargare gli orizzonti della conoscenza sulla base di istanze che possono venire dallo studio della natura. Mi sembra che vada in questa direzione l'appello che Benedetto XVI raccoglie dalla razionalità della natura - nei giorni scorsi ha parlato di "intelligibilità della creazione" - verso una mente superiore. Questa apertura si accorda con la necessità di un sapere unitario della persona e di una visione della realtà che non si chiuda nell'unico orizzonte delle scienze positive. Ciò per rispondere alle diverse domande, specialmente a quelle di significato, che sorgono dalla realtà. Si può ricercare un'armonia che si riallaccia alla forza della verità, un compito arduo, ma non impossibile alla mente umana tenendo conto dei diversi approcci conoscitivi.


In questa direzione vanno alcune vedute a carattere più filosofico. Pierre Teilhard de Chardin parla di energia radiale o psichica che muove la materia verso strutture via via più complesse. Jean Guitton ammette una tendenza della materia a organizzarsi per andare verso stati più ordinati e complessi. Francisco J. Ayala ritiene che anche attraverso eventi casuali possa realizzarsi di fatto un disegno. Francis Collins pensa al "BioLogos", in cui Dio, che è fuori dallo spazio e dal tempo, usa il processo della evoluzione per trarne un piano creativo. Diventa importante la mediazione filosofica in ordine alla causalità efficiente e alla causa finale dell'evoluzione - a partire dalla teleologia interna a livello di strutture o teleonomia, secondo Jacques Monod - come pure per la spiegazione del carattere trascendente dell'uomo.


L'intento del dialogo dovrebbe essere quello di arrivare a una composizione armonica delle conoscenze. Se "le realtà profane e le realtà della fede hanno origine dal medesimo Iddio", come sottolinea il Vaticano ii (Lumen gentium, 36), dovranno esserci punti di contatto e insieme rimanderanno alla loro fonte. L'evoluzione può diventare terreno di incontro tra scienza e fede. Non solo conciliabilità, ma complementarità e armonia.






(©L'Osservatore Romano - 1 novembre 2008)


sabato 1 novembre 2008

Il testo del discorso tenuto ieri dal Papa su fede e scienza

Benedetto XVI all'assemblea plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze

Non c'è opposizione
tra fede nella creazione e scienza


Non c'è opposizione tra la comprensione di fede della creazione" e "la prova delle scienze empiriche". Lo ha ribadito Benedetto XVI nel discorso rivolto ai partecipanti alla plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze, ricevuti in udienza nella mattina di venerdì 31 ottobre, nella Sala Clementina.

Distinguished Ladies and Gentlemen,
I am happy to greet you, the members of the Pontifical Academy of Sciences, on the occasion of your Plenary Assembly, and I thank Professor Nicola Cabibbo for the words he has kindly addressed to me on your behalf.
In choosing the topic Scientific Insight into the Evolution of the Universe and of Life, you seek to focus on an area of enquiry which elicits much interest. In fact, many of our contemporaries today wish to reflect upon the ultimate origin of beings, their cause and their end, and the meaning of human history and the universe.
In this context, questions concerning the relationship between science's reading of the world and the reading offered by Christian Revelation naturally arise. My predecessors Pope Pius xii and Pope John Paul ii noted that there is no opposition between faith's understanding of creation and the evidence of the empirical sciences. Philosophy in its early stages had proposed images to explain the origin of the cosmos on the basis of one or more elements of the material world. This genesis was not seen as a creation, but rather a mutation or transformation; it involved a somewhat horizontal interpretation of the origin of the world. A decisive advance in understanding the origin of the cosmos was the consideration of being qua being and the concern of metaphysics with the most basic question of the first or transcendent origin of participated being. In order to develop and evolve, the world must first be, and thus have come from nothing into being. It must be created, in other words, by the first Being who is such by essence.
To state that the foundation of the cosmos and its developments is the provident wisdom of the Creator is not to say that creation has only to do with the beginning of the history of the world and of life. It implies, rather, that the Creator founds these developments and supports them, underpins them and sustains them continuously. Thomas Aquinas taught that the notion of creation must transcend the horizontal origin of the unfolding of events, which is history, and consequently all our purely naturalistic ways of thinking and speaking about the evolution of the world. Thomas observed that creation is neither a movement nor a mutation. It is instead the foundational and continuing relationship that links the creature to the Creator, for he is the cause of every being and all becoming (cf. Summa Theologiae, I, q. 45, a. 3).
To "evolve" literally means "to unroll a scroll", that is, to read a book. The imagery of nature as a book has its roots in Christianity and has been held dear by many scientists. Galileo saw nature as a book whose author is God in the same way that Scripture has God as its author. It is a book whose history, whose evolution, whose "writing" and meaning, we "read" according to the different approaches of the sciences, while all the time presupposing the foundational presence of the author who has wished to reveal himself therein. This image also helps us to understand that the world, far from originating out of chaos, resembles an ordered book; it is a cosmos. Notwithstanding elements of the irrational, chaotic and the destructive in the long processes of change in the cosmos, matter as such is "legible". It has an inbuilt "mathematics". The human mind therefore can engage not only in a "cosmography" studying measurable phenomena but also in a "cosmology" discerning the visible inner logic of the cosmos. We may not at first be able to see the harmony both of the whole and of the relations of the individual parts, or their relationship to the whole. Yet, there always remains a broad range of intelligible events, and the process is rational in that it reveals an order of evident correspondences and undeniable finalities: in the inorganic world, between microstructure and macrostructure; in the organic and animal world, between structure and function; and in the spiritual world, between knowledge of the truth and the aspiration to freedom. Experimental and philosophical inquiry gradually discovers these orders; it perceives them working to maintain themselves in being, defending themselves against imbalances, and overcoming obstacles. And thanks to the natural sciences we have greatly increased our understanding of the uniqueness of humanity's place in the cosmos.
The distinction between a simple living being and a spiritual being that is capax Dei, points to the existence of the intellective soul of a free transcendent subject. Thus the Magisterium of the Church has constantly affirmed that "every spiritual soul is created immediately by God - it is not 'produced' by the parents - and also that it is immortal" (Catechism of the Catholic Church, 366). This points to the distinctiveness of anthropology, and invites exploration of it by modern thought.
Distinguished Academicians, I wish to conclude by recalling the words addressed to you by my predecessor Pope John Paul ii in November 2003: "scientific truth, which is itself a participation in divine Truth, can help philosophy and theology to understand ever more fully the human person and God's Revelation about man, a Revelation that is completed and perfected in Jesus Christ. For this important mutual enrichment in the search for the truth and the benefit of mankind, I am, with the whole Church, profoundly grateful".
Upon you and your families, and all those associated with the work of the Pontifical Academy of Sciences, I cordially invoke God's blessings of wisdom and peace.

La traduzione del discorso del Papa

Illustri signore e signori,
sono lieto di salutare voi, membri della Pontificia Accademia delle Scienze, in occasione della vostra assemblea plenaria, e ringrazio il professor Nicola Cabibbo per le parole che mi ha cortesemente rivolto a vostro nome.
Nella scelta del tema "Comprensione scientifica dell'evoluzione dell'universo e della vita", cercate di concentrarvi su un'area di indagine che solleva grande interesse. Infatti, oggi molti nostri contemporanei desiderano riflettere sull'origine fondamentale degli esseri, sulla loro causa, sul loro fine e sul significato della storia umana e dell'universo.
In questo contesto, è naturale che sorgano questioni relative al rapporto fra la lettura che le scienze fanno del mondo e quella offerta dalla rivelazione cristiana. I miei predecessori Papa Pio xii e Papa Giovanni Paolo ii hanno osservato che non vi è opposizione fra la comprensione di fede della creazione e la prova delle scienze empiriche. Agli inizi la filosofia ha proposto immagini per spiegare l'origine del cosmo sulla base di uno o più elementi del mondo materiale. Questa genesi non era considerata come una creazione, quanto piuttosto come una mutazione o trasformazione. Implicava una interpretazione in qualche modo orizzontale dell'origine del mondo. Un progresso decisivo nella comprensione dell'origine del cosmo è stato la considerazione dell'essere in quanto essere e l'interesse della metafisica per la questione fondamentale dell'origine prima e trascendente dell'essere partecipato. Per svilupparsi ed evolversi il mondo deve prima essere, e quindi essere passato dal nulla all'essere. Deve essere creato, in altre parole, dal primo Essere che è tale per essenza.
Affermare che il fondamento del cosmo e dei suoi sviluppi è la sapienza provvida del Creatore non è dire che la creazione ha a che fare soltanto con l'inizio della storia del mondo e della vita. Ciò implica, piuttosto, che il Creatore fonda questi sviluppi e li sostiene, li fissa e li mantiene costantemente. Tommaso d'Aquino ha insegnato che la nozione di creazione deve trascendere l'origine orizzontale del dispiegamento degli eventi, ossia della storia, e di conseguenza tutti i nostri modi meramente naturalistici di pensare e di parlare dell'evoluzione del mondo. Tommaso ha osservato che la creazione non è né un movimento né una mutazione. È piuttosto il rapporto fondazionale e costante che lega le creature al Creatore poiché Egli è la causa di tutti gli esseri e di tutto il divenire (cfr. Summa theologiae, I, q. 45, a.3).
"Evolvere" significa letteralmente "srotolare un rotolo di pergamena", cioè, leggere un libro. L'immagine della natura come libro ha le sue origini nel cristianesimo ed è rimasta cara a molti scienziati. Galileo vedeva la natura come un libro il cui autore è Dio così come lo è delle Scritture. È un libro la cui storia, la cui evoluzione, la cui "scrittura" e il cui significato "leggiamo" secondo i diversi approcci delle scienze, presupponendo per tutto il tempo la presenza fondamentale dell'autore che vi si è voluto rivelare. Questa immagine ci aiuta a comprendere che il mondo, lungi dall'essere stato originato dal caos, assomiglia a un libro ordinato. È un cosmo. Nonostante elementi irrazionali, caotici e distruttivi nei lunghi processi di cambiamento del cosmo, la materia in quanto tale è "leggibile". Possiede una "matematica" innata. La mente umana, quindi, può impegnarsi non solo in una "cosmografia" che studia fenomeni misurabili, ma anche in una "cosmologia" che discerne la logica interna visibile del cosmo. All'inizio potremmo non riuscire a vedere né l'armonia del tutto né delle relazioni fra le parti individuali né il loro rapporto con il tutto. Tuttavia, resta sempre un'ampia gamma di eventi intellegibili, e il processo è razionale poiché rivela un ordine di corrispondenze evidenti e finalità innegabili: nel mondo inorganico fra microstruttura e macrostruttura, nel mondo animale e organico fra struttura e funzione, e nel mondo spirituale fra conoscenza della verità e aspirazione alla libertà. L'indagine filosofica e sperimentale scopre gradualmente questi ordini. Percepisce che operano per mantenersi in essere, difendendosi dagli squilibri e superando ostacoli. Grazie alle scienze naturali abbiamo molto ampliato la nostra comprensione dell'unicità del posto dell'umanità nel cosmo.
La distinzione fra un semplice essere vivente e un essere spirituale, che è capax Dei, indica l'esistenza dell'anima intellettiva di un libero oggetto trascendente. Quindi, il Magistero della Chiesa ha costantemente affermato che "ogni anima spirituale è creata direttamente da Dio - non è "prodotta" dai genitori - ed è immortale" (Catechismo della Chiesa cattolica, n. 366). Ciò evidenzia gli elementi distintivi dell'antropologia e invita il pensiero moderno ad esplorarli.
Illustri accademici, desidero concludere ricordando le parole che vi rivolse il mio predecessore Papa Giovanni Paolo ii nel novembre del 2003: "Sono sempre più convinto che la verità scientifica, che è di per sé una partecipazione alla Verità divina, possa aiutare la filosofia e la teologia a comprendere sempre più pienamente la persona umana e la Rivelazione di Dio sull'uomo, una rivelazione compiuta e perfezionata in Gesù Cristo. Per questo importante arricchimento reciproco nella ricerca della verità e del bene dell'umanità, io, insieme a tutta la Chiesa, sono profondamente grato".
Su di voi, sulle vostre famiglie e su tutti coloro che sono associati all'opera della Pontificia Accademia delle Scienze invoco di cuore le benedizioni divine di sapienza e di pace.



(©L'Osservatore Romano - 1 novembre 2008)