Per paura di finire nelle liste di proscrizione dei progressisti stiamo accettando, senza battere ciglio, le quotidiane aggressioni ai nostri valori, alla nostra fede, ai nostri principi e per paura di essere apostrofati come bigotti, razzisti, reazionari, fascisti stiamo smettendo di esprimere le nostre opinioni su uno svariato numero di argomenti, dalla scienza alla filosofia, alla politica, alla cultura. Per paura di essere politicamente incorretti non solleviamo legittimi dubbi sul multiculturalismo che sta disperdendo il patrimonio millenario del cristianesimo in ossequio a culture che incitano all’odio, che discriminano in base al sesso e alla religione, che aborrono la democrazia tout-court. Il livello di arroganza, intolleranza e intimidazione dei progressisti ha raggiunto limiti non più tollerabili. Hanno occupato, con scientifica determinazione, gli spazi della società civile, le scuole, le università, i giornali, le televisioni facendone roccaforti della loro ideologia. Hanno elevato a culto lo stato burocratico, lo scientismo e il relativismo culturale nel tentativo di sradicare il cristianesimo che ha plasmato le idee, la conoscenza scientifica, il sistema politico e l’economia dell’intero occidente. Ma la misura non è colma, se non parlate, se non parliamo, se non reagiamo a questa de- costruzione dell’occidente dobbiamo prepararci ad accettare qualsiasi cosa, qualsiasi sopruso, qualsiasi aberrazione e qualsiasi olocausto.
Lo statalismo
Notiamo nell’odierno movimento conservatore momenti di preoccupante appisolamento nei riguardi della straripante espansione dello stato e della sua burocrazia in settori sempre più ampi della nostra società e della nostra vita. Gli statalisti, di destra e di sinistra, hanno imparato la lezione della storia e non sognano più di imporci la loro ideologia con la violenza fisica, il gulag, i carri armati, ma attraverso l’indottrinamento subliminale, il totalitarismo dolce. In questo modo lo stato onnipotente si intromette, impercettibilmente, giorno dopo giorno nella nostra vita privata controllandone i più piccoli dettagli. Qual’è la strategia usata per convincere, noi riottosi, a rifugiarci tra le braccia protettive dello stato? Emergenze reali o immaginarie, quali il riscaldamento terrestre, l’inquinamento, la sovrapopolazione, la disoccupazione, i terremoti e via dicendo. Attraverso ben orchestrate campagne propagandistiche, che si avvalgono di una stampa servile, di scienziati-squillo, di chierici parastatali e della nostra arrendevolezza, ci convincono che sono necessarie misure draconiane per impedire queste imminenti “catastrofi” e che è necessario aumentare le tasse, imporre onerose restrizioni alle attività industriali e commerciali, limitare ulteriormente le nostre libertà e, soprattutto ampliare i poteri di intervento dello stato. Alla fine ci rassegnamo al fatto che i burocrati decidano al posto nostro cosa è buono o no, cosa è giusto o no, cosa è preferibile o no. Nella nostra apatia non ci rendiamo conto del prezzo da pagare a questa resa incondizionata. Se lo stato gestisce la sanità, perché meravigliarsi se questo decide di imporci una dieta contro l’obesità, di sanzionarci se non smettiamo di fumare o di staccare la spina quando ritenga che sia inutile continuare a tenerci in vita? È una questione pratica. Inutile appellarci alle libertà dell’individuo, sono i burocrati che, ora in nome della “prevenzione” ora in nome di una “morte dignitosa”, decidono per noi. E dobbiamo fidarci ciecamente perché la loro è una strada lastricata solo di buone intenzioni. Mirano ad una società composta di individui sani, fisicamente prestanti ed economicamente produttivi e al diavolo i figli indesiderati (aborto), gli handicappati e i malati terminali (eutanasia). A Sparta non avrebbero saputo fare di meglio.
Alexis de Tocqueville metteva sull’avviso, in La democrazia in America, sulla schiavizzazione dell’uomo attraverso i piccoli dettagli della vita. Siamo diventati un popolo assistito, sfamato, curato e accasato da uno stato-balia e non facciamo più caso all’usurpazione di potere di questi politicanti. Scriveva il filosofo inglese C. S. Lewis “Di tutte le tirannie, quella esercitata sinceramente per il bene delle sue vittime è la più oppressiva. Sarebbe meglio vivere sotto baroni rapinatori che sotto onnipotenti ficcanaso moralisti. La crudeltà del barone rapinatore può qualche volta assopirsi, la sua cupidigia ad un certo punto essere sazia, ma quelli che ci tormentano per il nostro bene ci tormentano senza fine e lo fanno in piena coscienza”. Siamo talmente succubi da evitare di porre legittime domande e di esprimere dubbi. Per esempio, sul riscaldamento terrestre. C’è voluta la divulgazione (involontaria o per mano di hackers) delle emails di alcuni scienziati farabutti per scoperchiare la pentola del grande imbroglio. Un imbroglio su cui scienziati, politici, militanti verdi, grandi aziende hanno costruito un business di dimensioni planetarie da far impallidire qualsiasi multinazionale. Facciamo finta di nulla e ci tappiamo occhi, orecchie e bocca di frinte ai disastri provocati dalle criminali politiche ambientaliste. Sono decine, centinaia di milioni le persone del terzo e quarto mondo che sono morte e muoiono, per la proibizione del DDT, per la proibizione dei cibi geneticamente modificati e per la follia dei biocarburanti. Siamo purtroppo facili vittime della fetida propaganda, della disinformazione, del dogmatismo e degli interessi personali di questi fanatici. Diamo per scontata, scientificamente provata, qualsiasi sciocchezza questi individui ci propinano perché il nostro spirito critico si è assopito. Non bastassero le fallimentari esperienze delle poste, delle ferrovie, del sistema pensionistico e della sanità pubblica, continuano a creare a ritmo quotidiano programmi ed enti governativi che intervengono e interferiscono con il libero mercato, creando distorsioni che si ripercuotono di conseguenza sulla libertà personale. Quando poi si vedono gli effetti perversi di questo interventismo, danno la colpa al libero mercato e insistono che ci vogliono più programmi e più agenzie governative. E così all’infinito in una folle corsa verso il harakiri collettivista.
Lo scientismo
Pensavamo che compito della scienza fosse quello di seguire le prove e le evidenze fin dove esse conducono, invece ci accorgiamo che una buona parte degli scienziati cerca semplicemente di trovare le prove che rafforzino le loro convinzioni materialiste e discreditino il pensiero deistico e teologico. Personaggi come il biologo Richard Dawkins, il neuroscienziato Sam Harris, il fisico Steven Weinberg, spalleggiati dal filosofo Daniel Bennet, sono gli esponenti di spicco di questa scuola di pensiero. Secondo costoro la scienza sarebbe il miglior, se non l’unico, strumento per giungere ad una conoscenza credibile e affidabile, mentre le rivendicazioni religiose sarebbero solo il frutto dell’irrazionalità. Gli atei incarnerebbero la classe superiore mentre gli spiriti religiosi sarebbero, per usare le parole di Dawkins, “gente pazza e illusa” che si è inventata un “delinquente psicotico” (Dio). Ergo, gli scienziati “veri”, non possono che professarsi atei. Ma la pia illusione di Dawkins va a schiantarsi sonoramente contro i numeri. A seguire la logica del biologo oxfordiano le recenti scoperte scientifiche avrebbero dovuto rafforzare il partito degli atei, invece, da un’indagine del 1997, risulta che il 45% degli scienziati credono in Dio, il 40% no e il 15% sono incerti. Un risultato che non si discosta di molto da un’indagine simile del 1916 da cui risultò che il 40% degli scienziati credevano in Dio, il 40% no e il 20% erano incerti. A questioni quali “come tutto è iniziato? perché siamo qui? qual’è il senso della vita?”, la scienza non è in grado di dare risposte convincenti mentre lo è la religione che si occupa dei significati ultimi della vita. La scienza si occupa dell’organizzazione e della struttura dell’universo materiale, spiega solamente i fenomeni osservabili che accadono nel mondo. L’economia, la sociologia, le leggi hanno a che fare con fenomeni osservabili ma non spiegano il mondo. Ma sulle questioni trascendentali filosofia, religione, letteratura hanno tutte un posto legittimo nella ricerca umana della verità e del significato della vita. Per di più la concezione puramente materialistica dell’universo, in cui tutto sarebbe materia e in cui la materia sarebbe la sola realtà ultima, si sta sgretolando, proprio in virtù delle scoperte scientifiche. È proprio la scienza, segnatamente la meccanica quantistica, a mettere in dubbio quella che sembrava un’indistruttibile concezione quando afferma che le caratteristiche delle particelle elementari dipendono dal modo in cui le si osserva e non da un’intrinseca oggettività della materia, come pretendono i materialisti. La meccanica quantistica non riguarda solo le particelle subatomiche ma si applica a tutta la materia e a tutta l’energia. Se passiamo dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande, scopriamo che quella che chiamiamo materia costituisce, a detta di molti fisici, solo il 5% dell’intero universo, il restante 95% è costituito da “materia scura” ed “energia scura”. I materialisti vorrebbero convincerci che la loro visione del mondo, basata sulla conoscenza, a mala pena, del 5% dell’universo, sarebbe esaustiva e scientificamente fondata. Ci vuole davvero tanta fede per essere convinti di ciò. Provate però a metterla in discussione e vi ritrovate etichettati come bigotti, oscurantisti, rozzi e ignoranti. Voi zittiti e quegli scienziati che perseguono la libertà scientifica, non l’affermarsi di un’ideologia, derisi, ostracizzati, criminalizzati. Come è successo all’astronomo Guillermo Gonzalez, un esperto riconosciuto nel campo dell’abitabilità galattica che, a seguito delle sue ricerche, si convince che la casualità dell’universo non è scientificamente sostenibile. Apriti cielo! Un pugno di colleghi professori dell’Iowa State University firmano una petizione per iscriverlo nel libro nero. Non perché la sua teoria sia priva delle caratteristiche di scientificità (evidenze, testabilità e falsificabilità), ma perché sostiene che l’universo sembra sia messo a punto in modo talmente preciso proprio per consentire la vita umana sulla terra, il cosiddetto principio antropico. Principio ribadito dal Freeman J. Dyson secondo cui, viste le più recenti scoperte scientifiche e astronomiche, “sembra quasi che l’universo sapesse che stavamo arrivando”. Se la forza di gravità fosse stata anche leggermente diversa, l’universo non sarebbe stato abitabile. “Se il ritmo dell’espansione un secondo dopo il Big Bang - sostiene Stephen Hawking - fosse stato più breve persino di una frazione di centomila milioni di milioni, l’universo sarebbe ricollassato prima di raggiungere la dimensione attuale”. Abbiamo accennato solo a due costanti universali ma queste sarebbero in numero ben maggiore. La gravissima colpa di Gonzalez è quella di aver accumulato prove contro la teoria materialistica dell’universo. Ci sono tanti altri casi simili di caccia alle streghe. Non li conoscete perché i giornali che si occupano di divulgare le scoperte scientifiche al grosso pubblico sono intenti ad incensare i materialisti. Questi si professano difensori della scienza e della razionalità ma, spesso, si fanno beffa del tanto decantato metodo scientifico, scadendo talvolta nel ridicolo. Quando la comunità scientifica deve fare i conti con la la teoria del Big Bang, terrorizzati dalle implicazioni teistiche, si esibiscono immediatamente in acrobazie speculative per liquidarla. Dal modello oscillante di Sagan ai modelli quantici di Tryon e Hawking, è un continuo tentativo di sbarazzarsi, spesso con pure e semplici speculazioni filosofiche, dell’ingombrante singolarità iniziale dell’universo. I multiversi in opposizione a universo è un’altra ipotesi, altamente speculativa, che non spiega però le origini delle leggi della natura. “Se l’esistenza di un universo richiede una spiegazione, - osserva acutamente il filosofo Anthony Flew -multipli universi richiedono una spiegazione ancora maggiore”. Qualche scienziato, come il fisico Lee Smolin, si spinge persino nel grottesco quando sostiene che il nostro universo sarebbe sopravvissuto in quanto il più adatto degli universi. La selezione naturale applicata al cosmo! La disperazione sembra ormai l’unica forza che guidi simili scienziati. Ci raccontano che la teoria dell’evoluzione è un fatto tale e quale ad una mela che cade giù e non sù. Quindi inconfutabile. Già, ognuno di noi ha osservato la mela che cade, ma dubito che qualcuno abbia mai visto il comune progenitore di uomo e scimmia. Secondo varie valutazioni noi umani avremmo in comune con gli scimpanzè tra il 95 e il 99 per cento del DNA. Quindi perché mettere in dubbio che discendiamo dalle scimmie? IL DNA non è tutto per comprendere la psicologia umana. Se c’è un’animale che interagisce con le emozioni umane questo non è lo scimpanzè ma il cane. La similarità genetica non è tutto. Molti ricercatori si sono impegnati ad insegnare alle scimmie il linguaggio dei sordomuti e queste lo hanno imparato ed usato. Ma una cosa è chiara, non hanno nulla da dirci e non usano tali sistemi nel loro habitat naturale. Il linguaggio non è quindi qualcosa che interessi le scimmie. Secondo il radiologo Andrew Newberg, il cervello dello scimpanzè manca di quella complessità neurale necessaria alla formulazione di pensieri astratti che portano alla cultura, all’arte, alla matematica. La differenza tra noi e le scimmie è tremendamente ben più importante che la rassomiglianza. La vera differenza sono i processi mentali non riconducibili a fatti genetici. Paradossalmente, sono proprio i dati scientifici a contraddire il darwinismo. Un insospettabile darwinista, del calibro di Stephen Jay Gould, parla di “imbarazzante” mancanza di dati fossili che confermino l’evoluzione. Se c’è stata una lenta evoluzione le specie intermedie avrebbero dovuto farla da padrone. Lapalissiano. Invece le scoperte fossili (l’esplosione Cambriana per esempio) dimostrano il contrario, l’apparizione improvvisa di specie già formate. E Gould, ancora lui, smentisce il gradualismo. I fossili presentano due caratteristiche che contrastano con il gradualismo: stasi - la maggior parte delle specie non subisce mutazioni sostanziali, così come appaiono, scompaiono – e apparizione improvvisa e pienamente formata di molte specie. Se la sopravvivenza del più adatto è un fatto scientifico perchè non esistono prove nei fossili dei deboli spazzati via? Non esistono ancora ma, abbiate pazienza, ci rassicurano i darwinisti, un giorno arriveranno. Sono trascorsi oltre centocinquant’anni dalla formulazione della teoria, ma queste non sono mai arrivate. Anzi più andiamo avanti più emergono prove contrarie. La sopravvivenza del più adatto significa che tutti i comportamenti umani dal sesso, alla guerra, alla politica, alla religione dovrebbero essere funzionali a tale scopo. Ma come la mettiamo con l’altruismo e l’auto-sacrificio? Se vedo una persona che sta annegando e mi butto in acqua per tentare di salvarla, ben sapendo che rischio di morire, non sto cercando nessun beneficio per me stesso e tanto meno per i miei discendenti. È evidente che qualcosa non quadra. A parte queste preoccupanti crepe nel bastione del naturalismo, come i suoi adepti giustificano l’evoluzione? Come un processo casuale e senza significato. Sull’origine della vita fanno a gara a chi la spara più grossa, si va da un “iniziale colpo di fortuna” (R. Dawkins) al “quindi un miracolo accadde” (D. Dennett), agli alieni venuti da un altro pianeta o galassia (F. Crick). Confronto a simili campioni di razionalità una qualsiasi chiromante assurge al ruolo di autorità scientifica di prim’ordine. Nel giugno del 2000 viene ufficialmente presentato al mondo intero la scoperta del genoma umano, il programma che contiene tutti i DNA e le istruzioni per lo sviluppo della nostra specie. Un programma di 3 miliardi di lettere scritto utilizzando un codice di 4 lettere, talmente complesso che ha fatto dire al direttore della ricerca che lo ha scoperto, lo scienziato americano Francis S. Collins, “... abbiamo dato il primo sguardo al nostro libro di istruzioni, conosciuto precedentemente solo da Dio.” Persino Dawkins deve riconoscere che il genoma è una sorta di software che, come ben noto, non è frutto del caso. Tutte le speculazioni sulla casualità dell’origine della vita cadono in picchiata a dimostrazione che il darwinismo ha basi filosofiche, non scientifiche e che, tolto lo strato iniziale, non è altro che naturalismo metafisico privo di ogni evidenza empirica. “Perché abbiamo il darwinismo – si chiede Dinesh D’Souza - ma non il keplerismo; incontriamo darwinisti ma nessuno si qualifica come einsteiniano. Il darwinismo è divenuto un’ideologia”. La replica dei materialisti è, come al solito, stizzita e arrogante. “È assolutamente sicuro dire che se incontrate qualcuno che dichiara di non credere nell’evoluzione, questa persona è ignorante, stupida o insana.” (R. Dawkins) Insomma noi poveri ignoranti, stupidi e insani a cosa dovremmo “credere”? “Credere nell’evoluzione chimica della prima cellula da inanimati componenti chimici è come credere che un tornado possa imperversare in un immondezzaio e formare un Boeing 747.” (F. Hoyle, astrofisico inglese). Egli ritiene praticamente impossibile che gli enzimi si formino a caso, per probabilità. Non è solo Hoyle ad essere scettico. Un’altro ignorante, stupido e insano come Karl Popper non crede alla favola del fatto “inconfutabile” “... il darwinismo non è una teoria scientifica perché la selezione naturale è una spiegazione polivalente che non giustifica niente, e quindi non spiega niente.” Non potendo provare con dati scientifici e non potendo convincere attraverso ragionamenti logico-razionali, gli atei si inventano una guerra tra scienza e religione. Benché la relazione sia variegata e complessa, scienza e religione possono benissimo convivere e intersercarsi senza scadere in una grottesca disputa tra razionalismo e superstizione. “I principi della fede sono complementari ai principi scientifici”. (Francis Collins, genetista), “L’universo è stato creato intenzionalmente e con scopo e questo non interferisce con l’impresa scientifica”. (Owen Gingerich, astronomo di Harvard). Secondo Sam Harris la religione sarebbe “la più potente sorgente dei conflitti umani, passati e presenti”. Accusare la religione di alimentare coscientemente l’ignoranza e di promuovere attivamente l’intolleranza, la conflittualità e le divisioni sociali è un’atto di repellente disonestà e volgarità intellettuale. Certo abbiamo visto atrocità commesse in nome della cristianità, ma non perché venissero seguiti gli insegnamenti di Gesù Cristo, anzi per l’esatto opposto. Ha mai Gesù istigato alla violenza? Ha mai istigato alla tortura dei nemici? Ha istigato la caccia alle streghe? Gli atei esagerano i crimini commessi in nome della cristianità ma trovano ogni tipo di scusa per giustificare o almeno attutire quelli commessi in nome dell’ateismo. Le streghe bruciate a Salem non erano 100 mila, come vogliono far credere ma, precisa D’Souza, meno di 25. Vengono i brividi sulla schiena nel ripensare agli orrori di cui sono stati capaci, nel solo XX secolo, campioni dell’ateismo militante quali Lenin, Stalin, Hitler, Mao, Pol Pot; le loro vittime sono nell’ordine di un centinaio di milioni. Chi sarebbe “la più potente sorgente dei conflitti umani”?
Il relativismo culturale
Il relativismo culturale è un potente strumento in mano ai secolaristi che in nome di un’improbabile uguaglianza di tutte le culture mira in definitiva al declassamento e alla liquidazione della civiltà occidentale, identificata, a giusta ragione, col cristianesimo. Come dimenticare che l’Europa è stata forgiata dalla cristianità che prese in mano il vecchio continente dopo il crollo dell’impero romano e le invasioni barbariche e gli diede ordine, stabilità e dignità? Come dimenticare che l’epiteto “secoli bui” per descrivere il medioevo, epoca di superstizioni, pestilenze, ignoranza e miseria è un’invenzione creata dallo spirito anti-religioso, o più specificatamente anti-cattolico, dagli intellettuali illuministi, Voltaire in testa, che volevano asserire la supposta superiorità della loro età denigrando il passato? Ha ragione Rodney Star quando sostiene, in The Victory of Reason, che questi punti di vista sono ormai largamente discreditati ma i secolaristi non demordono. Abbiamo appena visto come l’attacco alla religione, e al cristianesimo in particolare, sia guidato dai neo-atei della setta del naturalismo scientifico. Preoccupante è l’apatia se non l’accondiscendenza di molti credenti verso il degrado della religione a sottocultura del secolarismo. Sempre Star scrive che la nascita della scienza fu resa possibile dal pensiero profondo degli studiosi cristiani del decimo e undicesimo secolo. Scienza e religione non solo erano compatibili ma erano inseparabili. Completamente infondata la pretesa dei nostri intellettuali che la rivoluzione scientifica inizi nel sedicesimo secolo quando Copernico propone il modello eliocentrico dell’universo. Questa non era una rivoluzione ma un’evoluzione, non un’esplosione di pensiero secolare, ma il culmine di secoli di sistematico progresso della scolastica medievale, sostenuta da quella creazione cristiana che è l’università. Un’istituzione mai vista prima, dedicata esclusivamente all’alto apprendimento. Non scuole dove si ascolta il maestro che impartisce lezioni di saggezza, o ripetere le lezioni dei filosofi greci, ma luoghi di perseguimento della conoscenza. È nelle università cristiane che nasce e si sviluppa la scienza. A questo punto qualcuno obietterà che la scienza è universale e non una specifica conquista dell’occidente e che il progresso scientifico lo possiamo osservare ben prima del cristianesimo ed in aree geografiche lontane dell’europa. Certo anche in Cina, India, l’antica Roma e Grecia avevano l’alchimia e l’astrologia, molto sviluppate, ma solo in Europa l’alchimia evolve in chimica e l’astrologia in astronomia. La scienza, puntualizza ancora Stark, non è mera tecnologia. Forgiare metalli, costruire acquedotti, confezionare abiti non significa avere scienza. La scienza è un metodo utilizzato per organizzare gli sforzi necessari a formulare una spiegazione della natura, sempre soggette a modificazioni e correzioni attraverso osservazioni sistematiche. La scienza consiste quindi di due parti: teoria e ricerca. La teoria è solo la parte descrittiva della scienza, asserzioni astratte su come la natura funzioni che ha bisogno però di osservazioni empiriche per non restare sul terreno astratto. Quello che talvolta viene chiamato progresso scientifico in realtà è solo progresso tecnologico e basta. Un progresso fatto di osservazioni, prove ed errori ma privo di spiegazioni logiche, cioè teoriche. Senza telescopi gli antichi eccellevano in osservazionia astronomiche ma fino alla definizione di teorie verificabili queste osservazioni erano semplici fatti. Nell’antica Grecia o in oriente l’empiricismo era ateoretico e la teorizzazione era non- empirica. Aristotele, per esempio, pensava che la velocità con cui gli oggetti cadano al suolo è proporzionale al proprio peso. Bastava che fosse andato al più vicino precipizio e si sarebbe accordo della falsità della sua convinzione. Quando Democrito sostiene che la materia è composta di atomi non anticipa di certo la fisica atomica. La sua teoria era semplicemente speculativa e non poteva essere osservata empiricamente. Euclide non era uno scienziato perchè la geometria ha la capacità di descrivere alcuni aspetti della realtà non di spiegarli. I cristiani svilupparono la scienza perchè credevano che il segreto dell’universo potesse essere svelato e lo sarebbe stato. Newton, Keplero e Galileo guardavano alla creazione come un libro che bisognava leggere e comprendere. La scienza occidentale nacque sulle ali dell’entusiastica convinzione che l’intelletto umano potesse penetrare i segreti della natura. È la teologia e più specificatamente la scolastica ad imprimere una svolta nella cultura medievale. Essa non è, come denigrano i secolaristi, un modo di pensare religioso, prigioniero dell’irrazionalità e del dogmatismo, ma un modo di pensare sofisticato e altamente razionale. In breve, la teologia è un ragionamento razionale su Dio, per scoprire la sua natura, le sue intenzioni, le sue richieste e la comprensione della relazione tra lui e gli esseri umani. Grandi menti potevano e fecero alterare radicalmente la dottrina della chiesa sulla base di convincenti ragionamenti. Essi celebravano la ragione quale mezzo per capire le intenzioni divine. Gli scolastici ponevano grande fiducia nella ragione più di quanto siano diasponibili a farlo la maggior parte degli intellettuali contemporanei. I benefici della teologia della ragione non possono però essere confinati alla scienza perché comprendono anche le concezioni sulla natura umana e i problemi riguardanti la moralità, la libertà. In una parola la scoperta dell’individualismo, del sé. Alcune culture privilegiano l’individualità, altre la collettività. Persino i filosofi greci non avevano un concetto di persona equivalente al nostro. Platone in Republica è concentrato sulla polis, non sui cittadini e denuncia persino la proprità privata. Ma è del pensiero politico cristiano la focalizzazione sul cittadino individuale. Il concetto di libertà non esiste in molte culture e non esiste persino una parola per descriverla. Fin dagli inizi i cristiani insegnavano che il peccato, quindi la responsabilità, è personale e non ricade sul gruppo, ogni individuo quindi deve preoccuparsi per la propria personale salvezza. In questo senso acquista grande significato il concetto di libero arbitrio che sconfessa il fatalismo. Quando Gesù dice “Vai e non peccare più” mette nelle mani del singolo individuo il proprio destino. Quando San Paolo scrive “io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio” rifiuta il concetto platonico che il male sia un problema di conoscenza, per affermare che invece è un problema di volontà. La cristianità riscatta l’uomo comune, il perdente. Gesù Cristo non solo era nato e rimase sempre povero ma si accompagnava ai diseredati, ai malati, alle prostitute dando loro, per la prima volta nella storia, dignità. Come ignorare, infine, il ragguardevole progresso dei “secoli bui” nel campo dell’alta cultura, della letteratura, dell’arte, della musica, dell’architettura? In campo musicale greci e romani suonavano una musica monofonica, cioè un unica melodia, senza armonia, mentre i musicisti medievali inventarono la polifonia, cioè più melodie e quindi armonia. In campo letterario emergono le lingue locali con autori della grandezza di Dante, gli autori delle chansons de geste e un infinito numero di monaci che cominciaro a scrivere storie di santi nelle lingue delle loro regioni. In campo pittorico Giotto rompe con il passato classico e apre la via alla modernità gotica. La sua opera resterà indossolubilmente legata all’ordine dei francescani. In architettura la straordinaria epopea romanica e gotica resta insuperata. Solo in Francia, tra il 1050 e il 1350, furono costruite ottanta cattedrali, cinquecento grandi chiese e diverse migliaia di piccole chiese. Alla fine del trecento, in Francia e Inghilterra, c’era in media una chiesa ogni duecento abitanti. Quando oggi entriamo in una chiesa pensiamo ad essa come un luogo di culto e di preghiera, ma nel medioevo la chiesa poteva essere la sede del comune, un centro sociale e persino un mercato, oltre che tempio e luogo di autorità. La definizione delle chiese medievali come opere d’arte che devono essere venerate per questo è un’invenzione moderna. La bellezza intellegibile che i costruttori delle cattedrali volevano trasmettere era non estetica ma morale, essi cercavano di rappresentare la logica della creazione divina. Dove sarebbero le altre culture del pianeta che possano vantare un patrimonio così vasto al servizio della libertà, della giustizia e della dignità umana? Dopo aver ricordato queste semplici, basilari verità storiche desideriamo ribadire le nostre convinzioni. Sullo statalismo. Riteniamo le libertà individuali non un fardello che impedirebbe di realizzare il paradiso sulla terra ma il fondamento di quella che chiamiamo società civile: cioè un contratto sociale in cui l’individuo è qualcosa di unico, un essere spirituale dotato di coscienza e consapevolezza, non una cosa astratta o un numero di un gruppo. Poniamo quindi l’accento sull’individuo ed il suo diritto a vivere in libertà, il cui unico limite è il rispetto della libertà altrui. Non riteniamo che lo stato debba limitare le nostre libertà individuali e trasferirle a gruppi sociali o ad organizzazioni di qualsiasi specie, crediamo invece in un equilibrio tra l’autorità governativa e le libertà individuali vero e proprio antidoto contro la tirannide comunque mascherata, di destra o di sinistra. Troviamo futili i vagheggiamenti su una società di uguali e perfetti, sotto l’ala protettrice dello stato. Noi intendiamo l’uguaglianza come il diritto di ogni individuo di vivere libero, di acquisire la proprietà di ciò che lui stesso crea e produce, di essere trattato imparzialmente di fronte alla legge. L’uguaglianza non è perfezione giacché l’uomo, come detto, non è perfetto. Respingiamo l’idea di uguaglianza di risultati che elimina i migliori ed eleva a valore la mediocrità. Riconosciamo i grandi benefici per la società dovuti all’intraprendenza individuale e per questo difendiamo e incoraggiamo la libera iniziativa senza per questo giurare fedeltà a qualsivoglia lobby economico-finanziaria. Riteniamo la proprietà privata la chiave del libero mercato e concordiamo con quanto affermava John Adams “l’anarchia e la tirannide iniziano nel momento in cui penetra nella società l’idea che proprietà non sia una cosa così sacra come legge divina e che non ci sia la forza della legge o della giustizia a proteggerla”. Riteniamo il libero mercato il sistema economico più dinamico che si conosca, esso incoraggia la creatività e l’inventività e produce industrie, prodotti, servizi. Crea più ricchezza ed opportunità per la gente di qualsiasi altro sistema economico ed è l’unico che produce in abbondanza cibo, abitazioni, energia, medicine, cioè le cose basilari per l’esistenza umana, ma produce anche beni che aggiungono conforto, valore e sicurezza alla qualità della vita. Sullo scientismo. Basta una riflessione di Einstein per rispondere al fanatismo neo-ateo che vorrebbe eliminare Dio e i credenti a colpi di pseudo-teorie scientifiche: “La scienza contrariamente ad un'opinione diffusa, non elimina Dio. La fisica deve addirittura perseguitare finalità teologiche, poiché deve proporsi non solo di sapere com'è la natura, ma anche di sapere perché la natura è così e non in un'altra maniera, con l'intento di arrivare a capire se Dio avesse davanti a sé altre scelte quando creò il mondo”. La religione, ricordiamolo, non è solo credere in Dio, è qualcosa che coinvolge la conoscenza, l’esperienza, i rituali, l’affiliazione sociale, le motivazioni e i conseguenti comportamenti, per questo i secolaristi vorrebbero che l’educazione fosse sottratta ai genitori e affidata alla società in modo tale da estirpare l’educazione religiosa che corrompe i bambini e costringe poi gli insegnanti ad un doppio lavoro: ripulire il loro cervello dalla superstizione e inculcarli l’educazione scientifica naturalistica, perché per loro la scienza, non Dio, dovrebbe essere venerata e adorata. “Lo psicologo Nicholas Humphrey – scrive Dinesh D’Souza - ha sostenuto in una recente conferenza che così come Amnesty International lavora per liberare i prigionieri politici del mondo, gli insegnanti e professori secolaristi dovrebbero lavorare per liberare i bambini dalla dannosa influenza dell’educazione religiosa dei loro genitori”. Nelle nostre scuole pubbliche questo già avviene, ecco perché riteniamo indispensabile abolirne il monopolio. Sul relativismo. Non rinneghiamo il nostro passato per abbracciare il mondo “postmoderno” fondato sul politically correct, sul relativismo, sull’eutanasia, sull’infanticidio, sul matrimonio gay. Un mondo “postmoderno” guidato da secolaristi che non amano le democrazie occidentali, che non sono disposti a difendere la civiltà occidentale dagli attacchi del fondamentalismo islamico, che non vogliono prendere posizione contro i terroristi perché vogliono “comprendere”, al punto da dimenticare l’amato secolarismo occidentale per abbracciare sistemi oligarchici che ignorano la libertà individuale, aborrono la democrazia, non riconoscono la separazione tra stato e chiesa e discriminano le donne. D’accordo con Julien Benda, riteniamo che il ruolo degli intellettuali sia quello di “custode dei valori” e al servizio della ragione, della verità e della giustizia. Ecco perché detestiamo profondamente, ancora d’accordo con Benda, ogni e qualsivoglia “milizia spirituale” al servizio del potere. I secolaristi “... derivano la loro moralità – scrive non senza una punta d’ironia D’Souza - non da comandamenti esterni ma da calcoli, interiormente generati, di costi e benefici”. Riteniamo doveroso opporci a simili cinici calcolatori e sfidarli a viso aperto sul loro stesso terreno mettendone a nudo i miti, i riti, i pregiudizi, i luoghi comuni e le falsificazioni. Dobbiamo farlo più spesso perché è solo il ristabilimento delle verità storiche che potrà restituirci quella libertà di pensiero usurpata e mortificata da una casta intellettuale ipocrita, tracotante e intollerante.
Nessun commento:
Posta un commento