È appena uscito il volume Newman, ossia: "i Padri mi fecero cattolico". Un profilo (Milano, Jaca Book, 2009, pagine 111, euro 12). Ne pubblichiamo l'inizio.
di Inos Biffi
Ora che si è fatto sera ed è giunto il tempo di sciogliere le vele, mi ritrovo, tra i più cari e assidui compagni di viaggio, prima di passare all'altra riva, il cardinale John Henry Newman, soprattutto con i suoi Parochial and Plain Sermons, i suoi Sketches, con i mirabili profili dei Padri, e le Prayers, Verses and Devotions.
Risalendo l'onda dei ricordi, rintraccio il mio primo incontro con lui negli anni del liceo nel seminario di Venegono, credo nella primavera del 1952. A presentare a noi studenti, poco più che quindicenni, la figura del prestigioso iniziatore del movimento di Oxford fu il rettore Giovanni Colombo, durante le impareggiabili conferenze, che egli ci teneva il tardo pomeriggio delle domeniche, prima di cena, e che noi studenti aspettavamo con impazienza.
Erano incontri informativi e soprattutto formativi: una meraviglia di intuito e di finezza educativa, teorica e pratica. Ci insegnava come redigere una lettera, come stare a tavola, come usare le posate e i tovaglioli, come mangiare le ciliegie e i kaki, che egli però chiamava "globi d'oro", e noi pensavamo che la suggestiva immagine fosse sua; in realtà più tardi venni a scoprire che essa si trovava in una poesia di Ada Negri.
Per quegli incontri il rettore leggeva e commentava degli appunti scritti su quaderni di scuola, dalla copertina nera. Quanto avrei desiderato allora di poterli avere tra mano e leggerli direttamente! Ne immaginavo il valore inestimabile. Mi sembravano scrigni preziosi, in cui erano custodite le cose meravigliose che ci veniva dicendo.
Quel desiderio si compì molti anni dopo, quando potei disporre di quei quaderni, riguardo ai quali credo di aver concorso alla loro conservazione. Ne parlai rispettosamente con il cardinale, riuscendo in qualche misura a convincerlo di non distruggerli, ma di lasciarne erede il suo segretario monsignor Francantonio Bernasconi. Dopo averli esaminati, sono persuaso che quei quaderni, diligentemente trascritti e studiati con attenzione, sarebbero una fonte incomparabile per la conoscenza e l'interpretazione della singolare figura di Giovanni Colombo, dell'altezza del suo ingegno e della profondità della sua esperienza spirituale e della laboriosità della sua vita intellettuale.
Con l'incanto della sua parola egli ci leggeva e commentava in particolare la poesia Lead, kindly Light (Guidami, Luce benigna), composta da Newman alle Bocche di Bonifacio, di ritorno dal viaggio nel Mediterraneo, dove ricorre il verso, sul quale Colombo amava soffermarsi: "Non chiedo di vedere l'orizzonte lontano, un solo passo basta per me".
Ci richiamava allora l'enigmatica affermazione che Newman ripeteva durante la malattia in Sicilia: "Io non ho peccato contro la Luce", intrattenendosi a spiegarci il significato del peccato "contro la Luce". Mi dilettavo particolarmente in quegli anni del delizioso saggio di Newman, edito nel 1950 nella collana "I Fuochi" della Morcelliana, dal titolo Malato in Sicilia, a cura di Giuseppe De Luca, del quale avrei in seguito gustato i bellissimi articoli e le brillanti versioni di testi di Newman pubblicati in un denso volume del 1975.
E sempre durante i corsi liceali il rettore Colombo non si lasciava, poi, sfuggire occasione per comunicarci alcuni pensieri di Newman, che gli erano specialmente cari, come quello sul gentiluomo - colui che non crea mai disagio al prossimo - o sulle mille difficoltà che non fanno un dubbio, o sulle certezze concrete ferme e inconfutabili, simili a funi resistentissime, che, formate dall'intreccio di singoli fili in sé estremamente fragili, non si lasciano spezzare.
(©L'Osservatore Romano - 17 dicembre 2009)
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