venerdì 5 giugno 2009

Perché negli Stati Uniti crolla la fiducia dei pazienti

Dottore, non ti credo più


di Giulia Galeotti

In Un medico di campagna (1918), il personaggio di Kafka nota come le persone del suo distretto si attendano l'impossibile dal loro dottore: avendo ormai perso le antiche credenze, pretendono che il medico sia onnipotente. Se anche in Italia v'è oggi un atteggiamento che vede nella scienza e negli scienziati i nuovi profeti, è però indubbio - come attesta il grande fenomeno in crescita dei siti medici fai-da-te - che i pazienti tendono sempre più a farsi la diagnosi da soli, confidando più in se stessi che nella capacità degli esperti. Cogliendo nel segno, già nel 1977 la sociologa Marie R. Haug si chiedeva quali sarebbero state le conseguenze dell'accesso del pubblico alle informazioni e, in particolare, se il cambiamento avrebbe prodotto effetti in termini di autorità.
Del complesso rapporto tra medico e paziente, Jonathan B. Imber, docente di etica e di sociologia al Wellesley College, ha cercato di dare una spiegazione per gli Stati Uniti nel suo recente volume Trusting Doctors. The decline of moral authority in American medicine (Princeton University Press, 2008).
Il saggio - il cui merito è quello di offrire validi spunti di riflessione (spesso validi anche per l'Italia), sebbene alcuni passaggi non siano in toto condivisibili - inizia con un assunto decisamente controcorrente. Secondo Imber fidarsi dei medici è una necessità assoluta nella nostra vita di esseri umani, mentre (e specularmente) il farlo è legato a una parte essenziale della professione medica. Eppure, da tempo, le cose stanno andando in tutt'altra direzione.
Le cause che Imber individua sono sostanzialmente tre. La prima è legata al declino dell'autorità religiosa nella vita quotidiana americana. Il fatto che in passato i pazienti vedessero nei medici i rappresentanti di una vocazione sacra era dovuto, secondo Imber, all'influenza degli ecclesiastici protestanti e cattolici durante il xix e la prima parte del xx secolo. Nel saggio egli ripercorre sia l'enfasi del clero protestante sulla vocazione dei medici (accentuandone la visione come persona integerrima, moralmente retta ed incorruttibile), sia quella dei moralisti cattolici sugli specifici dilemmi che gli operatori sanitari incontrano quotidianamente (il che ha attribuito e riconosciuto loro l'importante capacità di decidere non solo in termini scientifici, ma anche etici e morali). La fiducia dei pazienti nei medici è così venuta costantemente diminuendo man mano che si assottigliava l'influenza e l'autorità della religione, proprio perché a questa era da imputarsi la precedente ascesa della loro autorità. Riferendosi a protestanti e cattolici, Imber non intende richiamarsi alla composizione della categoria medica negli Stati Uniti; come noto, infatti, per decenni, almeno fino alla metà del ventesimo secolo, non solo i medici erano di tradizione protestante, ma esisteva una fortissima discriminazione verso cattolici ed ebrei.
La seconda causa che secondo Imber spiegherebbe il declino dell'autorità morale dei medici, è, invece, da ricollegarsi alla direzione e al tipo di progressi che la medicina ha compiuto. Il fenomeno si sviluppa subito dopo la ii guerra mondiale, momento in cui i medici iniziano a non essere più considerati per la loro integrità personale, quanto piuttosto per le loro competenze tecniche, una sorta di meri esecutori del sapere scientifico. Man mano che è aumentata la fiducia nella tecnologia medica, la figura del singolo dottore ha subito dunque una revisione radicale. Ovviamente l'ottica dalla quale Imber descrive il complesso rapporto è quella del pubblico, dei pazienti, non certo quella dei medici: se gli operatori sanitari sanno perfettamente che un'ecografia non può mai essere oggettiva (nemmeno nel ventunesimo secolo!), tale consapevolezza manca completamente nel comune sentire.
In questo passaggio verso la perdita di autorità della categoria, hanno ovviamente giocato anche altri elementi, come il fatto che la medicina moderna sia sempre più specializzata, che abbia compiuto enormi progressi in pochissimo tempo, guidata dall'industria del profitto e popolata da pazienti sempre più ansiosi (elementi che per Imber lasciano presagire nuove e non facili scommesse per i medici di domani). L'autore, del resto, inserisce questa crisi, nella crisi più ampia che ha investito tutte le professioni, per cui in generale si è avuto un crollo di fiducia nella capacità degli esperti di affrontare e risolvere i problemi legati alle loro specifiche competenze, siano essi economisti, politici o scienziati.
La terza causa della perdita di autorità dei medici è legata all'aumento di attenzione per la salute delle donne, e alla fallimentare gestione che di questa ha compiuto la medicina americana. I gravi errori nell'introduzione di nuovi farmaci e nei trattamenti per le pazienti che, invece di migliorare, ne hanno spesso danneggiato la salute, hanno avuto un peso determinante (si pensi, tra le altre cose, alle conseguenze della scorretta sperimentazione della pillola, alla talidomide, alle mastectomie, al dietilbetrolo o all'impianto del silicone). Nell'introduzione del celeberrimo Noi e il nostro corpo, il Collettivo delle donne di Boston scriveva "noi tutte avevamo provato lo stesso senso di frustrazione e di rabbia nei confronti dei medici accomodanti e paternalistici che si limitavano a trinciare giudizi". Si tratta di una valutazione condivisa che, penetrando in radice, ha finito per erodere nel profondo fiducia e autorità verso la categoria medica.
La domanda sottesa al saggio di Imber è, dunque, radicale: se oggi i medici pensano ai problemi in modo nuovo - organizzandosi il lavoro in forme completamente differenti rispetto al passato - mentre i pazienti nutrono scarsissima fiducia in loro come persone, ma enormi attese in loro come esecutori, perché si continua a chiamarli "dottori"? La conclusione dello studioso americano è chiara: ogni tentativo di definire la professione medica, non può non tenere conto del dato imprescindibile relativo al fatto che quanti la praticano sono persone. Che un medico è qualcosa di più della somma dei suoi titoli di studio e delle sue specializzazioni. E - aggiungeremmo noi - è qualcosa di più della somma delle volontà e delle pretese dei pazienti.


(©L'Osservatore Romano - 6 giugno 2009)